Quantcast
Channel: Articoli interessanti
Viewing all articles
Browse latest Browse all 4946

Dalle pensioni d’oro solo 76 milioni per i poveri a pagare sono i redditi medi

$
0
0
ECONOMIA
Il caso
La previdenza

MARCO RUFFOLO,
ROMA
Chi pensava che con i soldi dei pensionati più ricchi avremmo finanziato quelli più poveri, ora ha nei numeri della manovra la prova evidente che non sarà così. E che invece le risorse arriveranno, almeno in parte, dai tagli a un vasto numero di pensioni che non si possono certamente definire "d’oro" e neppure "di platino", come le chiama il maxi-emendamento appena approvato dal Senato.
Dai 24.287 pensionati con oltre 100 mila euro lordi l’anno (circa 4.500 euro netti al mese), il governo si aspetta nel 2019 un contributo di appena 76 milioni. Che nei prossimi tre anni diventano 239, e 415 in un quinquennio. Non di più.
Invece, dal ridotto adeguamento all’inflazione degli assegni sopra 1.522 euro (quelli oltre tre volte il trattamento pensionistico minimo), arriverà un risparmio di 2,2 miliardi nel prossimo triennio e 4,7 miliardi in cinque anni. Si tratta di una misura che riguarda una grossa fetta del monte pensioni complessivo: il 58 per cento.
La situazione è dunque assai diversa da quella prospettata alla fine del 2017 da Luigi Di Maio: a Radio anch’io disse che dalle cosiddette "pensioni d’oro" (quelle sopra i 5 mila euro netti mensili) si sarebbero potuti ricavare 12 miliardi. In pratica, se fosse stato così, si sarebbe potuto finanziare non solo un aumento dei trattamenti minimi ma anche gran parte di quota 100, ossia del pensionamento anticipato.
Ma vediamo innanzi tutto come funzionano le due misure, cominciando da quella che porterà più risorse: il taglio all’indicizzazione. Va subito detto che per stabilire quanto si perde, il confronto va fatto non con un adeguamento pieno all’inflazione, ma con il regime che sarebbe scattato in assenza della nuova norma, che prevedeva comunque una serie di tagli, anche se minori.
Tutti coloro che prendono una pensione lorda fino a tre volte il trattamento minimo (indicato in 507,42 euro), e dunque fino a 1.522 euro lordi al mese, non perderanno nulla: il loro adeguamento all’inflazione sarà del 100%. Da 1.522 a 2.030 euro (quattro volte il minimo), la rivalutazione sarà quasi totale (il 97%) e si perdono solo pochissimi euro. Anche fino a 2.537 euro (adeguamento all’inflazione del 77%) il costo sarà limitato: chi prende una pensione lorda di 2.300 euro al mese ne perderà 60 l’anno.
Dopo di che i tagli cominciano a salire: per esempio con 2.800 euro lordi, che vogliono dire circa 1.900 netti, (indicizzazione al 52% fino a 3.042) si perdono 155 euro l’anno. Con 3.500 euro il costo è di 200 euro (indicizzazione al 47% fino a 4.059). Fino ad arrivare a perdite di oltre 300 euro per chi ha una pensione superiore a 4.566 euro, circa 2.700 nette (nove volte il minimo e indicizzazione al 40%). Insomma, sono soprattutto le pensioni nette mensili da 2 e 3 mila euro al mese il bersaglio di questa misura. Certamente non povere ma neppure da "nababbi".
Molto meno redditizio in termini di risparmi è, come si diceva, il taglio dei 24 mila pensionati più abbienti.
Innanzi tutto, cade il discorso portato avanti inizialmente dal governo sulla necessità di penalizzare solo chi ha una pensione con metodo retributivo, da ricalcolare in base ai contributi. Nulla di tutto questo. Il taglio quinquennale peserà su tutte le pensioni oltre i 100 mila euro: basta che abbiano "quote calcolate con metodo retributivo", e quindi anche quote contributive. Le sforbiciate funzioneranno in base a cinque aliquote (15, 25, 30, 35 e 40 per cento) da applicare ad altrettanti scaglioni di reddito: da 100 a 130 mila euro lordi, fino a 200, a 350, a 500 mila e oltre (solo 23 persone stanno sopra quella soglia). Risparmio atteso: dieci volte meno di quanto arriverà dai pensionati con 2-3 mila euro al mese.


Viewing all articles
Browse latest Browse all 4946

Trending Articles