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Calenda, Renzi e il mito Macron

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L’ANALISI

MASSIMO GIANNINI
IL “Quarto Partito”, come lo chiamava De Gasperi, incorona i suoi leader. Mentre Renzi e Berlusconi preparano un nuovo Patto del Nazareno (proporzionale, voto in autunno, grande coalizione), all’assemblea degli industriali accade l’impensabile.
SEGUE A PAGINA 29
VINCENZO Boccia prova a lanciare la sua Confindustria (colpita al cuore dalla vicenda Sole 24 Ore), ripartendo da Guido Carli che la immaginava non come una semplice lobby ma come una grande “organizzazione sociale”. Carlo Calenda prova a lanciare se stesso (colpito al cuore dall’artiglieria renziana), ripartendo da Emmanuel Macron che, orfano di padri e di ideologie, chiama a raccolta il meglio della destra e il meglio della sinistra. Insieme, Boccia e Calenda prefigurano un “Patto di Scopo” radicalmente alternativo (maggioritario, elezioni nel 2018, governi omogenei).
Sembrano due Italie incompatibili, che forse non si incontreranno mai. Ma questo scarto, così clamoroso e palese, fotografa esattamente lo stallo nel quale si trova il Paese. Il manifesto economico di Boccia riflette questo stallo, nell’immagine dei “vent’anni perduti”, con un debito pubblico record a 2mila e 300 miliardi, un Pil rimasto invariato dal 2000 a oggi (contro il più 27% della Spagna, il più 21% della Germania e il più 20% della Francia), 4 milioni e mezzo di poveri e più di 8 milioni di disoccupati. Boccia fa un’analisi perfetta in ogni sua parte. Ridà a Confindustria il ruolo che le spetta: un corpo intermedio dello Stato, «soggetto politico ma equidistante dai partiti». Rivendica la vocazione confindustriale al maggioritario, contro la «tentazione proporzionalista » fatale per l’Italia, perché prelude all’immobilismo e ai soliti «scambi con la politica» da Prima Repubblica.
Non pretende elemosine al governo, ma propone un “patto per la crescita” alle istituzioni e alle parti sociali, nel quale nessuno chiede niente, ma ciascuno dà qualcosa. Più salari, più produttività. Più investimenti, meno rendite. Meno corruzione, più occupazione. E poi ancora un richiamo forte all’Europa come casa comune da rafforzare, contro tutti i protezionismi, e una difesa dell’immigrazione come opportunità da gestire, contro tutti i nazionalismi. Non c’è una sola cosa che, in questo manifesto, non sia condivisibile. Ma ne manca una, ed è rilevante. Boccia non dice una sola parola sullo “scandalo” che macchia di fango le grisaglie riunite all’Auditorium, e cioè il buco nero del
Sole 24 Ore. Sarebbe bastata anche solo una frase: il riconoscimento di un errore grave, la volontà di porvi rimedio in fretta, per ricostruire un patrimonio reputazionale che è sia di quel grande giornale, sia della confederazione che lo amministra. È un silenzio che fa rumore.
Ma fa ancora più rumore la “discesa in campo” di Calenda, che agli industriali offre, da “tecnico”, il manifesto più “politico” che si possa immaginare. Non parla da ministro delle attività produttive. Parla da premier di un governo che non c’è e da leader di un partito che non ha. Non c’è un solo passaggio del suo intervento che non risuoni come alternativa radicale a Renzi e al renzismo. Sul rapporto con l’Europa, di cui l’Italia ha un disperato bisogno: a chi si riferisce Calenda, quando dice «smettiamola di accarezzare l’antieuropeismo invece di combatterlo a viso aperto»? Sulla legge per la concorrenza, che il Parlamento tiene bloccata da due anni: a chi si riferisce Calenda, quando rivendica “la fatica immane” di farla approvare dal Senato, teme “gli ulteriori ritardi” alla Camera, ricorda che «combattere le rendite dovrebbe rappresentare il Dna di una coalizione di governo a guida riformista » e avverte che non accetterà di finire «come l’ultimo dei Mohicani»?.
Sull’Alitalia, che è a un passo dalla bancarotta definitiva: a chi si riferisce Calenda, se non al segretario del Pd che aveva annunciato un “piano” mai nato entro il 15 maggio, quando dice che «bisogna far spendere meno soldi possibile ai cittadini italiani»? Sulla Rai, che si ritrova ancora una volta in ostaggio dei partiti: a chi si riferisce Calenda, se non a Renzi che fa sfiduciare Campo Dell’Orto dopo averlo scelto un anno e mezzo fa, quando sottolinea i pessimi risultati che si producono «quando la politica pretende di mantenere un controllo totale sulle aziende»? Sulle elezioni anticipate, che sembrano ormai decise dal patto del Nazareno 2.0: a chi si riferisce Calenda, se non a Renzi che punta al voto in autunno, quando chiede «elezioni nei tempi giusti, evitando l’esercizio provvisorio» e invoca prima una legge elettorale che «riduca la frammentazione » e dia una «ragionevole probabilità di poter formare un governo»?
Ma l’affondo più aspro, e persino più irriducibile, è sul ruolo dei “tecnici”, che Renzi da Monti in poi considera una malattia mortale. Calenda ribatte colpo su colpo: «Lo spazio della discussione pubblica non è riservato ai politici di professione e non sono esclusi né i cittadini né i ministri tecnici, qualsiasi cosa questa qualifica voglia dire». È una rivendicazione, che getta una luce inquietante sull’autunno che ci aspetta. Se non si andasse a elezioni anticipate, ma il governo Gentiloni dovesse continuare la sua marcia fino al 2018, la “manovrona d’autunno” sarà il nostro Vietnam. Una guerra senza esclusione di colpi (per altro combattuta a “tapering” già avviato dalla Bce di Draghi) tra la squadra dei tecnici Calenda e Padoan, favorevoli “all’operazione verità” di cui parla Boccia, e il Pd di Renzi che la deve sostenere ma rifiuta una cura “lacrime e sangue”.
Da che parte stiano gli industriali lo testimonia la standing ovation con la quale salutano l’orazione di Calenda. Ma al “Macron de noantri”, senza macchia e senza paura, il tifo del Quarto Partito non basterà.
©RIPRODUZIONE RISERVATA

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