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Due americani e un cinese originari della penisola al lavoro, obiettivo coinvolgere Pechino Il segretario alla Difesa Mattis frena le minacce di Trump: non si esclude mai la diplomazia
ANGELO AQUARO
DAL NOSTRO CORRISPONDENTE
PECHINO.
Le parole sono missili: ma chi vincerà nella corsa contro il tempo tra armi e diplomazia? Segnatevi tre nomi: Victor Cha, Joseph Yun e Kong Xuanyou. Due americani e un cinese: ma tutti uniti dalla comune origine coreana. Mentre Kim Jong-un fa il pelo a mezzo Giappone, facendo volare l’Hawsong-12 sull’isola di Hokkaido, da New York a Pechino il dialogo riparte per una volta con lo stesso obiettivo: parlare, almeno, la stessa lingua. E vorrà pure dire qualcosa se si tratta proprio della lingua del Cattivissimo Kim – che intanto non si trattiene dal lanciare nuove minacce a Guam.
La svolta può avvenire già con trla nomina del nuovo ambasciatore Usa a Seul. Donald Trump su Twitter continua a fare la voce grossa: «Gli Usa hanno discusso con Pyongyang per 25 anni sborsando denaro estorto: non è tempo di dialogo!». E peccato che a smentirlo, dopo aver già frenato sullo stop ai transgender nell’esercito, sia ancora una volta il capo del Pentagono: la via diplomatica, dice Jim “Cane Matto” Mattis, è quella prioritaria. Ma ormai è chiaro: presidente che abbaia non morde. E mica per caso Trump si sarebbe adesso deciso a colmare il vuoto di sei mesi a Seul scegliendo come suo ambasciatore Victor Cha: grande conoscitore della penisola, autore del bestseller Corea: lo stato impossibile, ex consigliere di George W. Bush e negoziatore dei colloqui a Sei – nonché, e forse soprattutto, di origine coreana. Proprio pochi giorni fa Cha ha indicato sul Washington Post una delle strade per uscire dall’incubo di Kim: coinvolgere la Cina. Ma non come Trump ha fatto finora, e neppure come chiede Pechino, che propone a Kim la sospensione dei test in cambio della sospensione delle esercitazioni Corea- Usa. Accordiamoci con Pechino, dice invece lo studioso che è anche amico personale di Fareed Zakaria, star di Time e Cnn – Rovesciamo su di loro la responsabilità del dialogo, dicano chiaramente a Kim: vuoi gli aiuti, vuoi il nostro appoggio? Fermati.
La Cina, nel suo piccolo, ci sta provando. Proprio la settimana scorsa Kong Xuanyou ha sostituito nel difficilissimo ruolo di mediatore Wu Dawei, l’uomo che un esponente Usa intercettato da WikiLeaks definì «il funzionario più incompetente», inutilmente incaricato da 13 anni dei contatti con i Kim. Kong è invece l’attuale numero uno del team Asia degli esteri, il cinese che parla meglio il giapponese al mondo e ha quindi grandi entrature a Tokyo (in questi giorni non guasta) nonché braccio destro del ministro Wang Yi. E, soprattutto, anche lui di origini coreane.
E che dire di Joseph Yun? Da quando è lui il titolare del cosiddetto “canale di New York”, l’unica via di contatto tra Usa e Corea del Nord è più trafficata che mai, grazie anche al feeling con Pak Song Il, la più alta funzionaria del Nord all’Onu. È stato Yun a gestire il triste rientro di Otto Warmbier, lo studente finito misteriosamente in coma e poi morto. Ed è lui che adesso tratta per gli altri tre americani ancora ostaggi del regime. Proprio la liberazione dei prigionieri sarebbe infatti il primo step di un possibile dialogo. Perché hai voglia a inseguire i gossip del Shukan Gendai: Trump, dice il settimanale giapponese, ha promesso a Shinzo Abe che prima di Natale riuscirà a negoziare con Kim. Possibile? Sono altre le piste che bisogna seguire: come la liberazione del pastore canadese-coreano Hyeon Soo Lim, che tutti vedono anche come un segnale lanciato da Pyongyang all’America. E dunque Yun, Cha e Kong: tre coreani per dialogare con le due Coree? È solo una coincidenza, ma Victor Cha è anche tifoso di quei Knicks adorati da Kim: la via della trattativa sarà anche lunga, ma finalmente si parla la stessa lingua.
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Joseph Yun sta trattando sugli ostaggi Usa: la loro liberazione il primo passo di una trattativa?