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IL CREDITO DEI DISTRATTI

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Il caso Carige

Francesco Manacorda
E alla fine, ma proprio alla fine, anche il governo ritrova la voce. Accade alle diciannove di un sonnacchioso e infreddolito post- Capodanno, almeno dieci ore dopo che la Vigilanza bancaria della Banca centrale europea ha deciso di azzerare il consiglio di amministrazione della Carige e di nominare amministratori straordinari i manager che già la guidano. «Il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, sta seguendo personalmente, con il ministro dell’Economia, Giovanni Tria, le ultime vicende riguardanti la governance della Banca Carige» , fa sapere Palazzo Chigi, assicurando «la vigile attenzione del governo ai suoi massimi livelli ».
Ecco, se questa attenzione c’è mai stata, magari tra un selfie con Nutella e uno con compagni di Movimento e relativa prole, nessuno se n’è accorto. La vicenda Carige si è aggrovigliata sempre più — ovviamente da ben prima che si insediasse questo governo — e per sbrogliare la matassa sono intervenuti prima gli altri istituti italiani e adesso la Banca centrale europea, che ha inaugurato il nuovo anno con la mossa inedita di un commissariamento che non delegittima i vertici — confermati nel nuovo ruolo — ma che appare come una bacchettata sulle dita agli ombrosi soci di maggioranza Malacalza.
Così, almeno per una volta, il governo degli euroscettici e dei "sovranisti", convinti che Mario Draghi debba avere un occhio di riguardo per l’Italia in virtù del suo passaporto, si troverà costretto a ringraziare la Bce, che, per dirla in termini un po’ spicci ma realistici, gli ha levato le castagne dal fuoco. Se la Vigilanza europea avesse, ad esempio, scelto di mettere in liquidazione Carige o avesse chiesto un intervento pubblico, come avrebbe fatto l’autoproclamato governo del popolo a spiegare al popolo stesso che bisognava aprire il portafogli per salvare un’odiata banca e magari perdere anche i soldi di azionisti e obbligazionisti? In che cosa il malgoverno e il credito marcio delle passate gestioni della principale banca genovese si sarebbero differenziati da casi come Mps e Banca Etruria su cui M5S e Lega hanno costruito una fortunatissima campagna elettorale?
Che il governo non si sia occupato finora di Carige e probabilmente non intenda occuparsene anche in futuro non è però necessariamente una cattiva notizia. Il modo in cui si è mosso finora sulle banche non è, di sicuro, di buon auspicio. Se il problema dell’istituto genovese è quello (già visto, tra l’altro, con Popolare di Vicenza e Veneto Banca) di cattiva gestione del credito in una dimensione locale che alimenta lo scambio di favori e annulla spesso le differenze tra soci, manager e debitori, la risposta dovrebbe essere un minore localismo. E non, cosa che ha fatto questo esecutivo, una difesa del localismo a tutti i costi come quella che ha frenato la riforma delle Popolari voluta da Matteo Renzi. Se i crediti si deteriorano perché spesso sono concessi con criteri di valutazione non esclusivamente finanziari, allora bisognerebbe rafforzare questi criteri e non provare a spingere le banche verso un ruolo di stimolo all’economia dove i confini tra pubblico e privato sfumano e si fanno indistinti.
Insomma, dal governo, anche su questo capitolo, non c’è molto da attendersi. La sola speranza è allora che il caso Carige non sia il primo di una nuova serie, ma la coda di una serie di difficoltà bancarie che in Italia sono arrivate — anche se tardi rispetto al resto del mondo e dell’Europa — come conseguenza della crisi finanziaria del 2008 e della sua ripercussione sull’economia reale. Se così sarà eviteremo di assistere a soluzioni improvvisate e probabilmente dannose.

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