6/7/2018
POLITICA
Il personaggio
Il ministro dell’Economia
Reddito di cittadinanza, flat tax, abolizione della Fornero: il Tesoro assicura che il contratto di governo sarà rispettato. Ma con gradualità
CLAUDIO TITO
Nessun assedio, niente tiro al piccione. Ogni cosa è concordata. Il ministro dell’Economia, Giovanni Tria, non intende trasformare l’ottocentesco palazzo che ospita il Tesoro in un bunker. Né vuole capovolgere la scrivania che fu di Quintino Sella al primo piano di Via XX Settembre per utilizzarla in una sorta di improvvisata barricata in difesa dei conti pubblici. Il suo obiettivo non è questo e soprattutto non ne avverte il bisogno. Si sente, anzi, al sicuro.
In sintonia con il presidente del consiglio Conte, sulla stessa lunghezza d’onda dei due leader della coalizione governativa: Di Maio e Salvini. Nella sua personale agenda, semmai, il primo punto non è isolarsi ma raggiungere un obiettivo che considera fondamentale: incrementare gli investimenti pubblici.
Nella maggioranza giallo-verde, però, un piccolo principio di incendio inizia ad accendersi. Le prime bolle di un surriscaldamento cominciano a salire sopra il pelo dell’acqua.
Come spesso accade la base parlamentare lancia in anticipo i segnali che provengono dai militanti e dal territorio.
Rappresenta una sorta di cassa di risonanza delle attese esagerate che questo esecutivo ha suscitato e formano una specie di ago virtuale che misura pazienza e impazienza. Un indicatore che si muove piuttosto nervosamente su almeno tre punti che connotano il cosiddetto “contratto”: flat tax, reddito di cittadinanza e abolizione della riforma previdenziale Fornero.
Interventi dal peso economico consistente, che richiedono il via libera del Tesoro. E per questo richiamano sullo stesso dicastero le pressioni di chi si aspetta rapidamente segnali in quella direzione. Il calore della maggioranza sembra nascere proprio da queste aspettative.
Per Tria, però, il fuoco non esiste.
È semmai il segno della distanza che divide realtà e percezione fuori dalla squadra di governo. Di certo non si sente accerchiato e dal suo studio - che non ha subito nemmeno un piccolo cambiamento rispetto a come era stato arredato dal precedente titolare (Piercarlo Padoan) – fa capire a tutti che ogni sua parola, ogni decisione è condivisa con vertici politici. E non è mai stata smentita. Tutte le scelte e le indicazioni hanno il via libera del premier e dei due vicepremier.
Del resto, lui stesso sa che questo non è un governo tecnico. Anzi, parlando di se stesso, rifiuta la denominazione di “ministro tecnico”. In una squadra nata su un programma politico e con una maggioranza politica, non c’è spazio per esterni professorali.
Semmai, il ruolo che con Conte e Moavero si sono informalmente assegnati, è quello degli ammortizzatori. Quello, cioè, di attutire le potenziali accelerazioni di questa coalizione.
E per i tre “ammortizzatori” sarebbe impossibile invece assumere il ruolo di frenatori rispetto al “contratto”. Il titolare dell’Economia ripete allora ad ogni suo interlocutore che il suo compito è quello di raggiungere gli obiettivi indicati in quel documento. La riduzione delle tasse, il sostegno ai disoccupati rientrano in un percorso doveroso. Sempre tenendo presente la necessità di mantenere il controllo dei conti pubblici. Non a caso, la scorsa settimana in Parlamento aveva parlato di ”aggiustamento strutturale” del debito. Avendosott’occhio la bussola dello spread che, se contenuto, permette di finanziare senza troppa ansia il nostro debito per 400 miliardi ogni anno.
L’aumento dei cento punti base nei nostri tassi registrato nell’ultimo mese è metabolizzabile se rimane entro questi confini. Un po’ meno se la curva riparte in salita e i mercati si innervosiscono. Un modo dunque per confermare gli impegni europei. Semmai ricorrendo a quella flessibilità che tutti i precedenti esecutivi hanno concordato con Bruxelles. Quei tre o quattro decimali percentuali che portano nel 2019 il deficit dell’Italia dallo 0,9 all’1,3-1,4% rispetto al pil. E quindi usare questo margine di spesa per attivare una sorta di turbo negli investimenti pubblici.
Perché questo è davvero il primo traguardo che il neoministro si è dato: aumentare gli investimenti e non ridurli come, a suo giudizio, è accaduto negli ultimi anni. Farlo ricorrendo a risorse che sono già state stanziate.
Tutto questo non vuole dire che le bandiere di questo governo non debbano essere piantate.
Sono e devono essere i traguardi di questa legislatura, da conseguire progressivamente. La flat tax, ad esempio, ossia l’introduzione di due sole aliquote al 15 e al 20 per cento che tanto sta a cuore alla Lega di Salvini, va inserita in un contesto. Anche i calcoli di spesa che spesso la accompagnano sono – secondo le rilevazioni del ministero – falsati dal fatto che questa misura viene isolata e poi valutata. Mentre un taglio così consistente delle tasse dovrebbe essere quotato insieme alla probabile rivisitazione del blocco di sconti fiscali tuttora esistente.
Nella sostanza, tutte le voci che permettono deduzioni e detrazioni dalla dichiarazione dei redditi dovranno essere riformulate o cancellate.
L’impatto della riforma fiscale sarebbe così meno pesante.
Senza dimenticare che in nessuno Paese al mondo si è mai passati in un solo anno da un regime impositivo all’altro senza alcuna progressività temporale.
Lo stesso concetto accompagna il cavallo di battaglia del Movimento 5Stelle: il reddito di cittadinanza. È un provvedimento che questo governo non può eludere. Lo stesso Di Maio ha spiegato che deve essere affiancato dalla riorganizzazione dei centri per l’impiego, ossia gli uffici di collocamento. Ma in primo luogo la sua introduzione deve essere inserita all’interno di una revisione dell’intero quadro di ammortizzatori sociali. In Italia, infatti, esiste già il reddito di inclusione o, più banalmente, la Cassa integrazione guadagni. Il provvedimento agognato dai grillini, allora, non potrà essere semplicemente aggiunto a queste disposizioni già in vigore.
Anche in questo caso, dunque, il costo del reddito di cittadinanza dovrà essere quotato insieme alle altre riforme.
Per tutti questi motivi Tria, non si sente sotto assedio. In realtà il pressing di Lega e M5S lievita di giorno in giorno. In vista della legge di Bilancio si acuirà ancor di più. Per il ministro, però, la fatica maggiore in questa fase è quella di doversi rimettere a studiare alcune materie specifiche del ministero ma che non appartengono strettamente al suo curriculum accademico.
Non nasconde le difficoltà e nemmeno il sollievo che avverte quando nei week end liberi riesce a raggiungere la sua casa in campagna, nella ciociara Roccasecca. In quell’angolo del frusinate torna la «pace e la calma».
© RIPRODUZIONE RISERVATA Con il premier Conte e il titolare degli Esteri Moavero, l’economista interpreta il ruolo di “ammortizzatore” nel governo Il primo obiettivo è quello di aumentare gli investimenti pubblici E con Bruxelles si contratterà maggiore flessibilità