8/6/2018
POLITICA
L’analisi
Il vertice in Canada
CLAUDIO TITO,
? segue dalla prima pagina Dal nostro inviato
QUEBEC ( CANADA)
Al di là delle dichiarazioni ufficiali offerte dalle Cancellerie in occasione della nascita dell’esecutivo, Conte deve infatti affrontare subito un ostacolo che si presenta allo stato quasi insormontabile: la diffidenza dei nostri alleati storici, dei sei “Grandi” della terra. Uno scetticismo che si è acuito nelle ultime 48 ore per la posizione di accondiscendenza nei confronti della Russia manifestata con la formalità che impongono le aule parlamentari. E poi per il silenzio sulla guerra commerciale scatenata dai nuovi dazi imposti dagli Usa di Trump, per l’assenza nel dibattito sull’accordo nucleare con l’Iran e per l’ambiguità sulle sanzioni europee contro Mosca. Le spine internazionali dell’Italia sono queste.
Contengono al loro interno un rischio ancora più grande: relegare il nostro Paese all’irrilevanza. Ad un ruolo marginale. Al punto che questo G7 è stato vissuto - almeno nei preparativi - come un G6. Con l’Italia di fatto fuori da tutte le trattative che lo hanno preceduto. Facendo così compiere una specie di salto indietro al 1975, quando l’Italia fu ammessa per la prima volta nel “circolo dei potenti”.
«Io terrò un profilo basso nei confronti di Conte - diceva ad esempio Angela Merkel mercoledì pomeriggio ad un interlocutore istituzionale italiano confermando il velo di apprensione che avvolge il nuovo inquilino di Palazzo Chigi -. Bisogna prima conoscerlo. Vedo confusione e non voglio offrire pretesti».
Del resto basta vedere cosa è accaduto in questi ultimi giorni per cogliere la profondità dei dubbi che stanno accompagnando all’estero la nascita dell’esecutivo Conte.
Sui dazi americani scattati il primo giugno scorso, la linea europea è stata sostanzialmente stabilita dal patto di consultazione permanente Merkel-Macron. Il governo italiano non ha fatto sentire la sua voce e non è stato consultato. Anche in occasione del dibattito alla Camera e al Senato il neopremier ha evitato con cura di esporsi. Europei e canadesi, però, si chiedono: «Qual è la posizione italiana?».
Nei giorni scorsi la Cancelliera tedesca, il presidente francese e la premier britannica May hanno messo a punto una linea comune sull’accordo nucleare con Teheran disdettato da Washington. Lo hanno difeso e confermato. E Roma? Non pervenuta. E ancora si domandano: «Cosa ne pensa l’Italia?».
Constatazioni che avranno un peso anche al G7. Perchè alle prime due fondamentali domande, subito se ne aggiunge un’altra, altrettanto semplice, e relativa a quasi tutti i temi: «Cosa ne pensa Conte?».
Anche perchè in questi casi, il rinvio al famigerato “contratto” giallo-verde non funziona. La fumosità adottata alla Camera e al Senato è arma spuntata in questi consessi.
Forse non è un caso che il presidente del Consiglio sia partito alla volta del Quebec con i dossier preparati dalla squadra del predecessore Gentiloni. Magari il fattore tempo è stato determinante.
Non hanno avuto la possibilità di mettere a punto una posizione. Sta di fatto che in Canada il premier si presenterà con la stessa consigliera diplomatica, Maria Angela Zappia. E nei documenti elaborati per l’occasione, la linea italiana non è cambiata: sui dazi statunitensi, ad esempio, è quella di contestarli. Ma si tratta solo di un’indicazione. La scelta di adottare quei suggerimenti, spetta giustamente solo al capo del governo.
I sospetti poi aumentano in relazione ai rapporti che Roma intende intrattenere con Mosca. L’allarme della Nato è già scattato. L’irritazione degli uffici di Washington che più contano, pure. Su aspetti così delicati delle relazioni internazionali, l’enigmaticità dell’alleanza M5S-Lega non è apprezzata dalle Cancellerie.
Arriva un momento in cui si pretende chiarezza. Altrimenti, anche in questo caso gli effetti sono inevitabili: non toccano la formalità degli accordi, ma la loro sostanza. E la fiducia.
Perchè nessun dirigente del Patto atlantico affiderebbe un segreto militare a un soggetto sospettato di intelligenza con il nemico.
Anche se non è all’ordine del giorno del G7, allora, il capitolo Russia potrebbe essere trattato informalmente. Nella due giorni canadese sono stati già fissati tre incontri bilaterali che potrebbero avere al centro proprio questi punti: con il presidente della commissione europea Juncker, con il presidente del consiglio Ue Tusk e con la Cancelliera tedesca. Con ogni probabilità, infatti, tutti e tre chiederanno a Conte se al prossimo Consiglio europeo di fine giugno proporrà di revocare le sanzioni contro la Russia. O se avanzerà l’idea di anticipare la discussione già fissata per il summit di Bruxelles fissato ad ottobre.
Insomma, tanti dubbi e tanti interrogativi. Come quelli che accompagnano anche le dichiarazioni italiane sulla politica economica prossima ventura. Il proposito di ridurre il debito pubblico annunciando semplicemente di far crescere il Pil, sta diventando una sorta di fantasma che si aggira tra le stanze di Bruxelles. Tanto che il presidente della Commissione pochi giorni fa si è rivolto a un europarlamentare italiano con una punta, molto acuminata, di preoccupazione: «Ma hanno capito che l’Italia non è la Grecia?».
Alla fine, però, la domanda cruciale è sempre la stessa, racchiude tutte le perplessità con cui il presidente del Consiglio dovrà misurarsi fin da oggi: «Chi è Giuseppe Conte?».
E dovrà dimostrare che la risposta giusta non è quella che dava tre giorni fa il New York Times: “E’ un avvocato poco conosciuto”.