30/7/2017
L’era di Bergoglio
Il presidente della Cei.
La missione del cardinale Gualtiero Bassetti. “La cultura della carità come antidoto agli egoismi. Chi difende la vita nascente non può essere xenofobo”
PAOLO RODARI
IL PRESIDENTE CEI
IL PRESIDENTE CEI
ROMA.
«Non sono un politico e, del resto, la Chiesa non è certo un partito; soprattutto, mai deve “essere ossessionata dal potere”, come ha ammonito il Papa al Convegno ecclesiale di Firenze. Vivo, semmai, una tensione e un’aspirazione a discernere “i segni dei tempi” alla luce del Vangelo. Un discernimento che vedo orientato da tre concetti, che saranno la bussola del mio impegno: annuncio, unità e carità».
Due mesi esatti dopo la nomina a presidente dei vescovi italiani, il cardinale Gualtiero Bassetti parla con Repubblica della sua missione tutta incentrata a far recuperare alla Chiesa la sua missione originaria
In cosa consiste?
«La prima missione dei cristiani consiste nell’annuncio del Vangelo nella sua radicale e rivoluzionaria semplicità; un annuncio gioioso, come ci ricorda l’Evangelii Gaudium, attento a promuovere la persona umana nella sua interezza. Vorrei, quindi, favorire con tutte le forze una spiritualità dell’unità, attraverso una maggiore collegialità tra i vescovi, un migliore raccordo tra centro e periferia e una maturazione della responsabilità dei laici. Quanto alla cultura della carità, la vedo come l’antidoto agli egoismi sociali, ai particolarismi e agli individualismi sempre più diffusi ».
Alcuni osservatori hanno letto la sua nomina come la fine del tempo della “Cei politica”. La fine insomma del “modello Ruini” basato sui valori e l’attivismo. È così?
«Non è un problema di modelli o di attivismo, quanto di avere la piena consapevolezza del cambiamento d’epoca che ci coinvolge tutti — credenti e non credenti — e che non possiamo soltanto subire. Alcuni anni fa, invitai in diocesi Zygmunt Bauman a parlare non solo della società liquida attuale ma anche del futuro: la mia sensazione è che siamo di fronte ad una “nuova questione sociale” che investe non solo la sfera economica, ma anche quella antropologica, culturale e spirituale. Penso, per esempio, alla produzione sempre più robotizzata e quindi sempre meno bisognosa di manodopera umana, alle nuove forme di comunicazione che cambiano in profondità le relazioni interpersonali, fino alle applicazioni biomediche sul corpo umano che arrivano a potenziarlo e a trasformarlo. Bisogna “ritornare all’uomo” come dicevano filosofi personalisti come Maritain e Mounier».
Fino a prima dell’arrivo di Francesco i princìpi non negoziabili indirizzavano l’agire pubblico dei vescovi, poi non è stato più così. Certo, gli stessi vescovi e Francesco non li hanno negati, semplicemente non li hanno più messi in cima alla propria agenda. Con lei si continuerà per questa nuova strada?
«A mio avviso, è la questione della prospettiva personalista nel suo complesso che oggi va ripensata. Faccio un esempio concreto, riferendomi alla bioetica e alle migrazioni: attorno a questi due temi si sono formate delle correnti culturali diverse e persino delle opzioni politiche differenti. A me sembra, però, che sia sbagliato leggere questi temi in modo distinto e opposto: non si può, per esempio, difendere la vita nascente e poi sviluppare un sentimento xenofobico verso gli stranieri; oppure, farsi paladini dell’accoglienza dei migranti e poi promuovere l’utero in affitto. Ho la netta sensazione che ci sia un corto circuito destra/sinistra che non permette di capire che al centro di entrambi i temi — bioetica e migrazioni — rimane sempre l’uomo. Anzi, la persona umana, la cui dignità, lo voglio dire in modo molto forte, è sempre incalpestabile ed inalienabile! Bisogna difendere sempre la cultura della vita!».
Nel 2011 i laici cattolici, con la benedizione delle gerarchie, provarono a ripercorre la strada del partito unico trovandosi a Todi. La cosa fallì. Secondo lei esiste ancora questa nostalgia di una presenza unita dei cattolici in politica? Ritiene sbagliato voler essere presenza anche visibile nella società?
«Non è assolutamente sbagliato essere visibili nella società, ci mancherebbe! Penso, però, che ci siano due equivoci di fondo. Il primo riguarda la presenza dei cattolici sulla scena politica: dall’unità d’Italia ad oggi, i cattolici hanno fatto politica in modi diversi e non solo attraverso la Dc. Le forme politiche, dunque, variano a seconda dei periodi storici e non c’è solo quella del partito unico. Senza dubbio, però, oggi tra molti cattolici si percepisce un bisogno, che a volte è un’aspettativa, di una nuova rappresentanza del mondo cattolico. Questo rimane un serio argomento di riflessione per il futuro».
E il secondo equivoco?
«Riguarda la visibilità nella società: a me sembra che, nel vissuto quotidiano degli italiani, i cattolici siano estremamente presenti. La Chiesa italiana nonostante non sia più quella di un tempo è ancora una Chiesa viva e radicata sul territorio. Penso alle parrocchie, ma anche ai movimenti, agli oratori, alle scuole, agli asili, alle attività sportive, alle misericordie, alle mense dei poveri, alle Caritas e ad una miriade di altre opere sociali e religiose. Semmai tutte queste attività del mondo cattolico non sono visibili nei media, ma questo è tutto un altro problema».
Quali sono secondo lei le priorità politiche del nostro Paese?
«Vedo questo Paese alle prese con tre grandi “priorità irrinunciabili”: il lavoro, la famiglia e i migranti. Tre priorità che, però, sono unite da un unico filo comune: l’Italia. Paradossalmente, la sfida più urgente è l’Italia stessa. Bisogna avere la forza, il coraggio e le idee per rimettere a tema l’Italia tutta intera, partendo da un Sud martoriato e dimenticato. È fondamentale avere una visione del futuro di questo Paese nel nuovo contesto mondiale, altrimenti non si può far nulla per i nostri poveri, che sono la vera emergenza nazionale. Nonostante ci siano segnali di ripresa per l’economia, non posso non essere preoccupato di fronte agli 8 milioni di poveri descritti dall’Istat, la metà dei quali non ha di cosa vivere. Sono giovani, sono donne e sono coppie; sono cinquantenni che hanno perso il lavoro e che sono stati scartati dal sistema produttivo. Se vogliamo veramente aiutare la “povera gente”, come la chiamava La Pira, bisogna rimettere l’Italia al centro dei nostri pensieri: con passione, idee e solidarietà».
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INCALPESTABILE
La dignità umana deve restare al centro di entrambi i temi: bioetica e migrazioni
POVERTÀ
“Non posso non essere preoccupato di fronte agli otto milioni di poveri descritti dall’Istat”
FOTO: ©STEFANO CAROFEI / AGF