Quantcast
Channel: Articoli interessanti
Viewing all articles
Browse latest Browse all 4980

La verità, vi prego sulle bugie in letteratura

$
0
0
CULTURA
Shakespeare mente, Trump pure: qual è la differenza?

ADAM GOPNIK
I grandi scrittori usano la menzogna come metodo di inclusione di quanti più lettori possibile. Mentre i tiranni la utilizzano solo per rafforzare il dominio sugli altri
Aquanto pare nella vita vogliamo tenere per noi il diritto di mentire e negarlo agli altri. Il rapporto tra le bugie (negative per definizione) e la letteratura (positiva per definizione) è così complicato che nessuno finora è riuscito a creare una barriera netta tra le due cose. In verità, la pratica del mentire e quella di fare letteratura sono così intrecciate che probabilmente sono nate nello stesso momento, come l’atto di coniare monete e quello
contraffarle — il primo uomo capace di dominare le parole impiegandole non per simboleggiare cose che ci sono ma cose che non ci sono, si rese poi conto che si poteva acquisire dei meriti per quel depistaggio se lo si chiamva poesia e se per esso si istituivano dei premi.
Così la narrativa e le bugie furono create in modo simile e probabilmente a pochi minuti di distanza l’una dalle altre. Tutta la narrativa è in un certo senso una bugia, tutta la letteratura di fatto una forma di menzogna. Quello di cui spesso non teniamo conto abbastanza, forse, è che i grandi capolavori narrativi sono menzogne autoconsolatorie. Si pensi solo ai due maggiori scrittori in lingua inglese, Shakespeare e Dickens, la loro capacità autoaffabulatoria è evidente. Falstaff è certamente il ritratto che Shakespeare ha dato di suo padre, un uomo alcolizzato che aveva perso di vista la retta via, e il suo rapporto affettuoso con il giovane e brillante principe è una sorta di vivida realizzazione di ciò che aveva sognato si avverasse. Quando Dickens fa in modo che Sam Weller vada in aiuto del signor Pickwick nella prigione per debitori, senza dubbio anche questa è un’efficace prefigurazione di come il giovane Charles avrebbe potuto aiutare suo padre quando anche lui si fosse trovato in una simile situazione disperata.
In genere arte e volontà di illudersi si combinano molto più strettamente di quanto non succeda tra arte e volontà di dire la verità agli altri. Eppure vorremmo in qualche modo distinguere questa verità, nota a tutti coloro che scrivono e leggono, da quel genere di falsità più oscuro che infanga la nostra vita pubblica. Sarebbe bello, in questi giorni di decadenza, assumere sulla faccenda il punto di vista di un puro esteta: se diciamo che la letteratura è menzogna, che è invenzione e falsificazione, come si fa allora a condannare un mentitore come Donald Trump per il criminale che è? Come facciamo ad avere una visione “sofisticata” della verità e delle bugie e al contempo separare noi stessi dalle menzogne dello stesso Trump?
Vogliamo avere la possibilità di chiamarlo bugiardo senza per questo confonderlo con uno scrittore. Vogliamo essere in grado di accettare la verità, della quale Wilde è stato il maggiore profeta, che l’atto di mentire e la letteratura sono parenti stretti — che quel genere di racconto veritiero che ci fornisce la poesia non è il racconto veritiero di una camminata empirica su una superficie concreta, ma implica in sé elementi di immaginazione e trasformazione.
Chiunque sia un buon narratore sa che la chiave per raccontare bene una storia non è affastellare un mucchio di fatti, ma possedere la capacità immaginativa di saltare attraverso un arco di smaglianti verità per costruire infine una bella e grande curva inventiva. Un racconto non fiction è una costellazione di stelle, dalla forma riconoscibile costituita da lucenti frammenti di fatti, che esistono, empiricamente, a livelli differenti e a diverse profondità di spazio. Ma come possiamo conciliare quella verità con il fatto che non vogliamo presidenti che mentano, come non vogliamo che lo facciano i nostri figli — che condanniamo le bugie e i bugiardi e che ci serve il coraggio morale per far questo e un fondamento morale per giustificarlo? E così a volte ci capita di vivere una doppia vita come quei critici sofisticati che apprezzano il complicato confondersi di fatti e immaginazione in letteratura, ma tuonano contro il loro mescolarsi nella vita — che non è che amano meno Chateaubriand malgrado il resoconto del suo incontro con Washington nelle sue memorie quasi sicuramente non sia veritiero, ma che non vogliono che ai successori di Washington sia consentita la stessa libertà.
Come spesso succede nella vita, la risposta riguarda il modo in cui individuiamo le motivazioni e le intenzioni di coloro che parlano, e non il modo in cui leggiamo la struttura delle frasi. Motivazione e intenzione non godono di una grande fama al momento — ci dicono di non tenerne troppo conto quando leggiamo e giudichiamo le opere d’arte. Le definiamo falsità. Eppure giudicare intenzioni e motivazioni è essenziale non solo per saper distinguere la buona letteratura da quella cattiva, ma per riconoscere un uso sano e salutare dell’immaginazione da uno improprio, sinistro e distruttivo.
Perché molto spesso il “segno rivelatore” delle bugie cattive è che sono… prive di artisticità. Sappiamo che sono bugie perché il mondo che propongono non è quello articolato che conosciamo, bensì un altro mondo inventato dove conta solo il dominio e in cui ad affermarsi è solo il narratore. Trump inventa cose per affermare la propria superiorità sugli altri, per dominarli. Lo scrittore di fiction inventa le storie per affermare la sua parità con gli altri, il suo desiderio di condividere il proprio destino con loro. Una sana menzogna letteraria fa sempre sembrare chi la racconta più ridicolo dei suoi simili; una malvagia menzogna politica fa sempre sembrare chi la racconta uno che sta a capo di altri uomini. Parliamo in modo severo delle bugie di un Donald Trump, ma non per la loro disonestà. È perché sono pessima letteratura, perché appartengono a un certo tipo di letteratura che riconosciamo nelle antiche parole degli antichi tiranni, ideate per gonfiarne l’importanza e per nuocere ad altri. Sappiamo che sono bugie quasi ancor prima di verificarne l’attendibilità; le riconosciamo come bugie dal mondo che presuppongono.
Come possiamo allora distinguere in modo attendibile le intenzioni e le motivazioni, la pessima motivazione dell’autoaffermazione da quella buona dell’autoinclusione? Non possiamo. Se potessimo farlo ogni volta non ci sarebbe bisogno dell’intelligenza. Siccome non possiamo, dobbiamo cercare di individuarne i segni. Se non ci fosse nessun rapporto tra bugia e verità, non ci sarebbe letteratura.
© Adam Gopnik Traduzione di Renato Benvenuto
DISEGNO DI TULLIO PERICOLI

Viewing all articles
Browse latest Browse all 4980

Trending Articles