Economia
Il reportage.
Il fallimento era già stato previsto dai soci - correntisti truffati tutti dal “sistema Zonin”
FRANCO VANNI
FOTO: © © SANDRA RACCANELLO/ SIME
DAL NOSTRO INVIATO
VICENZA.
L’idea che sia Roma ladrona a salvare le banche venete non lo infastidisce, né lo spiazza. «Ci mancherebbe altro», sbotta il vecchio leghista. Andrea Parolin settant’anni, una vita da operaio - cerca il fresco che non c’è all’ombra della facciata di Palazzo Chiericati.
«Quelli dello Stato sono soldi veneti che tornano a casa. Anziché portare i bambini in gita a Pompei, le scuole dovrebbero portarli qui, a vedere dove si fa il Pil».È quello che ripete il governatore veneto Luca Zaia:
«Diamo all’Italia 21 miliardi l’anno in tasse. Il crac delle Popolari nel Nordest ha fatto più danni della Prima guerra mondiale. Non è mai abbastanza quello che torna indietro».
Nel giorno dell’annunciato fallimento di Popolare di Vicenza e Veneto Banca a spese dei contribuenti, i vicentini non festeggiano. Sicuramente non i soci azzerati dal crac. «Il governo non ha speso una parola per i 118 mila azionisti. L’ipotesi di chiedere risarcimenti a un commissario non ci lascia tranquilli. Dovremo farci valere in tribunale», dice Renato Bertelle, fondatore dell’Associazione nazionale azionisti Banca Popolare di Vicenza. Il sindaco Achille Variati rilancia:
«Solo i pazzi hanno tenuto più di 100mila euro sul conto – dice un architetto, che lavora per il Comune – chi aveva soldi li ha già portati via. Ora seguiamo le vicende della Popolare in tv, come si guarda il calcio d’agosto». Lo scorso 29 marzo la banca ha comunicato che la raccolta è scesa di 8,7 miliardi rispetto all’anno precedente. Depositi trasferiti in altri istituti, temendo lo spettro del bail in.
«Si risarciscano i soci con quello che si riuscirà a recuperare dei crediti in sofferenza confluiti nella bad bank».Non stupisce che non siano felici nemmeno obbligazionisti e correntisti, per cui pure è scongiurato il rischio di partecipare alle perdite. In gran parte si tratta degli stessi soci danneggiati.
«Solo i pazzi hanno tenuto più di 100mila euro sul conto – dice un architetto, che lavora per il Comune – chi aveva soldi li ha già portati via. Ora seguiamo le vicende della Popolare in tv, come si guarda il calcio d’agosto». Lo scorso 29 marzo la banca ha comunicato che la raccolta è scesa di 8,7 miliardi rispetto all’anno precedente. Depositi trasferiti in altri istituti, temendo lo spettro del bail in.
Lungo corso Palladio, non è facile trovare qualcuno che abbia voglia di parlare della Popolare. Dai tempi dell’indignazione, seguiti al crollo dell’azione da 62,50 euro a dieci centesimi, i sentimenti sono cambiati. «Per me la Popolare è fallita da un pezzo, ci ho perso 20mila euro», sintetizza una signora, ex preside di scuola. Palazzo Thiene, sede della Popolare, dista 150 metri.
«Ci siamo arrabbiati con Zonin, poi con Renzi. Ora stiamo a vedere. E speriamo che arrivi un po’ d’aria, che qui si muore»,taglia corto. Che i vicentini preferiscano parlare del caldo, lo ha capito anche il Giornale di Vicenza. Sui cartelloni porta-notizia, piazzati in strada in Contrà Cavour, campeggia un titolo: “Tanti malori e assalto al pronto soccorso per il gran caldo”.
Zaia la spiega così: «Non è che i vicentini abbiano elaborato il lutto dei miliardi persi. È che il lutto è troppo grande. Non capiscono, non conoscono i numeri, non si fidano più di nessuno». Nel 2015 hanno manifestato sotto casa dell’ex presidente della banca Gianni Zonin – indagato per aggiotaggio e ostacolo alla vigilanza – chiedendone l’arresto. Nel 2016 hanno punito Matteo Renzi per la riforma che ha costretto le grandi popolari a trasformarsi in spa: nel referendum costituzionale a Vicenza i «no» hanno prevalso con il 63,13%. Ora che il cammino pericoloso delle Popolari si avvicina all’ultimo tornante, serrano i denti.
Su un palco in piazza dei Signori, di fronte alla Basilica palladiana, all’ora di pranzo una rock band prova il concerto della sera. Fra chi ascolta c’è Paolo Polazzo, imprenditore. «Vicenza ha visto morire il proprio nome. Prima la squadra di calcio, poi la banca. Certo, dispiace. Ma l’importante è salvare le imprese. Se lo farà banca Intesa, ben venga». Che possa essere Intesa Sanpaolo a rilevare la parte sana della Popolare, a Vicenza suona come una buona notizia. Il sindaco Variati mette le mani avanti, ma senza drammi: «Dovrà preservare lo spirito della Popolare, finanziando le imprese del territorio poco capitalizzate ». Alberto Galla, patron della libreria che porta il suo cognome e già presidente dei librai italiani, fa un passo indietro: «Vicenza dall’Ottocento aveva tre banche. La Popolare. La Cassa di risparmio di Verona, Vicenza e Belluno, oggi di Unicredit. E la Banca Cattolica del Veneto, incorporata in Intesa San Paolo, che ha restaurato il Museo di Palazzo Leoni Montanari. La Popolare va a Intesa? Ci siamo già passati e non è andata male».
Più drastica una signora, che rinfresca i polsi alla fontanella comunale di piazza Matteotti: «Ho due figlie che lavorano in Popolare, ho paura – dice – spero che Intesa metta le sue insegne sulle filiali, per frenare la fuga dei clienti». È anche l’auspicio dei sindacati che rappresentano i 5.300 dipendenti di BpVi. «Temiamo che non ci buttino a mare – dice uno sportellista, entrato in banca nel 1982 – sono a rischio migliaia di famiglie. A Vicenza la Popolare è la prima impresa per occupati, oltre 1.500 fra città e provincia».
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Molti hanno già avuto perdite come azionisti della Popolare Zaia: quello che torna indietro non sarà mai abbastanza
L’EPICENTRO
L’area vicentina è stata duramente colpita dal fallimento della Banca popolare, prima impresa della zona per occupati, circa 1.500, di cui molti sono a rischio