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FERDINANDO GIUGLIANO
C’È UN DETTAGLIO nell’accordo siglato giovedì scorso tra la Grecia e i suoi creditori che i nostri politici farebbero bene a guardare con attenzione. Al netto della spesa per interessi, Atene s’impegna a mantenere un surplus di bilancio superiore al 2% del suo prodotto interno lordo per i prossimi 43 anni.
Con un debito pubblico pari a quasi due anni di Pil, la Grecia è ovviamente un caso estremo. Ma la sua vicenda offre un monito per tutti quei Paesi, compreso il nostro, che si trovano a gestire obblighi finanziari enormi rispetto alla propria attività economica. Matteo Renzi, Silvio Berlusconi e Luigi Di Maio trattano l’inizio della ripresa come se fosse la fine dell’austerità. Le due espressioni, invece, sono tutto tranne che sinonimi.
La trasposizione della vicenda greca nella realtà italiana parte da un semplice calcolo proposto da Ignazio Visco, Governatore della Banca d’Italia, nelle sue Considerazioni Finali. Secondo Visco, per riportare il rapporto tra debito pubblico e Pil dal 133% di oggi al 100% in un decennio, l’Italia dovrebbe perseguire ogni anno avanzi primari pari al 4% del reddito nazionale.
Per mettere questa cifra in prospettiva, i creditori internazionali hanno chiesto alla Grecia uno sforzo pari al 3,5% per i prossimi cinque anni, e poi di almeno il 2% fino al 2060. L’obbiettivo proposto da Visco andrebbe raggiunto anche in caso di recessione, e farebbe scendere il debito a un livello che resterebbe comunque ampiamente al di sopra della media europea.
Cosa implicano avanzi primari così alti? Di certo non il taglio dell’Irpef propagandato da Renzi, l’aumento delle pensioni minime sbandierato da Berlusconi o il reddito di cittadinanza vagheggiato da Di Maio. Si tratta invece di una prospettiva più simile a quella descritta nelle conclusioni della consultazione sull’economia italiana compiuta dal Fondo Monetario Internazionale in settimana. Il Fondo consiglia al governo italiano di mantenere lo sforzo di riduzione del deficit promesso nel Documento di Economia e Finanza di aprile, per poi raggiungere un piccolo surplus di bilancio (includendo la spesa per interessi) a partire dal 2020.
Per raggiungere questo tipo di obbiettivo serve una correzione dei conti pubblici maggiore rispetto allo sconto che il ministro Pier Carlo Padoan ha recentemente chiesto a Bruxelles. Il Fondo propone di re-introdurre la tassa sulla prima casa e di intervenire sulle pensioni nei casi di manifesta iniquità fra i contributi versati e il trattamento ricevuto. Si tratta di misure relativamente eque e coerenti con una progressiva riduzione del debito, ma di cui nessun politico vuole neppure sentire parlare.
Esistono dunque alternative? Alcune sono più realistiche di altre. Nel caso greco, gli avanzi primari già descritti saranno ridotti grazie a una ristrutturazione del debito che i creditori si sono impegnati a portare avanti dal 2018. Si tratta di un’operazione perfettamente sensata e su cui l’eurozona è in colpevole ritardo. Tuttavia replicarla in Italia vorrebbe dire creare un enorme buco nel bilancio del nostro sistema bancario, che detiene quasi 400 miliardi di euro in titoli di Stato, secondo calcoli di Reuters su dati di Bankitalia. La misura colpirebbe inoltre soprattutto i risparmiatori italiani visto che, sempre secondo Via Nazionale, la quota di Buoni del Tesoro nelle mani di investitori stranieri a fine 2016 era di appena il 26,7%.
Vi sono poi tre alternative virtuose: far scendere il costo del debito, far ripartire le privatizzazioni o far risalire la crescita molto sopra l’1% messo in conto nelle previsioni del Governatore. La prima ipotesi è palesemente assurda: l’Italia è in grado in questo momento di finanziarsi a tassi estremamente bassi grazie agli acquisti di titoli di Stato da parte della Banca centrale europea. Questi acquisti sono destinati a ridursi nei prossimi mesi, facendo inevitabilmente risalire i rendimenti. La seconda è ovviamente insufficiente: a meno di immaginare una dismissione totale del demanio pubblico, qualsiasi cessione farebbe ben poco per abbattere il debito. La terza è auspicabile ma molto difficile: la lenta crescita italiana è legata anche a ragioni strutturali, come una produttività stagnante e una demografia sfavorevole. Ci vorrà tempo e politiche mirate per invertire questi fattori.
L’ultima speranza, la più fervida, è quella che alla fine il debito italiano sia spalmato tra tutti i Paesi dell’eurozona attraverso la creazione di obbligazioni con una garanzia comune. Tuttavia il dibattito europeo si è ormai allontanato da questa prospettiva, muovendosi invece nella direzione di strumenti finanziari che mettano insieme i bond nazionali senza alcuna condivisione del rischio. In ogni caso, anche questi strumenti difficilmente coprirebbero una porzione di debito superiore al 60% del Pil. L’Italia dovrebbe dunque gestire da sola più di metà dei suoi obblighi esistenti.
La lunga austerità della Grecia non è dunque così lontana dal destino che attende l’Italia. La politica farebbe bene a discutere di come gestire la realtà, invece di abbandonarsi a comode quanto inani fantasie.
L’autore è editorialista di Bloomberg View
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