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Labirinto rifiuti in Campania esportarli unica via di salvezza

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19/11/2018
POLITICA
Domande & risposte
Perché il sistema rischia il collasso

La dotazione tecnologica è ferma alla crisi del 2007. La situazione più critica nell’area napoletana. E l’Italia paga ogni giorno 120 mila euro di multa
CONCHITA SANNINO
Qual è oggi il vero buco nero, la debolezza di cui soffre il sistema rifiuti in Campania?
L’emergenza, in questo momento, non è rappresentata dall’assenza di inceneritori. Ciò che manca, e di cui la regione ha un urgente bisogno per scongiurare la minaccia di gravi crisi e per combattere il business criminale dei trasporti, sono due tipi di strutture. Ovvero: gli impianti per il compostaggio - ma persino a questi si oppone, in qualche caso, il M5s - e per il trattamento della frazione Fos, la frazione organica stabilizzata e degi scarti (utili, tra l’altro, per la copertura delle discariche). È a queste conclusioni che arrivano da anni esperti e tecnici del settore.

Perché torna la parola "crisi"? Ci sono rifiuti in strada, al momento, nei territori?

Non ci sono situazioni di cumuli a terra o di paralisi nei servizi: né a Napoli, né in altri comuni. Ma la crisi, strutturalmente, non è mai stata risolta, dai giorni bui del 2007 ad oggi. Perché, soprattutto nel napoletano, non sono stati realizzati gli impianti destinati a trattare tutti i rifiuti e a completare il ciclo. Paghiamo una multa all’Europa di 120mila euro al giorno.
Il rischio camorra, quindi, riguarda di più gli inceritori o i trasporti?
Il punto chiave sono i trasporti.
Quanti sono i rifiuti complessivamente prodotti ogni anno in Campania?
La regione ne produce ogni anno, complessivamente, poco meno di 2 milioni e 200mila tonnellate.

La raccolta differenziata a quali livelli si è attestata?

In Campania è al 52 per cento, in media. Ma nel comune di Napoli è ferma al 37 per cento: solo poco più della metà di ciò che chiede Bruxelles. L’Unione europea impone di innalzare la quota: entro il 2021, occorrerà raggiungere il 65 per cento.

Oggi il volume di immondizia come viene ripartito e trattato?

Detratto il volume della differenziata, i rifiuti restanti (indiffereziati) ammontano a 1 milione e 50mila tonnellate, e vengono distribuiti negli impianti Stir: acronimo che sta per Stabilimenti per la tritovagliatura e l’imballaggio. In Campania sono 7: uno per ciascuna delle quattro province ( Caserta, Benevento, Salerno ed Avellino) e tre per la provincia napoletana. Ovvero, a Caivano, Tufino e Giugliano.

Che fine fa l’immondizia, dopo il passaggio negli Stir?

Sono due le tipologie di rifiuti che derivano dal trattamento di quel milione e 50mila tonnellate trattate negli Stir. Dagli stabilimenti esce la frazione Fos, organica da stabilizzare - più o meno definita, a seconda del livello di adeguamento degli Stir: questa viene portata in impianti specializzati fuori della Campania. L’altra parte è la cosiddetta "frazione secca" : circa 650mila tonnellate. Sono queste a finire nel termovalorizzatore di Acerra.
Quante tonnellate può inghiottire l’inceneritore?
Con le tre linee in funzione, brucia, appunto, tra le 650mila e le 680mila tonnellate l’anno.

La Campania ha bisogno di nuovi termovalorizzatori?

I tecnici sostengono di no.
L’impiantodi Acerra copre il fabbisogno. E, stando all’Ue, la frazione secca dovrebbe anche diminuire nei prossimi anni.

Se non ci sono rifiuti in strada e non c’è un urgente bisogno di inceneritori, perché oggi riesplode il caso?

L’allarme è tornato ad esplodere dopo gli incendi dolosi avvenuti negli ultimi mesi, tra luglio e novembre, in alcuni stabilimenti, sia privati che a partecipazione di enti pubblici, per il trattamento di frazione Fos o scarto di materiale.
Le indagini sono in corso. L’ipotesi principale degli inquirenti: mandare a fuoco quell’immondizia significa liberare gli impianti da rifiuti che non si sa più dove portare.

Perché?

Fino a poco tempo fa, la Cina era pronta ad accogliere molti dei nostri rifiuti. Ma in base a nuove norme, è scattato il cosiddetto "blocco cinese". In più, esportiamo rifiuti da anni in varie regioni: da nord a sud Italia.

Perché i comuni della Campania spendono più di altre regioni per smaltire l’umido?

Resta uno dei punti chiave della crisi. Sulle quasi 500mila tonnellate di umido prodotte in Campania, la densissima provincia napoletana non dispone di un solo impianto per il compostaggio. Ce n’è solo uno pubblico a Salerno, poi tre privati, ma piccoli.

In Campania quanto umido si riesce a trattare?

Solo 100mila tonnellate su quasi 500mila.

È su questa mancanza che si innesta il business dei trasporti?

Oggettivamente, l’innalzamento dei costi per questo genere di rifiuto è una spina nel fianco per enti e cittadini . Costa in media 80-90 euro trattare una tonnellata di umido. Le imprese fanno invece cartello: e la Campania spende tra i 160 e 180 euro per una sola tonnellata. Si bruciano così quasi 60 milioni l’anno.

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