di VITTORIO FELTRI
Non si parla che di acqua in questi giorni di siccità vera o presunta. L'argomento non mi appassiona, anche se tengo molto alla doccia quotidiana cui non potrei rinunciare per il mio benessere. Dell'igiene mi importa meno. Inoltre all'acqua preferisco il vino (integrato con un paio di whisky quotidiani, da sorbirsi la sera quando rientro a casa dopo aver sopportato ogni genere di scocciature).
Ma dei miei gusti giustamente non importa un fico secco al lettore. ll quale invece ascolta e legge notizie funeste sulla idrocarestia e trema di paura all'idea di non potersi nemmeno dissetare. Ha ragione.
Però se penso che alcuni anni orsono gli elettori votarono a favore del referendum che vietava la liberalizzazione degli impianti, cioè delle tubazioni che ci portano a domicilio il prezioso liquido, mi saltano i nervi. Infatti, l'esito del plebiscito ha confermato che gli acquedotti debbano essere gestiti dagli enti pubblici e non dai privati. Pessima cosa. Non si trattava di privatizzare l'acqua, un bene della collettività, bensì le condutture che essendo nelle mani di enti comunali malandati e, pertanto, trascurate, non godono di una adeguata manutenzione e disperdono colpevolmente circa il 40 per cento del vitale elemento. In altri termini la nostra - già, nostra - non arriva al cento per cento ai rubinetti domestici, ma solo in parte, circa la metà. Il resto esce dai tubi perché gli enti pubblici, a differenza di quelli privati, non capiscono un tubo.
La rete idrica patria è piena di buchi e nessuno si occupa di otturarli per fare in modo che i cittadini possano cucinare e lavarsi a piacimento, senza correre il rischio (...)di trovarsi all'improvviso davanti a una mancata erogazione per cause di forza maggiore.
Il referendum cui abbiamo accennato è stato opera di poveri cretinetti che hanno scambiato la privatizzazione delle condutture, marce e bisognose di riparazioni urgenti, con la privatizzazione dell'acqua e di conseguenza gli italiani, ingannati, presi per il culo, hanno votato a favore dei deficienti che intendevano seguitare a fottersene della efficienza della rete distributiva pur di non consegnarne la cura a imprenditori abili nel settore.
Il risultato odierno è drammatico: a causa del fatto che non piove più, dato che è estate, le riserve idriche sono calate spaventosamente e, oltretutto, non vengono utilizzate interamente perché gli impianti fanno acqua da ogni parte, e tra la fonte e casa nostra il 40 per cento del liquido va a farsi benedire. Più scemi
di così non possiamo essere.
Invece di tutelare le nostre esigenze, abbiamo tutelato le speculazioni delle municipalizzate che, grazie al voto idiota popolare, si sono assicurate la conservazione di un business miliardario dovuto alla circostanza che esse si garantiscono introití mostruosi senza dare a noi un servizio basilare ovvero la fornitura di acqua, che non giunge ai nostri lavandini perché nessuno si
perita di inviarvela. I numerosi guasti provocano fuoriuscite tali da ridurre il Paese a una regione africana.
Ci hanno rubato l'acqua e anziché coi ladri ce la prendiamo col surriscaldamento
del clima, dimenticandoci che nel 1963 la siccità estiva era già d'attualità. Da allora a oggi non è cambiato un tubo.