COMMENTI
ALBERTO MELLONI
IL TORNADO Pell s’è abbattuto sul collegio cardinalizio riunito in Concistoro. Con danni che qualcuno cercherà di usare contro papa Francesco.
SEGUE A PAGINA 37
VOCINE maliziose dentro e fuori i sacri palazzi hanno subito preso a dire che il Papa aveva scelto Pell per il C9 (Il Consiglio dei 9 cardinali che coadiuvano Francesco per la riforma della Curia). Hanno ricordato la “fiducia” del Papa per quel cardinale a cui affidò pochi mesi dopo l’elezione le questioni finanziarie vaticane. Che Francesco aveva costruito l’ufficio che Pell aveva poi usato in modo talmente personalistico da costringere il Papa stesso a far nascere nuove (troppe) commissioni per bilanciare quello che era diventato un (troppo) autocratico centro di potere. E hanno detto che questa “crisi” farà bene al Papa: che è un modo per dire che il Papa non sta facendo bene...
Proviamo allora a fare chiarezza su quattro punti.
Primo: la questione dei pedofili preti (dei pedofili non preti mi pare ci si occupi poco) non si è risolta, né si poteva risolvere, né si risolverà con roboanti dichiarazione sulla “tolleranza zero” o sulla “vergogna”. L’una e l’altra sono infatti il minimo richiesto a tutti davanti a crimini così orribili. Il problema della Chiesa è chiedersi chi, come e perché abbia scelto come vescovi figuri che, come disse proprio Pell con sconcertante candore davanti alla Royal Commission australiana che indagava sui preti stupratori, avevano la “predisposizione a non credere ai bambini”. Non è cristianesimo, ma ideologia clericaloide quella che mette sul piatto della bilancia il dolore delle vittime e l’onore della Chiesa: ed è solo con una conversione spirituale che la Chiesa può misurarsi con un crimine che affonda le sue radici nella mancanza di fede.
Secondo: il tentativo di usare il tornado Pell per appannare l’immagine del Papa fa parte di un disegno, che ha di mira molte nomine vicine e, in un orizzonte imprecisato, il conclave futuro. Il conclave passato, quello che scelse Bergoglio, era convinto che i guai della Chiesa fossero tutti italiani, tutti curiali e tutti venali. E Bergoglio, che voleva mostrarsi compiacente versi gli antagonisti (eccezion fatta per Scola) vide in Pell, conservatore spiccio in teologia e nei modi, qualcuno con cui mostrarsi aperto. Francesco infatti governa (come padre Arrupe) a norme invariate e coi nemici vicini. E Pell, dopo essersi prestato a polemizzare con Francesco, adesso viene usato per far credere che la sua rovinosa incriminazione sia un “colpo” al Papa. Così da impressionare i cardinali del Concistoro, provenienti da mondi così distanti fra loro da aver rafforzato le piccole cordate che hanno interesse e capacità di catalizzarne gli orientamenti.
Terzo: la decisione di sollevare Pell dagli incarichi da parte del Papa è un esercizio solenne dell’autorità apostolica. Liberandolo dagli uffici Francesco di fatto permette/ obbliga Pell a presentarsi davanti ai giudici civili (nel 2016 si fece interrogare in video da Roma per ragioni di salute). Ai tempi di Wojtyla l’allora arcivescovo di Boston venne portato a Roma come arciprete di Santa Maria Maggiore: così il cardinale Law godette di quella certa immunità che lo rese irraggiungibile alla giustizia americana. Mandare Pell davanti ai giudici perché lì si difenda non è un atto dovuto: riconosce che la fallibile giustizia umana è un passaggio senza il quale la Chiesa non potrà riflettere sul “suo” problema: cioè chi abbia fatto vescovi uomini senza discernimento, che ordinano rottami umani e poi ne coprono i delitti.
Quarto: l’autodifesa di Pell. Nel dichiararsi innocente dall’accusa di essere stato anche lui uno stupratore di bambini in gioventù, il cardinale sembra fare una distinzione fra la perpetrazione di quel delitto (che nega di aver commesso, come fanno tutti gli innocenti e quasi tutti i colpevoli) e la copertura del crimine (cosa che aveva ammesso che la sua Chiesa aveva fatto). Ma più che una difesa, è una auto-accusa. Non saper cogliere il dolore delle proprie vittime è il marchio di tutti gli stupratori, che proiettano nella vittima una chiamata alla violenza che esiste solo nella loro crudeltà o nella loro perversione autoassolutoria. Comunque vada il processo in Australia, anche se le accuse si dimostrassero false, questo equivoco è abbastanza per mettere il collegio cardinalizio in imbarazzo.
Nella prefazione ad una biografia dedicata a Pell – “Il difensore della fede”, nel 2004 – George Weigel, filosofo guida del cattolicesimo conservatore che vedeva in lui un Martini di destra, lo aveva lodato come un uomo di forti principi, il cui peso sarebbe stato decisivo nel collegio cardinalizio. In un certo senso Weigel aveva ragione: Pell dimostra al collegio cardinalizio che i gusti conservatori e autoritari non devono bastare nella scelta dei vescovi. Anche chi in quel collegio non vede l’ora che la primavera evangelica di papa Francesco finisca, se lo ricordi.
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