LETTERA APERTA A PAOLO DEL BEBBIO
TROPPE INGIUSTIZIA, VANNO RISCRITTE LE REGOLE DEL "NOSTRO" LIBERISMO.
Caro Del Debbio,
![](http://2.bp.blogspot.com/-9YeVZhuafnk/WCGryTdLC6I/AAAAAAAAOXI/5UwkQyGSGqUWMAuuA0hFi2roHTBFhsYYQCLcB/s1600/Mario_Giordano.jpg)
A queste idee, caro Paolo, io sono sempre stato molto affezionato, e lo sono ancora. Immagino anche tu. In fondo la forza d'urto liberale di Silvio Berlusconi a metà degli anni Novanta ha impedito a questo Paese di diventare una succursale del comunismo, quando il comunismo era già fallito. E difendere il libero mercato dallo statalismo, quando il libero mercato era considerato l'avamposto di
Satanasso sulla terra, ebbene, era doveroso. Così come resta doveroso ricordare, ora e sempre, che non si può ridistribuire nulla se prima non si crea qualcosa, e il principio di concorrenza è lo strumento migliore che l'uomo finora ha trovato per scegliere che cosa, come e quanto creare.
Ma detto tutto questo, mi rimane tanto amaro in bocca: siamo sicuri che abbia vinto davvero il libero mercato? E siamo sicuri che la vittoria del libero mercato, così com'è avvenuta sia stata un bene? E siamo sicuri che il libero mercato sia la base su cui costruire il nostro futuro?
Caro Paolo, scusami, ma è strano: mi sono battuto tanto per idee che ora scopro di non condividere più. Nel tuo libro, da grande studioso quale sei, tu citi fonti, analizzi testi, colleghi ragionamenti in modo compiuto. Io non ne sono capace. lo non sono uno studioso, sono un artigiano della cronaca, uno scrutatore della realtà. Ma se mi guardo attorno vedo che la libera circolazione delle merci ha prodotto enormi miserie, la libera circolazione della moneta ha creato solenni ingiustizie, la libera circolazione degli uomini ha prodotto vergognosi sfruttamenti. Siamo arrivati al punto in cui le ingiustizie create dal libero mercato stanno distruggendo il medesimo libero mercato. Ed è in fondo la
domanda stessa che sta alla base del tuo libro, quella che ti porta a chiederti, per l'appunto, se per caso non sia venuto il momento di mettere più etica nel mercato.
Sinceramente non ho capito, poi, quale sia la risposta giusta. Cioè non ho capito se l'etica debba stare dentro il mercato o se il mercato debba fare semplicemente il mercato, funzionando con le sue regole, e l'etica debba collocarsi sopra, a monte, imposta da quelli che il mercato lo devono regolare. Tu lamenti , per l'appunto, «la latitanza dei pubblici poteri», la mancanza di leadership internazionale: ci vorrebbe, spieghi, un «accordo etico minimale» per dare vita a una grande iniziativa mondiale. Come fu Bretton Woods, alla fine della Guerra Mondiale. Vedi però, caro Paolo, io ai tempi di Bretton Woods non c'ero, e tu nemmeno (mi pare, almeno). Però credo che allora, in mezzo all'immensa tragedia e alla devastazione, si fosse conservata una forte spinta etica.
Anzi, ce n'erano almeno due fortissime, due idee potenti che si contrapposero poi, nei successivi 50 anni. Dal loro incrocio potente, appunto, nacque quell'accordo.
Ma adesso? Da che cosa può nascere un accordo? Il comunismo è morto, il capitalismo è grave, il libero mercato ha la febbre. E anch'io non mi sento troppo bene. Ritorno perciò al mio dubbio iniziale: avevo una fiducia cieca nel libero mercato, mi abbeveravo di Einaudi, Ricossa e Martino, ero convinto che il nostro unico errore fosse quello di non aver applicato abbastanza la ricetta liberista. Ora sono pieno di perplessità per le ragioni che tu spieghi benissimo nel tuo libro. E poi anche perché, devo essere sincero, quando vedo che i sostenitori del liberismo sono ormai soltanto le grandissime imprese che il liberalismo l'hanno sempre osteggiato più di Stalin, quando vedo che nel nome del liberismo si difendono le politiche delle multinazionali che stanno al libero mercato come una bistecca di manzo al veganesimo, beh penso che il nostro professor Ricossa si stia girando nelle tomba come una trottola....
Ma qui viene la domanda (tutti i libri riusciti, caro Paolo, oltre a dare risposte fanno nascere delle domande): per dare il via a quella «nuova età dei diritti» a che cosa ci appelliamo? Su che cosa la fondiamo? Il comunismo è fallito, il capitalismo quasi, il liberismo vacilla, il cristianesimo pure, l'europeismo è in crisi e comunque senza radici: come si fanno a stabilire diritti, se si sono cancellati tutti i valori? La dico tutta, la dico brutta: alle volte ho l'impressione che l'unica etica forte che riesce a esprimere il nostro tempo sia quella dell'Isis. Sarà violenta, sarà malata, ma è l'unica che, sulla carta, avrebbe la forza di imporre una nuova tragica Bretton Islam Woods. Come possiamo opporci? Su quale carta scriviamo le nostre nuove fondamenta? Sono disorientato, caro Paolo. E anche un po' angosciato. Lo so che non è compito di questo tuo bel libro rispondere alla domanda. Ma credo che tu, dopo averlo scritto, non ti possa tirare indietro dal provare a farlo.
articolo apparso su "la Verità" del 8-11-2016
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