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Caos a Bari
Caos a Bari
Liana Milella
Non risulta che a Bari si siano verificate scosse di terremoto negli ultimi giorni. Ma di certo un terremoto – quello prodotto da un’immagine che ha un impatto devastante – ha duramente colpito la giustizia. “Aula 1”, “ Aula 2”, “ Aula 3”. Sono queste le scritte che non indicano un’aula di tribunale in muratura, bensì delle tende. Sì, proprio così. Non c’è stato il terremoto, tocca ribadirlo, ma le tende sono lì. E lì dentro, nelle prossime settimane ( mesi?!?!), giudici e pm in toga terranno i processi. Gli avvocati faranno altrettanto. Una vergogna. Come scrivono i magistrati nelle loro mailing list. Le cronache documentano lo scaricabarile tra le istituzioni. I protagonisti della querelle si beccano tra di loro. E contribuiscono al teatro dell’assurdo. Perché quello che non doveva avvenire invece è avvenuto. Un palazzo “chiacchierato” da 15 anni è stato sgombrato per rischio crollo da un giorno all’altro. I magistrati scendono in strada, lungo un vialone sterrato sinistramente parallelo al cimitero. Il funerale della giustizia si celebra in pochi metri quadrati, dove ognuno tenta di vendere la sua versione. Ma un fatto domina su tutte le chiacchiere. L’inequivocabile presenza delle tre tende dimostra che è giunta l’ora di fare l’unico processo necessario, quello alle responsabilità individuali per scoprire il colpevole. Se si è giunti alle tende qualcuno deve dire “è colpa mia”, e subito dopo lasciare il posto che occupa.
Questo è il punto. Individuare le colpe e punirle, perché fatti scandalosi come questo non si verifichino mai più. Non solo a Bari, ma in tutta Italia. Il vicepresidente del Csm, Giovanni Legnini, ha il coraggio di scendere a Bari e mettere la faccia sul disastro. Anche se certo non spetta al Consiglio superiore occuparsi dell’edilizia. Comunque lui avverte la potenzialità dannosa di quelle foto e parte da Roma. Avrebbe potuto non farlo. Eccolo davanti a una tenda. Eccolo dire « la situazione è gravissima, così non si può amministrare la giustizia» e chiedere che si faccia subito un decreto legge per riparare al danno. Da Roma il Guardasigilli tuttora in carica, Andrea Orlando, sostiene che tutto quello che si poteva fare è stato fatto. Ma che nessuno ha mai concretamente minacciato il rischio dello sgombero. Lui ha individuato i locali dove trasferirsi, la futura cittadella giudiziaria, e ha firmato i decreti. Ma tant’è. Lo sgombero forzato c’è stato lo stesso. E la Protezione civile ha innalzato le tende.
Ma stiamo ai fatti emblematici che avvengono a Bari dove un procuratore aggiunto come Roberto Rossi – protagonista della famosa battaglia giudiziaria, vinta, contro il mostro di Punta Perotti costruito dai Matarrese – indaga sullo stesso palazzo in cui lavora. E da una perizia scopre che potrebbe crollargli addosso. Può avvenire tutto questo nell’indifferenza generale?
Purtroppo la giustizia in Italia funziona così. La coperta è corta. Non ci sono soldi per assumere più magistrati e più segretari. Le strutture rivelano magagne in continuazione, né i Comuni collaborano a sufficienza. Le toghe onorarie sono state mortificate, anche se sulle loro spalle si riversa un carico enorme di lavoro. Il personale è insufficiente, e procuratori come Armando Spataro a Torino ne hanno fatto una battaglia. C’è da chiedersi se davvero sia possibile coltivare l’illusione, com’è scritto nel contratto di programma M5S- Lega, di costruire nuove strutture e assumere magistrati e amministrativi. Con quali soldi? Bari insegna che il disastro si nasconde dietro l’angolo.
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