attualità
L’anniversario.
L’istituto milanese di sondaggi compie 70 anni Nei suoi “bollettini” il cambiamento del Paese dal Dopoguerra a oggi
La memoria.
Un termometro degli umori nazionali: registrò che in quasi mezzo secolo il tasso di felicità era salito dal 34 al 58 per cento
Dall’unghia del mignolo ai cellulari gli italiani negli archivi della Doxa
MICHELE SMARGIASSI
Quella “votazione senza urne” che alla fine del secolo, quando i Bollettini cessano la pubblicazione, diventerà ossessione e nutrimento dei politici, a lungo è il termometro reale dei cambiamenti di un paese. Passano gli anni e l’archivio Doxa diventa storico, si possono fare confronti nel tempo, per esempio: in quarant’anni il tasso di felicità degli italiani sale dal 34 al 58%, oppure: nel ’94 si va a letto e ci si sveglia mezz’ora più avanti di vent’anni prima, l’ora di pranzo varca il confine delle ore 13 ma quella di cena resta graniticamente incatenata alle 20.
Un’Italia più contraddittoria dell’immagine che ne abbiamo riposa, stranamente poco rievocata, nel sacrario della percentuale. Nell’80, per dire, alla vigilia dell’era dei cellulari, solo due italiani su dieci fanno almeno una telefonata ogni giorno, e solo nell’1,5% dei casi è un’interurbana: avevamo davvero bisogno dei telefonini? I sondaggi non servono solo a prevedere il futuro e a descrivere il presente, possono anche cambiare la nostra idea del passato.
C’è perfino troppo in questo archivio dove gli italiani appaiono mutati in colonne di numeri, stile Matrix. Ma in questo labirinto, dove le costanti spesso contano più delle rivoluzioni, si nasconde il “carattere dell’Italiano”, sostanza misteriosa cercata per secoli da poeti e scrittori. A meno di non dar ragione al Leopardi, per il quale l’opinione prevalente dell’italiano è “non fare alcun conto delle proprie opinioni”.
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IL FONDATORE
In alto, un volume dedicato ai redditi delle famiglie italiane nel 1948 firmato Luzzatto Fegiz e pubblicato dalla società di sondaggi milanese
IL PRIMO SONDAGGIO
Fu effettuato per il referendum monarchia-repubblica: ci azzeccò
MILANO.
Un italiano su cinque la usa “come utensile, raschietto, cacciavite”. Uno su sei se ne serve “per igiene personale”, meglio non indagare oltre. Di cosa stiamo parlando? Dell’unghia del dito mignolo! È il 1953, la legge truffa non passa, la guerra fredda impazza, la bomba atomica fa paura, e la Doxa lancia un sondaggio su cosa? Su questa “frivolezza”, l’unghia del mignolo. Che settecentomila italiani maschi, ci informa, portano più lunga delle altre, ma sei su dieci non approvano.
I professori allora fanno del loro meglio per dimostrarne la scientifica affidabilità. Hanno iniziato dalle cose serie: il primissimo sondaggio è sul referendum monarchia-repubblica, e ci azzecca. Ma bisogna dimostrare che questa nuova scienza “fa parlare il popolo” anche quando il popolo non parla. Sa vedere dove nessuno va a guardare. Nell’Italia profonda. Nei comportamenti, nell’antropologia, nei sentimenti, perfino nei sogni degli italiani. Ed ecco spiegata la provocazione dell’inchiesta sul dito mignolo, dettaglio folclorico sì, ma anche indizio minimo di un’Italia segreta, tutta da scoprire.
In una stanza della sede milanese multipiano della Doxa di oggi, tutta arredata in raffinato stile ethno, i volumi marroncini che rilegano i bollettini degli esordi sembrano reperti archeologici. Lo sono. Stratigrafia di una nazione. Archivio di una mentalità collettiva. Qui e solo qui trovi decenni di carotaggi nel substrato dell’Italiano, ne resta traccia solo su queste veline cartacee, qualche copia nei traslochi si è persa ma, come nella Biblioteca di Babele, ne restano sempre abbastanza. I bollettini contenevano le ricerche non commissionate, svolte per iniziativa della Doxa; che le mandava per posta ai giornali, a qualche industriale illuminato, a tutti quelli che sottoscrivevano un abbonamento. Pochi forse le leggevano, ancora meno le pubblicavano. Alle imprese interessavano di più le ricerche di marketing che ordinavano in esclusiva. Ai partiti, la popolarità dei loro leader, sì, già allora (nel 1956 più di metà degliitaliani non sa chi è Andreotti — lo impareranno — ma conosce Lando Degoli, campione di Lascia o raddoppia).
Quell’enorme cassaforte cartacea di numeri è più preziosa adesso. «Qui la storia contemporanea ha depositato come documenti quel che altrimenti sarebbe svanito, i desideri, gli umori, le speranze degli italiani», dice Marina Salamon, l’imprenditrice che nel ’91 ha comprato la Doxa, dove suo padre lavorò per decenni.
Sfogli queste pagine e in effetti capisci che l’Italia del dopoguerra fece gli italiani, e anche come li fece. Se i sondaggi pre-elettorali di quegli anni non hanno più molto interesse oggi, sapere che sei italiani su dieci nel ’47 prevedevano un’altra guerra mondiale nel giro di dieci anni ci trasporta di colpo nella temperatura emotiva di un paese prostrato, dignitoso e diseguale che abbiamo dimenticato. Un’Italia di paltò rivoltati e sdruciti, dove per il 46% l’abbigliamento è più urgente ancora del vitto. Dove il 49%, se potesse, emigrerebbe. Un’Italia di navigatori che non sanno nuotare (72%) e non fanno mai bagni in mare (67%), dove il 43% rimpiange di non avere studiato, il 27% spera di vincere alla lotteria, dove si imbuca- no due lettere a testa ogni settimana, si beve una tazza e mezzo di caffè al giorno, e più di metà non sa dire quanto pesa. Un’Italia ansiosa, che si sveglia spesso di cattivo umore (19%), ma i dossologi pedagogicamente segnalano i rischi della media del pollo: solo il 10% dei ricchi dorme male, contro il 31% dei poveri, chi l’avrebbe detto.
Eppure, nel 1948, con le macerie dei bombardamenti per terra, il 29% si dichiara “abbastanza felice” e il 5,5 addirittura “molto felice”. Due anni dopo il libro più letto, che prima era I promessi sposi, è già diventato Via col vento (e i dossologi commentano: «Oggi è il film che fa vendere il libro!»), i recipienti da cucina sono ancora di metallo e terracotta ma i pavimenti in cotto sanno di “sorpassato” per tre italiani su quattro, e sei su dieci vorrebbero cambiarli col “moderno” linoleum: la voglia di consumi precede di un decennio il boom che consentirà di soddisfarli, le tabelle ci raccontano di uno scarto paradossale fra desideri e realtà. Nel ’58 sedici milioni di italiani non possiedono orologi ma pensano (58%) che i nuovi supermercati facciano “risparmiare tempo”.
Un paese a velocità diseguali ed assetto variabile. L’84% non ha in casa ancora né frigo né lavatrice, ma nel ’61 già 700 mila famiglie usano i fazzoletti di carta e chiedono al Secondo Canale Rai che sta per nascere (46%) di trasmettere anche lì Carosello; ancora nel ’65 nei tinelli ci sono più macchine per cucire (65%) che televisori (45%), ma quelli che ci sono sembrano già “antiquati” al 18%. Il benessere è un dolce piano inclinato, e sette italiani su dieci, quell’anno, sono convinti che “i nostri figli vivranno meglio”, e per la prima volta quelli che si ritengono «fortunati nella vita» superano gli “sfortunati” 25 contro 23%. Ma ancora nel ’92 abbiamo paura della morte due volte più degli americani (43%): per nostra fortuna, in 62 su cento crediamo nell’aldilà.
Questa psicometria di massa, fatta in diretta, con i numeri, è accolta con sospetto. Su
Rinascita i comunisti accusano la Doxa di “fini qualunquistici e reazionari”. I “giornalisti gelosi”, si sfoga nel ’90 il
Bollettino, “ci sentono come concorrenti”. Un albergatore di Cortina d’Ampezzo caccia i rilevatori Doxa al grido di «non si chiede l’elemosina ai miei clienti!».
Ma pian piano la cultura del sondaggio fa il nido nella mente degli italiani, la dossologia entra nei dizionari e battute come «non so, non sono mica la Doxa!» passano nel gergo comune e perfino nelle aule dei tribunali (la invoca come voce dell’opinione pubblica il difensore degli studenti della
Zanzara).