cronaca
Prato trovato morto nel carcere di Velletri. Ci aveva già provato due volte Il Garante: tragedia annunciata. Si indaga per istigazione al suicidio
LORENZO D’ALBERGO FRANCESCO SALVATORE
ROMA. Da assassino capace di ammazzare soltanto «per vedere l’effetto che fa» a detenuto suicida alla vigilia del processo per l’orrore del Collatino. Si è chiusa così la parabola di Marco Prato, il pierre della movida gay capitolina accusato di aver massacrato nel marzo 2016 Luca Varani assieme a Manuel Foffo al termine di un party a base di stupefacenti nell’appartamento del complice. Si è chiusa nella notte tra lunedì e martedì, nel carcere di Velletri, con il gesto più estremo e una lettera indirizzata al mondo esterno. Prima di accendere la bomboletta a gas del fornelletto della sua cella e inserirla nel sacchetto di plastica legato attorno alla testa, Prato ha trovato la forza di mettere nero su bianco tutta la disperazione accumulata in 15 mesi di reclusione: «Io sono innocente. Non ce la faccio a reggere l’assedio mediatico che ruota intorno a questa vicenda, per un fatto che non ho neanche commesso. Sul mio conto sono state dette menzogne». Quindi il pensiero per il padre Ledo: «Quando gli direte della mia morte, assicuratevi che ci sia un medico accanto a lui».
Francesco Prete, il procuratore capo della cittadina a pochi chilometri da Roma ora indaga contro ignoti per istigazione al suicidio. E, da ieri mattina, il pm sta cercando di ricostruire le ultime ore del 31enne e cosa possa aver portato a quello che il Garante nazionale dei diritti delle persone detenute o private della libertà ha immediatamente definito «un suicidio per molti versi annunciato». La polizia scientifica ha passato al setaccio per ore le quattro mura in cui Prato era stato trasferito lo scorso 13 febbraio. Poi ha spedito il corpo del giovane all’obitorio del policlinico Tor Vergata, dove oggi si terrà l’autopsia. Nel mezzo, l’interrogatorio del compagno di cella: «Sembrava tranquillo — ha raccontato agli investigatori — abbiamo visto la tv assieme. Poi mi sono addormentato verso le 22. Non ho sentito nulla».
Ad accorgersi invece che qualcosa non andasse dietro le sbarre sono stati i secondini. Intorno all’una di notte, mentre erano di ronda, hanno visto Prato a terra e hanno subito dato l’allarme. Il killer di Varani, arrivato soltanto da quattro mesi a Velletri, era recluso nel reparto comune. Prima, nel carcere romano di Regina Coeli, per compagno di stanza aveva avuto l’untore di Hiv Valentino Talluto. Ora, visitato regolarmente da uno psichiatra della Asl, era stato etichettato come “soggetto non a rischio”. Una definizione che andrà fatta digerire a chi all’una di notte ha trovato il suicida ancora in vita e per 15 minuti ha provato in ogni modo a salvarlo.
Questa volta, però, non c’è stato nulla da fare: il massaggio cardiaco è andato a vuoto, non come nelle ore immediatamente successive alla morte di Luca Varani. Subito dopo aver ucciso il 23enne, Prato e Foffo girarono per ore per Roma alla ricerca di una soluzione, di un’idea per uscire dal vortice di sangue in cui si erano infilati. Poi, a strade divise, il pierre che ai genitori aveva chiesto di poter cambiar sesso e andava matto per l’iconica Dalida aveva infilato l’ingresso di un albergo di piazza Bologna. Anche lì un paio di foglietti per chiedere scusa e poi un cocktail di farmaci. A salvarlo quella volta furono i carabinieri. Già nel 2011 aveva tentato di togliersi la vita, di ritorno da Parigi, per una relazione finita male. Poi, di nuovo, qualche mese più tardi. Ieri, invece, il buio. E il dolore dei genitori.
Papà Ledo, sua moglie e il nonno di Prato si sono presentati a metà mattina in ospedale. Vestiti di nero, abbracciandosi, hanno riconosciuto il corpo davanti ai medici. Poi sono tornati verso casa, solcando l’asfalto bollente della Casilina e della tangenziale. Leggendo, chissà, le parole della fidanzata di Luca Varani: «Una vita è una vita. Sono scioccata per quanto accaduto... solo due parole: silenzio e rispetto per il lutto delle famiglie».
Per chi questa mattina avrebbe dovuto ritrovarsi nella stessa aula di piazzale Clodio per l’inizio di un processo già rinviato due volte a causa dello sciopero degli avvocati. Lì, con tutta probabilità, il complice Foffo (già condannato a 30 anni) avrebbe colto l’occasione per raccontare la sua versione. Non ce ne sarà modo. Perché il Marco Prato assassino, determinato ad affermare davanti ai giudici la propria innocenza, si è tolto la vita da detenuto. Lasciando un dubbio agli inquirenti: se fosse stato seguito di più, avrebbe fatto la stessa fine?
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Nel marzo dell’anno scorso il festino a base di droga e sesso in cui Luca venne torturato Il suo complice, Foffo, già condannato a trent’anni. Lui invece era atteso in aula stamani
Marco Prato, 31 anni, in carcere per l’omicidio di Varani e suicida ieri
ATTIRATO IN TRAPPOLA
In alto Luca Varani, 23 anni, torturato e ucciso in una palazzina del Collatino a Roma