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TUTTI I LIMITI DELLA FLATTAX

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ALBERTO BISIN
ALBERTO BISIN
IN QUESTI giorni si parla molto sui giornali della proposta di passare a un sistema fiscale centrato su una flat tax al 25% su redditi e consumi. Questa imposta sostituirebbe Irpef, Ires, Iva, e si applicherebbe anche ai redditi delle attività finanziarie. La proposta, formulata dall’Istituto Bruno Leoni (Ibl), è interessante e ben articolata.
Ogni proposta di questo tipo, di riforma generale e completa del sistema fiscale, contiene necessariamente una ambiguità di fondo. Non è chiaro cioè se essa debba essere considerata e giudicata in via teorica, nelle sue caratteristiche economiche indipendentemente dal vincolo politico; o se invece debba essere vista come la migliore riforma che abbia buone possibilità di venir attuata nelle condizioni politiche del momento. Mi concentro sull’analisi economica.
Una flat tax come quella proposta, cioè un’unica aliquota indipendente da reddito o consumo, ha due caratteristiche fondamentali: semplifica enormemente il sistema fiscale e ne limita la progressività. La semplificazione è ovviamente un grande vantaggio, specie rispetto al sistema fiscale in atto nel nostro paese, incrostato da una miriade di tributi, agevolazioni, deduzioni, detrazioni. I limiti che una flat tax impone alla progressività del sistema fiscale sono invece molto problematici. La progressività delle imposte, al di là del fatto che è parte del dettato Costituzionale, è infatti abbastanza generalmente considerata un valore etico fondamentale. Essa tende a fornire un’assicurazione sociale nel breve periodo e una protezione delle fasce più deboli nel medio-lungo periodo. E, per i più cinici, è funzionale a mantenere una necessaria pace sociale. Per questo la flat tax è tipicamente associata a una qualche forma di imposta negativa sul reddito, cioè a una deduzione base (7 mila euro per un individuo singolo, in questa proposta) e un contributo ai percettori di redditi inferiori alla deduzione (25% della differenza). Questo meccanismo ristabilisce una forma di progressività del sistema fiscale, ma oggettivamente abbastanza minima.
La proposta dell’Istituto Bruno Leoni contiene altri meccanismi di progressività, come il pagamento dei servizi pubblici previsto solo per i percettori di redditi elevati, lasciando però loro l’opzione di fornirsi di tali servizi privatamente. Per quanto in linea di principio questo potrebbe incentivare efficienza nel pubblico (sanità ed istruzione, principalmente), in pratica i connessi problemi di selezione avversa sono tali e tanti da affossarlo molto rapidamente: al pubblico finirebbero per essere addossati i servizi più costosi, i malati più gravi ad esempio.
Un’altra caratteristica della proposta di flat tax così come formulata è che essa tassa i redditi (di famiglie e imprese) e i consumi con la stessa aliquota. Da un punto di vista di efficienza economica, al di là del vincolo politico, è desiderabile invece spostare la tassazione dai redditi ai consumi. Questo perché tassare i redditi investiti provoca una distorsione — favorisce i consumi, appunto — che non ha ragione di essere. Fondamentalmente, il reddito di un individuo non è che un mezzo per ottenere un ultimo fine, il consumo. Il reddito non consumato è investito e genera altro reddito, che sarà pur sempre tassato una volta consumato. Se un sistema fiscale basato unicamente sul consumo è utopia teorica, perché non abbassare l’aliquota sui redditi e alzare quella sui consumi?
Infine, l’adozione del sistema fiscale proposto comporterebbe una riduzione di entrate, così come stimata da Ibl, di circa 100 miliardi l’anno, attorno a 5 punti di Pil. Questo non ha nulla a che fare di per sé con la flat tax, che potrebbe essere più elevata e coprire una spesa pubblica ai livelli correnti. È una forma di starve the beast: ridurre le entrate per indurre una riduzione delle uscite. Ma storicamente (ed anche teoricamente a dire il vero) questo tipo di meccanismi non funziona affatto. Il risultato sarebbe più probabilmente un’accumulazione di debito che potrebbe sì portare a una riduzione della spesa, ma in emergenza finanziaria e quindi a costi molto elevati per il paese.
In conclusione, è ben possibile che questo sia il sistema fiscale migliore date le condizioni politiche del paese. Da un punto di vista economico però la proposta di flat tax dell’Istituto Bruno Leoni ha vari aspetti positivi ma non configura certo un sistema fiscale ottimale. Questo soprattutto perché risente di un forte impianto ideologico di stampo liberista, laddove limita fortemente la progressività delle imposte e presuppone una improbabile riduzione della spesa indotta da minori entrate. Inoltre, propone un meccanismo di finanziamento dei servizi pubblici con gravi difetti in termini di incentivi e non tiene sufficientemente in conto l’opportunità di trasferire il carico fiscale da redditi a consumi.
©RIPRODUZIONE RISERVATA

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