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PIANO STRATEGICO LA REGIONE È FERMA

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LETTERE


CARLO DE LUCA

NON si può non condividere l’appello lanciato alcuni giorni fa da un gruppo di intellettuali napoletani sulla urgenza della pianificazione, con particolare attenzione al Piano paesaggistico della Regione Campania e al Piano strategico della Città Metropolitana.
Per entrambi si lamenta un preoccupante ritardo con evidenti ricadute sui territori, che invece reclamano azioni di tutela e di valorizzazione, ma anche strategie per lo sviluppo.
Attualmente in Campania sono ancora in vigore i Piani paesistici della metà degli anni Novanta la cui redazione, in virtù dei poteri sostitutivi, fu affidata dal Mibac alle Soprintendenze. Oggi i nuovi Piani paesaggistici, con il Codice del paesaggio del 2004, sono presenti solo in quattro regioni italiane, Toscana, Puglia, Piemonte e Friuli Venezia Giulia. È dunque diffuso nel nostro paese il ritardo sulla pianificazione paesaggistica, anche se il recente rapporto sullo stato delle politiche per il paesaggio, ci consegna un bilancio non proprio sconfortante.
Pur essendo ancora esteso il fenomeno dello sprawl urbano con un consumo di suolo agricolo tuttora consistente, si fa strada un modo diverso di intendere il paesaggio o meglio, i paesaggi del nostro paese, come espressioni molteplici della nostra identità.
Governare oggi i paesaggi significa prima di tutto riconoscerne le valenze attraverso un preliminare processo di conoscenza e di ascolto, per poi tracciare un progetto di sviluppo per il futuro, coniugando le istanze della tutela con quelle della trasformazione e della valorizzazione.
In questo senso la Regione Campania, dopo un’iniziale dichiarazione d’intenti, dovrà rapidamente riprendere la sua attività di pianificazione, misurandosi con un territorio che contiene molti “paesaggi”, da quello costiero che si estende per quasi 500 chilometri, ai paesaggi naturali con un’estrema biodiversità vegetale e animale, ma anche con la fragilità di alcuni paesaggi protetti come quello vesuviano, ai paesaggi urbani, a quelli storico-culturali dei borghi e dei siti Unesco, alla grande risorsa dei paesaggi archeologici, ma anche ai paesaggi colpiti dall’inquinamento ambientale, o a quelli segnati dall’abusivismo edilizio, ancora così presente in tante aree della regione.
C’è bisogno di nuovi approcci strategici, di impostazioni complessive e condivise, anche alla luce della nuova programmazione europea, per non limitare tutto e solo ad una questione di risorse, ma per ripartire dalle strategie e dalle pianificazioni dei territori. In questo senso, passando alla Città Metropolitana e al piano strategico, il tema dell’assenza di pianificazione assume qui connotazioni ancora più preoccupanti.
Il Piano strategico rappresenta lo strumento fondamentale di governo del territorio che si sarebbe dovuto avviare da tempo, ma di cui c’è solo una timida proposta di delibera d’indirizzo, presentata nel giugno scorso. I limiti legislativi più volte richiamati e, anche qui, l’assenza dell’istituzione regionale a fissare funzioni e ruoli del nuovo ente, non hanno certo contribuito ad uscire da questo impasse. Resta tuttavia incomprensibile l’inerzia di un’istituzione che, ormai a tre anni dalla sua formazione, ancora non decide di procedere, mentre le altre città metropolitane, pur con problemi analoghi, stanno già lavorando ormai da tempo in questa direzione, addirittura alcune come Milano e Genova hanno già approvato il Piano strategico. Un’assenza di pianificazione che sta producendo una sorta di strategia per parti, se si pensa al Grande Progetto Pompei e all’indirizzo strategico che lo definisce, in assenza di un assetto più generale o anche di una zona omogenea attraverso la quale questa iniziativa avrebbe ritrovato maggior respiro e coerenza. Un’inerzia che manifesta tutta la difficoltà a cogliere le potenzialità di sviluppo offerte dal nuovo ente territoriale ma che, invece, così com’è a Napoli, si presenta solo come una versione ridotta e depotenziata della vecchia provincia, quasi ad averne nostalgia. È forse la scelta del silenzio, come ha affermato Attilio Belli, per una evidente incapacità di affrontare i rischi della partecipazione pubblica, ormai connessa alla pianificazione. Ma è un silenzio fragoroso, che pesa sui cittadini, rispetto al quale non si può più rimanere indifferenti.
L’autore è presidente di InArch Campania
©RIPRODUZIONE RISERVATA

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