POLITICA
Il presidente del Consiglio
A volte ritornano
FILIPPO CECCARELLI
L’ombra sua torna, ch’era dipartita”.
Inferno, Canto IV, verso numero 81 che nella Smorgia corrisponde a “ e’ sciure”, i fiori. Fra le meraviglie del possibile, in questa fantastica Italia sull’orlo del baratro e ben oltre quello della commedia, il rientro in scena di Giuseppe Conte ha un che di soprannaturale, però anche si spiega con il vecchio assioma dell’eterno potere per cui non si butta mai niente e nessuno.
I due termini, miracolo e consuetudine, variamente si integrano in un’unica sorprendente barzelletta, tanto più accettabile in un paese nel quale, a detta di Salvini, il 20 per cento della popolazione fa uso di psicofarmaci. Per cui, nell’eventualità si fossero sottovalutati gli auspici dello zio frate del presidente, a nome Fedele, di stanza nel convento di Padre Pio a San Giovanni Rotondo, è anche vero che la frenetica mutevolezza e l’incerta coerenza dei giovani leoni della Terza Repubblica hanno sgombrato il campo da tanto impicci.
Ed eccoci di nuovo all’«amico del popolo», ovvero all’«avvocato difensore» del medesimo, come il professore si autodesignò al momento della prima sua apparizione.
Era di maggio, il giorno 23.
Quasi nessuno sapeva chi era.
Preceduto da un certo battage che aveva invano eccitato e scomodato figure di scienziati pazzi, geniali e vulcanici, appena sceso dal Colle Giuseppe Conte inaugurò la breve e intensa epopea dello sconosciuto ad alto tasso di misteriosofia grillo-leghista.
Salvini venne affrontato da una giornalista tedesca: professore o politico? La risposta fu all’altezza della sua canonica fama: «Tutti siamopolitici, anche voi». Mentre Gigino Di Maio, ondeggiando fra abituale retorica («Momento storico») e sociologica approssimazione («Viene dalla periferia del paese») scolpì l’aurea formula buona per i social: «Uno tosto».
È in casi del genere che si vanno a guardare con attenzione i curriculum. A tale riguardo si è venuta ad accumulare negli ultimi anni in Italia una vasta e anche buffa casistica di controversie, appunto, che hanno posto all’attenzione: il caso Trota, il caso Giannino, il caso Crosetto, il caso Fedeli, il caso Casalino, oltre ai casi del master di Santanché e della tesi di laurea di Madia.
Insomma, dati i precedenti, ci si fa un po’ attenzione.
Ora, è anche possibile, come ventilato in quei giorni di passione, che si siano mosse potenze ostili al governo del cambiamento; così come è possibile che al momento solenne della compilazione si fossero smosse vanità accademiche, smanie di riconoscimento e auto-certificazioni di status.
Fatto sta che nell’immenso repertorio di studi e soggiorni qualcosina non tornava, e in ogni caso non fu il migliore esordio per il presidente incaricato, anzi fu l’inizio del più inedito e buffo precipizio.
La strenua difesa di Salvini & Di Maio spostò la questione poco più in là; per cui, oltre che ignoto, il povero Conte finì per connotarsi come il Premier Altrui.
Di suo assomigliava al giovane Berlusconi, era cortese, un po’ azzimato, portava i gemelli, aveva avuto una moglie, una causa per Stamina e impicci con Equitalia, girava per Roma con un taxi sotto scorta, ma poi si seppe che possedeva una Jaguar, prudentemente occultata.
Lo si vide, anche in foto, con una pizza a portà via.
Questioni più grandi di lui sconsigliarono l’ulteriore utilizzo del professor Conte, che rimise il mandato nel pieno circo del giro d’Italia, penetrando al Quirinale attraverso un varco di servizio. La vox populi della rete lo salutò con un irresistibile meme: «Sticazzi, io premier sul curriculum lo scrivo lo stesso». Sembrava una pietra tombale, ma qui in Italia le pietre rotolano e sempre le ombre ritornano, ch’erano dipartite.
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GIUSEPPE LAMI/ ANSA