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Cinismo e furbizia Verdini il mefistofele del potere girevole

le scelte dei partiti
Da uomo forte di Berlusconi a “idraulico di Renzi”. Nel Palazzo il dilemma ora è: come farne a meno se la causa è buona?
FILIPPO CECCARELLI

IERI IN AULA
È giusto e anche utile convincersi che i mostri non esistono, tanto meno in politica, e nel potere meno che meno. Però l’Italia si merita un Verdini?
La risposta è sì, purtroppo, anche se per certi aspetti è una specie di fortuna che ci sia, e comunque Denis Verdini si è messo a disposizione e il pensoso premier Gentiloni se l’è preso. Amen.
Giusto due anni orsono, era l’ottobre del 2015, sul trespolo Sky di Maria Latella tra una chiacchiera e l’altra l’ex Orco del Patto del Nazareno si era esibito, va da sé senza alcuna vergogna, in un ispirato gorgheggio: «La maggioranza, sai, è come il vento...». E ieri il vento l’ha reso decisivo nel far passare l’ennesimo capolavoro legislativo, in tal modo salvando la patria e ancor più il governo dallo schianto. L’esperienza consiglia di non lasciarsi troppo ingannare dalle orgogliose rivendicazioni sul contributo da lui reso e dai suoi alle unioni civili o sull’impegno a proposito dello Ius soli. Con lo stesso slancio Verdini avrebbe potuto tranquillamente votare una legge a favore delle unioni incivili, come pure per il ripristino della schiavitù. Sul realismo politico e le sue applicazioni, da Hobbes in poi, esiste del resto la più vasta letteratura. Ma se all’antico cinismo dell’homo
homini lupus si assomma la vacuità post-ideologica di questo tempo sciaguratello, beh, l’effetto è doppio, e non saranno le reiterate esibizioni canore o magari il negoziabile sostegno alla legalizzazione della cannabis a nasconderlo.
Ieri, in aula, Verdini ha anche ricordato la sua antica militanza repubblicana e un altro accenno, per quanto ipotetico e paradossale, ha fatto al proposito di battersi perché l’Italia resti unita. Ma al dunque nessuno più di lui ha meglio assecondato la trasformazione della Repubblica in monarchia berlusconiana; per non dire che ha incoraggiato i capricci del sovrano fino a tagliarsi i baffi dato che Re Silvio non si fida di chi li porta. Dopo di che ha mollato la corte di Arcore e si è spostato sul lato in ombra del giglio magico, dove pure esisteva un certo pregresso, per infine proclamarsi in letizia “l’idraulico di Renzi”.
E tuttavia è vero che per spostare qualcosa dentro i palazzi del potere è indispensabile sporcarsi le mani, talvolta fino ai gomiti e oltre; e se si è fatto un passo avanti sul piano dei diritti civili, o se c’è qualche speranza di sanare un’ingiustizia aprendo un orizzonte a migliaia di cittadini venuti da lontano, beh, ecco che ritorna l’inverosimile rompicapo iniziale: come fare a meno di Verdini utilizzandolo a buon fine?
Con il dovuto azzardo, oltre a incarnare l’eterna ambiguità dell’arte politica, egli sopravvive, resiste e anzi guadagna posizioni perché interpreta l’autobiografia della nazione. Nel senso che tiene in sé il tocco furbo e vistoso della commedia, la propensione intimidatoria al melodramma, l’afflato sinistro della prepotenza, quello destro della più simpatica cialtroneria, oltre all’arte di arrangiarsi, anche troppo, come si potrebbe dedurre dalla sua Maybach, un’automobile da emiri che nessuno della scorta s’azzardava a guidare.
Ieri nell’aula di Palazzo Madama ha fatto il classico numerone. Ma la stessa coraggiosa gigioneria Verdini aveva messa in scena nell’aula del Palazzo di Giustizia in uno dei suoi sei processi, quello della cosiddetta P3. Per cui dopo essersi paragonato al facilitatore di Pulp fiction,
Wolf, accortosi che c’erano i giornalisti ha seguitato a darci dentro con Guicciardini e Orson Welles fino a quando il presidente non è stato costretto a intimargli: «Si rivolga a me».
Insomma, dice il vero Verdini quando fa presente che c’è sempre stato. Ma non con Spadolini, con Berlusconi, con Renzi o con Gentiloni: con tutti e con nessuno, quindi principalmente per se stesso. Personaggio e insieme maschera esemplare, proverbiale, ricorrente; insieme prototipo, movente e sintomo; se è consentita una smargiassata intellettualistica, figura ciclicamente archetipale.
Ogni epoca, in altre parole, ha avuto i suoi Verdini; riconoscibili, nelle loro varianti a seconda dell’estetica, della fisiognomica, della geografia e magari, con qualche poetica licenza, perfino della letteratura. Nel caso specifico la capigliatura leonina, l’andatura baldanzosa, il linguaggio spiccio, l’oro al polso, il campo d’azione e l’originaria professione di beccaio (commercio di carne) fanno del più controverso e determinante sostenitore del governo un tipico personaggio da Divina Commedia, di quale cantica pare qui superfluo indicare.
Non molto tempo fa, soffermandosi su certe morbide scarpine di camoscio blu che rifulgevano ai piedi di quel fisico massiccio, il senatore Gotor, Mdp, ha valutato l’incompatibilità antropologica tra Verdini e chissà che cosa. Ma la politica è un’altra cosa, e la teratologia, o scienza dei mostri, un innocuo passatempo in attesa del tutto e del nulla.
©RIPRODUZIONE RISERVATA
Rivendica appena può la militanza repubblicana Si tagliò i baffi perché a Re Silvio non piacevano Durante uno dei suoi sei processi si paragonò a Wolf, il “facilitatore” del film “Pulp fiction”
FOTO: © ANSA
Denis Verdini annuncia il sì di Ala alla legge elettorale.
Accanto a lui il capogruppo Lucio Barani. Verdini ha detto tra l’altro: “Dicono: è cambiata la maggioranza.
Non è vero. Noi c’eravamo, ci siamo e ci saremo fino all’ultimo giorno della legislatura”

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