Prima
IL VOTO PER ABROGARLI
MICHELE AINIS
LA vitalità del vitalizio dipende dal suo vizio. Un vizio d’incostituzionalità, che la legge proposta da Richetti alleva come un pargolo attaccato alla mammella. Siccome la commissione Affari costituzionali del Senato oggi comincerà l’allattamento, siccome il latte marcio può avvelenare la creatura, siccome tuttavia potrebbero ben darsi altre soluzioni per sbarazzarci dell’abuso e del sopruso, proviamo a mettere in fila le questioni.
Primo: i fatti. Risalgono al 1954, quando il Consiglio di presidenza del Senato introdusse l’istituto. Due anni dopo fecero altrettanto i deputati. Ma in realtà il vitalizio deriva dall’indennità parlamentare, protetta dall’articolo 69 della Costituzione. E quest’ultima a sua volta discende dalla garanzia forgiata ai tempi della Rivoluzione francese, per assicurare l’indipendenza degli eletti, ma soprattutto per consentire l’elezione anche di chi non abbia rendite e maggiordomi al suo servizio. Dopo di che, come succede spesso alle nostre latitudini, la garanzia si è trasformata in sinecura. Elargita per pochi giorni di mandato, senza alcun tetto massimo, e per importi sempre più rigonfi. Da qui un giro di vite: nel gennaio 2012 le Camere correggono il proprio trattamento pensionistico affidandosi al sistema contributivo, come accade per tutti i dipendenti pubblici. I vitalizi degli ex parlamentari, viceversa, rimangono agganciati al sistema retributivo, né più né meno di chi sia andato in pensione prima della riforma Fornero.
SEGUE A PAGINA 41 CONCETTO VECCHIO A PAGINA 15
SENNONCHÉ il ddl Richetti — approvato a fine luglio dalla Camera, e adesso all’esame del Senato — trafigge anche il passato. Dunque stop ai vecchi emolumenti, con una riduzione del 40 per cento (secondo i calcoli dell’Inps) per 2600 ex deputati e senatori.
Secondo: i problemi. Che derivano anzitutto dalla quantità dell’intervento, dai suoi effetti dirompenti sulle aspettative di quanti fruivano già del vitalizio. Non perché i diritti quesiti siano altresì intangibili, irrevocabili, immarcescibili. Però altro è comprimerli, altro è sopprimerli. Altro è un prelievo straordinario, altro un dimezzamento permanente. È un rilievo già avanzato da vari costituzionalisti con un passato alla Consulta (Onida, Cheli, Tesauro), e a sua volta fondato su numerose sentenze costituzionali (in ultimo, n. 216 del 2015 e n. 173 del 2016). Si chiama principio di proporzionalità, si chiama legittimo affidamento sulle promesse formulate dallo Stato. E d’altronde come reagiremmo tutti noi se improvvisamente una legge ci asciugasse la pensione?
Ma c’è poi una questione formale, oltre a quella sostanziale. Decisiva anch’essa, perché il diritto è procedura, è una forma che conforma il nostro vivere associato. Succede infatti che i vitalizi siano sempre stati disciplinati dai regolamenti interni delle Camere, non dalla legge. E poiché ogni legge viene timbrata dall’intero Parlamento, se stavolta si segue la via legislativa ne scaturisce l’interferenza d’una Camera sull’autonomia costituzionalmente garantita all’altra Camera. Del resto — come osservò il presidente Grasso nel febbraio 2015, perorando il taglio dei vitalizi (quello sì, sacrosanto) per gli ex parlamentari colpevoli di gravi reati — «l’organo che produce una norma è l’unico che possa modificarla». A meno che non intervenga una norma superiore, che in questo caso può essere soltanto la Costituzione, non la legge.
Domanda: ma allora non c’è nulla da fare, allora abbiamo le mani legate come Cristo dinanzi agli abusi del passato? Niente affatto. Possiamo imporre un’una tantum sui vecchi vitalizi, un prelievo di solidarietà. Possiamo fissare un tetto (talune situazioni gridano vendetta). Possiamo vietare il cumulo del doppio o triplo vitalizio per chi sia stato consigliere regionale, deputato, poi magari parlamentare europeo. Possiamo far confluire tutto il percorso previdenziale in un solo canale, evitando che lo Stato paghi due volte la pensione dei dipendenti pubblici ex parlamentari (con il contributo figurativo e con il vitalizio su base retributiva). E possiamo, certo, sforbiciare i vecchi emolumenti, senza però decapitarli. Possiamo farlo perché in questi anni è cambiato (e meno male) il nostro senso di giustizia, oltre che (ahimè) la nostra economia. Oggi sarebbe intollerabile andare in pensione a quarant’anni, come succedeva un tempo nella scuola; ma ciò non significa che sia lecito rispedire in servizio i pensionati. Nessuna legge è una macchina del tempo.
Domanda-bis: ma tutte queste cose i parlamentari italiani non le sanno? Probabilmente sì, ma preferiscono lasciare il lavoro sporco alla Consulta. Difatti i voti contrari sul ddl Richetti, alla Camera, sono stati appena 17. E dopotutto le leggi incostituzionali sono così comode, così preziose: ti fai bello davanti ai tuoi elettori, e non procuri nessun danno ai tuoi ex colleghi.
michele. ainis@ uniroma3. it
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“ I no al ddl Richetti sono stati solo 17 Forse i parlamentari sperano nella Consulta
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