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SE IL NEMICO È LA REALTÀ

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L’analisi

Francesco Manacorda
Il presidente dell’Inps Tito Boeri ha una caratteristica che lo ha reso e lo rende inviso alla politica: se è convinto delle sue opinioni, tira dritto senza preoccuparsi troppo di mediare. Lo sta facendo anche in queste ore, dopo che il segretario della Lega Matteo Salvini — difficile pensare che si sia espresso come vicepresidente del Consiglio o come ministro dell’Interno — gli ha dato del « fenomeno » , riferendosi ironicamente alle sue posizioni sull’utilità dell’immigrazione per il sistema di Welfare italiano e annunciandone il prossimo sfratto dall’Inps. Boeri è un economista di fama e ha una cattedra alla Bocconi, alla quale probabilmente tornerà dopo aver concluso — volente o nolente — la sua esperienza romana. Per molti leghisti basta questa collocazione accademica a farne un nemico giurato, complice del “Grande Complotto della Globalizzazione”. Ma da presidente dell’Inps — e proprio grazie al fatto che ha un altro lavoro che lo aspetta — Boeri si è sempre comportato allo stesso modo: anche quando ciò ha significato entrare in contrasto con l’allora capo del governo Matteo Renzi, che lo aveva nominato a inizio 2015. E nel corso del suo tumultuoso mandato ha litigato parecchio anche con i sindacati, che fino al suo arrivo avevano contato moltissimo nella gestione dell’Inps e con il ministero del Lavoro. Prima del suo arrivo, del resto, le pensioni degli italiani erano governate da un signore che si chiama Antonio Mastrapasqua, che ricopriva una quarantina di incarichi pubblici e non era — diciamo così — un entusiastico fautore del cambiamento. Perché, allora, Salvini attacca e tenta di intimidire Boeri e la sua indipendenza? Perché di fronte alla cortina fumogena degli slogan e degli allarmismi che i leader del governo spargono ogni giorno, il presidente dell’Inps porta davanti agli occhi di tutti alcuni fatti. E i fatti sono sempre pericolosi per chi fa della mistificazione una tecnica di dominio. La questione previdenziale, come ha mostrato anche ieri Boeri, non è solo una storia di pensioni. È questione demografica — quanti siamo oggi, quanti saremo domani e chi manterrà una popolazione che tende a invecchiare? — che chiama quindi direttamente in causa le migrazioni, l’inserimento dei migranti nella società italiana e il disegno del futuro del Paese. È questione di equità sociale e generazionale: la “ quota 100”, che Lega e 5 Stelle propongono come toccasana per smontare la dura riforma delle pensioni firmata da Elsa Fornero, avvantaggerebbe come è ovvio chi può usufruirne adesso, ma è altrettanto ovvio che sposterebbe il peso di una spesa maggiore e di minori incassi contributivi sulle generazioni future. Quelle generazioni hanno coscienza che il loro futuro previdenziale potrebbe essere tanto più duro quanto più sarà anticipata la pensione attuale dei loro genitori? Sono temi che meritano di essere discussi e non è detto che tutte le ricette proposte da Boeri siano giuste. Ma per discuterne bisogna confrontarsi sui fatti e non tentare di allontanarli sventolando il manganello verbale dell’insulto. Anche in questi giorni Repubblica si è impegnata a smontare una serie di “falsi” che girano in Rete: dalla teoria complottistica per cui dietro le foto dei bambini affogati nel Mediterraneo, dove l’Italia chiude i porti, ci sia una messinscena, fino alla grottesca immagine del concerto dei Pink Floyd a Venezia spacciata per un imbarco di massa dalla Libia. Questo tragico gioco di immagini deformate e di false notizie è ovviamente funzionale a chi vuole alimentare paure e assicurarci che problemi complessi si risolvano con soluzioni non semplici, ma addirittura semplicistiche: un catenaccio chiuso in più, una frontiera bloccata, un Paese sempre più avvolto su se stesso. Ma la realtà non si può piegare, è dura. Anche più dura di un ministro che si dà arie da duro.
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