10/6/2018
MONDO
La sfida
A bordo della barca a vela della Volvo Ocean Race
GIACOMO TALIGNANI,
CARDIFF
Un palloncino solitario nel mezzo dell’oceano più sperduto qualche regata fa. Dee Caffari, forse la velista più famosa al mondo, dal timone della sua barca lo ha osservato con paura. «Mi ha fatto capire che la plastica è ovunque». Da allora il suo impegno è diventato lo stesso che dà il nome alla sua barca: “Turn the tide on plastic”, arresta la marea della plastica. Veleggia per tre motivi: vincere la Volvo Ocean Race, ovviamente, regata tra le più importanti, portare dappertutto il messaggio di lotta all’inquinamento da plastica e contribuire alla ricerca scientifica. Questa barca è un simbolo di innovazione e responsabilità per il pianeta. Lungo 9 mesi di regate dal Sudafrica all’Australia, dalla Nuova Zelanda al Brasile, in 45mila miglia nautiche di navigazione intorno al mondo, corre con un messaggio sulla fiancata e dei piccoli filtri nello scafo. Siamo saliti a bordo durante la tappa di Cardiff. «Li cambiamo ogni due giorni - racconta a Repubblica Francesca Clapcich, olimpionica e unica azzurra in gara - mentre veleggiamo raccogliamo campioni d’acqua che forniscono informazioni su quantità e composizione delle microplastiche, ma anche su salinità e altri fattori. A fine tappa i campioni vengono spediti al Noaa (centro oceanico Usa,ndr), che li analizza. Purtroppo però i risultati finora sono pessimi». Altre boe, lanciate in mare aperto, raccoglieranno invece i dati sulle condizioni meteo, utili ad analizzare anche il cambiamento climatico. Un risultato straordinario, consentito dalla peculiarità delle barche a vela: andare dove gli altri non vanno, passare in tratti d’oceano così lontani che nemmeno le navi da ricerca scientifiche battono.
Unendo sport e scienza stanno osservando il vero stato di salute del mare. «Che è terribile - dice Clapcich un po’ scoraggiata - in Asia abbiamo visto discariche galleggianti. È pazzesco, a volte ho paura che sia tardi». I dati raccolti, uniti a quelli del team AkzoNobel, parlano chiaro: nelle acque di Point Nemo - il punto dell’inaccessibilità, in pieno Pacifico, il luogo più lontano da qualunque terra emersa - ci sono fino a 26 particelle di microplastiche per metro cubo.
Nell’area di Hong Kong 75, a Melbourne 87 e dove il Mediterraneo incontra l’Atlantico addirittura 307. Ma i membri dell’equipaggio, cinque uomini e cinque donne, non mollano. Sono convinti che attraverso lo sport si possa promuovere l’uso di borracce anziché bottiglie monouso, convincere a ripulire le spiagge, sostenere la ricerca. È lo stesso impegno in cui ha creduto la Volvo Ocean Race attraverso la “Turn the tide on plastic”, che batte bandiera delle Nazioni Unite ed è sostenuta da Sky Ocean Rescue, la campagna Sky contro l’inquinamento da plastica che supporta anche ricercatori, idee e start-up attraverso un fondo dedicato. Al suo timone, Dee Caffari, inglese, 45 anni, unica donna ad aver doppiato due volte Capo Horn in entrambe le direzioni. Che si è accorta dal mare che «la soluzione è a Terra.
Noi amiamo l’oceano, è il nostro campo. Ma se non agiamo a terra per ridurre la plastica, sensibilizzare sul riciclo, in futuro sarà sempre peggio. Quei palloncini, le reti, gli imballaggi, credetemi, li ho visti ovunque.
Stiamo creando danni ambientali ed economici enormi. Ora guido un team di giovani velisti e ho un solo sogno: un mare migliore»