mondo
Il racconto
I testi integrali dei colloqui svelano un presidente teso e insicuro
VITTORIO ZUCCONI
Si dovevano attendere 30 anni per sapere che cosa un presidente americano dicesse nelle sue telefonate e conversazioni private. Ma nell’era Trump bastano pochi mesi perché le parole fuggano dalle stanze dell Casa Bianca e raggiungano i media, tra virgolette e nastri audio impossibili da smentire con la formula stanca delle “fake news”. È proprio lui, il Donald, quello che perde le staffe con il presidente messicano Peña Nieto, con il premier australiano Turnbull e piagnucola che lo stanno mettendo nei guai, ridicolizzandolo con il “Muro” che i messicani non pagheranno mai o con i duemila profughi detenuti dagli australiani che Obama si era impegnato ad accogliere e che Trump non vuole. «Perché tra loro ci sono sicuramente i bad guys », i terroristi, «magari non come quelli delle Torri Gemelle, ma cattivi».
Mai nessun presidente ha esternato tanto e concluso meno nei primi 180 giorni della sua Amministrazione e dalla alluvione di interviste, tweet, telefonate incredibilmente – e forse illegalmente – passate da cortigiani infedeli, sgorga il suo estroverso narcisismo avvelenato dall’insicurezza. Sono usciti i testi e una registrazione delle interviste concesse al New York Times e al direttore del Wall Street Journal, un amico e frequentatore degli stessi ambiente: e tutte le ossessioni, le ansie, le profonde insicurezza di un incontenibile vanesio che non conosce via di mezza fra l’adulazione e il rancore, affiorano. Detesta e disprezza il ministro della Giustizia Sessions - che lui scelse, ma che poi si autoescluse dalle indagini sul Russiagate, come vuole la legge - e cerca di spingerlo a dimettersi. «Se avessi saputo come si sarebbe comportato, non lo avrei mai nominato».
Dice di ammirare Macron «uno al quale piace molto stringere la mia mano e non mi lasciava più andare» - e la lezione di storia che gli ha impartito. «Mi ha spiegato chi era Napoleone, come ha rifatto Parigi, ma poi si è allargato troppo e ha voluto andare in Russia e non è finito molto bene». Informa di avere chiesto consigli a Benjamin Netanyahu su «come si costruisce un muro alla frontiera ». E in fondo ammette di avere ammirato Hillary Clinton«una donna preparatissima».
Ma è nelle due conversazione telefoniche avute pochi giorni dopo l’insediamento con i leader di Messico e Australia che la vera preoccupazione centrale che consuma Trump emerge: l’ansia di perdere la faccia con il suo elettorato. A Malcol Turnbull ripete con parole disperate che rispettare l’accordo firmato con Obama per accettare 2mila rifugiati lo farebbbe apparire “ dope”, un babbeo. «Mi farebbe fare una figura orribile». Si agita e si irrita quando Turnbull gli ricorda che le intese formali firmati da capi di governo vanno rispettate anche dai successori. Donald chiude bruscamente la conversazione, non dopo avere detto al premier australiano: «Questa è la peggior telefonata che abbia avuto».
La stessa esasperazione esplode con Peña Nieto, il presidente messicano che aveva ridicolizzato la promessa di far pagare a lui e al Messico la Grande Muraglia anti-immigrazione. «Devi smetterla di dirlo in pubblico, Enrique – si rivolge a lui – non puoi dire che è completamente inaccettabile. Che figura di faccio, discutiamo in privato ». Si vanta di avere vinto con una larga percentuale di voti dei Latinos, una bugia, e cita a esempio la maggioranza ottenuta fra i cubani di Miami, come se cubani e messicani fossero assimilabili. «Enrique – si agita Trump – hai fatto un cattivo lavoro con quei boss della droga nel tuo Paese che ora fanno quello che vogliono. Il New Hampshire è una tana di drogati ormai» e non si capisce perché fra tutti gli Stati e le città infestate dalle droghe pesanti, scelga proprio quello. Scatenando l’immediata reazione dei parlamentari del New Hampshire, offesi a sangue. «Io devo, capisci, devo, far pagare il muro a voi, l’ho promesso… è una cosa poca importante, ma politicamente per me è la più importante… i muri funzionano, Bibi Netanyahu mi ha spiegato come funzionano». Enrique, «non puoi dire ai giornali che non pagherai mai». «Capisco », risponde l’altro, ma non transige. «Good bye e grazie», sbatte il telefono Trump.
Queste due telefonate erano riservate e dovevano restare tali, se qualcuno attorno allo Studio Ovale, archiviando la trascrizione che sempre viene fatta delle conversazioni presidenziali non avesse deciso di farle scappare. Cinque mesi più tardi sono sui giornali e in Rete, mentre la Casa Bianca si nasconde dietro il classico «non smentiamo e non confermiamo» di chi non può smentire.
Per fortuna, spiega Donald Trump al Wall Street Journal il 25 luglio, ora ha trovato l’uomo giusto, lo stagnino per tappare i buchi del colabrodo: Anthony Scaramucci. Sei giorni più tardi, il 31 luglio, Scaramucci era licenziato.
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Non erano mai uscite tante conversazioni coperte da segreto come in queste settimane
FOTO: © MUSSA QAWASMA/ REUTERS
Un uomo fotografa un murales che ritrae il presidente americano (che dice “sto per costruirti un fratello”) sulla controversa barriera a Betlemme