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Diario da Raqqa

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la guerra in medio oriente

Un italiano in prima linea “Così è stata cacciata l’Isis”
KARIM FRANCESCHI
12 LUGLIO

UNA FAVELA COI GRATTACIELI

Vista da qui, dalla riva del fiume Eufrate, la città antica di Raqqa pare una favela coi grattacieli. Per l’Isis quei palazzoni alti e incastrati uno sull’altro saranno un bel vantaggio strategico. Aspetteremo la notte per avanzare, non c’è altra possibilità. Nel mio battaglione siamo in venti: anarchici spagnoli, ex soldati britannici, trotzkisti, tedeschi, canadesi, due finlandesi e un italiano. Abbiamo fucili da cecchino, kalashnikov, i bazooka presi ai miliziani, visori notturni, bombe a mano. Ho tre radio e un tablet nella tasca della giacca, i satelliti americani mi inviano le coordinate dei bombardamenti aerei. Siamo arrivati nel pomeriggio dalla nostra base di Shaddadi, a bordo di due Toyota, ora siamo sistemati nella villa di un emiro nella periferia est della città. La campagna per liberare Raqqa è iniziata a novembre e a guidarla è un generale curdo donna, Heval Tulin. L’Sdf, l’esercito delle forze democratiche siriane, ha circondato la città. Un assedio. Loro non possono uscire, noi dobbiamo entrare. Il fronte ovest lo chiamiamo il “Kobane”, perché è controllato dai curdi di quel cantone. A sud c’è l’Eufrate, e di non si passa perché i due ponti sono stati distrutti. Noi siamo appostati a sud est, lungo la riva del fiume. Questa è la capitale del Califfato e il pensiero mi disorienta. Ancora una volta, eseguo mentalmente l’esercizio di ricordare a me stesso chi sono: mi chiamo Karim Franceschi, ho 28 anni, vengo da Senigallia e sono il comandante del battaglione degli internazionali. L’unico comandante italiano a Raqqa.

12 LUGLIO, NOTTE LA RIUNIONE COI GENERALI

I sei generali curdi del fronte est parlano tra loro da un’ora e finalmente mi danno la missione: conquistare il quartiere della moschea, cioè due chilometri quadrati a forma di trapezio dove si trovano i palazzi della Banca centrale della Siria e del governatorato. Sono seduti in cerchio attorno a una tavola rotonda immaginaria, i generali. Ognuno con il proprio fucile d’assalto M4. Entra un settimo generale, americano: «Abbiamo due elicotteri Apache e un drone, li faremo volare nelle prossime sei ore. Se farete operazioni, comunicatecelo». Non sappiamo quanti jihadisti sono rimasti a Raqqa, dicono 5.000 ma credo sia una stima per difetto. Un generale mi indica sulla mappa il quartiere obiettivo. I nostri sono stati respinti dai cecchini già cinque volte. La zona è completamente minata. «Come pensi di arrivarci, Heval Marcello?». Un’idea ce l’ho.

14 LUGLIO IL GIORNO DELL’ASSALTO

L’erba alta mi sfiora il mento, mentre avanziamo lungo la riva paludosa dell’Eufrate. Ho scelto questo percorso perché è un acquitrino e le mine antiuomo non convenzionali dell’Isis, che si attivano con sensori acustici e sono alimentate a batteria, qui non dovrebbero esserci. Spero. La squadra d’assalto è composta da 8 compagni del battaglione internazionale, divisi in due team: il primo è guidato da me, il secondo da Heval Ariel, un finlandese di 22 anni freddo come il ghiaccio. Non l’ho mai visto avere paura. La città è muta, sento il verso dei grilli mescolato al rumore dell’acqua. Col visore termico a infrarossi vedo solo cani randagi davanti a noi, i civili sono barricati in casa. La radio gracchia l’entusiasmo degli altri due plotoni d’assalto, che stanno avanzando più a nord. Hanno preso due edifici, festeggiano. Un secondo dopo è l’inferno… colpi di kalashnikov sulla nostra destra, raffiche di mitragliatore, esplosioni. Raqqa ora non è più muta, è un frastuono mortale. Dalla radio i compagni feriti chiedono aiuto disperatamente. Qualcuno è morto. I miliziani dell’Isis ci stavano aspettando. Appostati, disciplinati. Silenziosi.

21 LUGLIO MESSAGGIO ALLA POPOLAZIONE

La moschea è intatta, i mortai non l’hanno mai sfiorata in tutti questi mesi. Il minareto domina il quartiere che dobbiamo conquistare. Siamo entrati facendo saltare la porta con l’esplosivo e ci siamo ritrovati nella sala di preghiera, ampia e pulita. Salgo al piano di sopra, sul tetto. Non c’è nessuno. Mi guardo intorno: Raqqa è una città bellissima, nonostante quei cinque palazzi avvolti dalle fiamme, falò in questa notte d’estate e di guerra. Il sibilo di un proiettile mi riporta alla realtà e a un cecchino che per fortuna è troppo lontano per aggiustare la mira. Scendo nella sala del muezzin, accendo l’altoparlante. Finora non ho visto un solo civile tra i ruderi della nostra zona. «A tutti i cittadini: la moschea è sotto il controllo dell’esercito siriano democratico», dico al microfono, in arabo. «Muovetevi verso la moschea per avere soccorsi, acqua e cibo». La mattina dopo 500 abitanti di Raqqa oltrepassano le nostre linee e sono soprattutto vecchi, donne e bambini. Tre di loro sono stati ammazzati dall’Isis appena usciti di casa. Una donna con un bambino in braccio si è fatta saltare in aria per strada. I superstiti mi raccontano che hanno dovuto bere per settimane l’acqua lercia dell’Eufrate, bollendola nelle pentole. E che i negozi sono stati svuotati dai miliziani prima dell’assedio, i quali poi hanno preteso una “donazione” obbligatoria di cibo. Gli abitanti di Raqqa sono stremati. Più di noi.

26 LUGLIO CIRCONDATI DAL NEMICO

Siamo circondati dall’Isis, nei pressi di un palazzo rosso che usano come quartier generale. Sono nascosti con i kalashinkov dietro i buchi dei muri, avanzano pancia a terra tra le carcasse delle automobili. Si avvicinano ancora. Heval Guevara spara tre colpi in successione, io tolgo la sicura al fucile e comincio a sparare in automatico, al buio, senza sapere a chi. I jihadisti rispondono al fuoco, sono ovunque. Usiamo il bazooka, le bombe a mano stanno finendo, cambio tre caricatori e penso che stavolta siamo spacciati. Invece no, scappano. Non tutti. Otto di loro rimangono a terra.

1 AGOSTO MOONAGE DAYDREAM

Dagli altoparlanti scassati della Toyota esce la voce di David Bowie che canta Moonage Daydream. L’ascoltiamo ogni mattina alla nostra base, se le operazioni notturne sono andate bene.
Moonage Daydream, la colonna sonora del battaglione internazionale dello Ypg. Alla base ci prepariamo la colazione: tè, avanzi della cena, patatine fritte e pollo fritto. Sempre le stesse cose. Dormo tre ore a notte ma non mi lamento: sono un volontario, non sono pagato per stare qui. Il mio battaglione ha accumulato esperienza di guerra, ormai. I partigiani siriani invece no: combattono per riprendersi la loro città ma hanno appena 15 giorni di addestramento, usano radioline giocattolo con lucine rosse e verdi che diventano bersagli nella notte, non hanno visori termici, non sanno niente di strategia. Sanno a malapena sparare. Eppure sono loro i più numerosi nell’Sdf.

7 AGOSTO I DUE FRONTI SI UNISCONO

Il fronte “Kobane” ha spinto molto da ovest, noi siamo penetrati in direzione delle mura antiche, il cuore di Raqqa. A ridosso della vecchia banca centrale della Siria ho visto i compagni curdi. Urlo con tutto il fiato che ho nei polmoni «Kobane!», e li saluto col braccio. Mi rispondono «Heval!». Vederli ci dà speranza. Poco dopo ci accorgiamo che alle nostre spalle una macchina telecomandata, un giocattolo con qualcosa di nero sopra, arranca verso di noi. Non capiamo. Non faccio in tempo ad avvertire il mio team, l’esplosione è più veloce di me. Quel qualcosa di nero è un pezzo di artiglieria, l’Isis ci ha individuato spiando le nostre frequenze radio. Diversi compagni sono ricoperti di polvere, sono feriti. Ci sparano addosso anche con il lanciarazzi: un arabo dell’Sdf è stato colpito, l’impatto gli ha strappato una gamba e un braccio. Ora respira a fatica. Quaranta minuti di agonia, poi il suo petto smette di muoversi.

10 AGOSTO IL DISERTORE

I jihadisti sono rintanati nei bunker e nei tunnel sotto la città. Sono gallerie che hanno preparato mesi fa, lunghe anche quattro chilometri e molto ampie, tanto che ci possono viaggiare i pick up con le mitragliatrici. Collegano la cittadella storica, dove sono asserragliati, e alcune periferie. È stato un disertore del Califfato a disegnarci sulla mappa il tracciato dei tunnel. L’abbiamo interrogato, dopo averlo visto venire verso di noi con le braccia alzate. Dice di sentirsi tradito perché tutti i comandanti di alto livello dello Stato Islamico, compreso forse Al Baghdadi, sono fuggiti molto prima del nostro arrivo. A chi rimaneva hanno promesso che sarebbero tornati presto con i rinforzi da Mosul, ma non si sono più visti. Li hanno abbandonati.

26 AGOSTO QUASI MORTO

Fine agosto, a nord i nostri hanno superato il castello. Siamo a ridosso delle mura antiche, l’ultimo baluardo. È il caos assoluto. Non c’è più alcun senso tattico né strategia, passiamo da un edificio all’altro mentre l’Isis prova a fermarci coi cecchini, i bombardamenti degli americani colpiscono qualsiasi cosa si muova nelle linee del nemico. Rischiamo di spararci addosso a ogni scontro. Quest’edificio buio di quattro piani mi dicono essere presidiato dai compagni, dovrebbe essere sicuro. Sto controllando l’area attorno a noi con il visore del fucile termico.
Neanche me ne sono accorto da dove è partito quel razzo... il pavimento si è aperto sotto ai miei piedi, lo spostamento d’aria mi ha sbattuto tra i muri mentre precipitavo, rallentando la caduta. Un volo di quindici metri, perdo sangue dalla testa. Sono steso sotto un cumulo di macerie, provo ad accendere la torcia. La schiena mi fa un male cane. I miei compagni sono vicini, li sento.

17 OTTOBRE LA TRATTATIVA: RAQQA È LIBERA

Due costole rotte, quattro schegge in testa, spalla e ginocchio con i legamenti lesionati. Sono in ospedale a Derek, e questo è il referto dei medici. Ho passato il comando del battaglione a Heval Hoger. A metà ottobre l’Sdf è riuscito a conquistare lo stadio nel centro, Raqqa è libera. Abbiamo vinto, ma è una vittoria amara: l’80 per cento della città è distrutta e l’Sdf ha trattato la resa con gli ultimi irriducibili. A molti miliziani dello Stato Islamico è stato consentito di scappare portandosi via un’arma. Dove siano adesso, non lo so. Sono comunque felice perché nel mio battaglione abbiamo avuto solo due feriti, io e un ragazzo tedesco. I miei amici sono salvi. E io pure.
©RIPRODUZIONE RISERVATA

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