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FERDINANDO GIUGLIANO
MATTEO Renzi ama presentarsi come una forza di rottura rispetto alla politica economica del passato. «Noi facciamo i bonus, a differenza di chi per 30 anni ha fatto solo malus », ha detto ieri il premier presentando la legge di bilancio per il 2017.
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IL PROVVEDIMENTO da 27 miliardi contiene sicuramente delle misure positive, a partire da quelle a favore delle imprese e degli investimenti. Tuttavia, l’opacità delle coperture, l’abbondanza di spesa in deficit e l’ombra di un nuovo condono rischiano di rendere meno convincente la retorica della discontinuità, e più vulnerabile lo stato già fragile della nostra economia.
Il primo punto dolente della manovra riguarda l’assenza di dettagli sui saldi di spesa. «A me piace entrare nel merito. E confrontarsi senza odio personale e ideologia», ha twittato Renzi subito dopo la conferenza stampa in cui ha presentato le misure. Si tratta di un invito condivisibile, e che però richiede più dettagli delle 33 slide che il premier ha illustrato accanto al ministro dell’economia Pier Carlo Padoan per essere messo in pratica.
Da quanto si è capito ieri, il governo intende confermare le stime di crescita per il 2017 all’1%, a fronte però di un deficit che salirebbe al 2,3% rispetto al 2% previsto inizialmente dal Ministero dell’Economia e delle Finanze. La cifra resta sicuramente ottimistica, ma è almeno più coerente con le previsioni di spesa rispetto alla Nota di aggiornamento del Documento di economia e finanza che era stata bocciata dall’Ufficio Parlamentare di Bilancio. L’authority dei conti pubblici dovrebbe essere così in grado di validare le stime del governo, evitando un conflitto istituzionale di cui l’Italia può fare sicuramente a meno.
Tra i provvedimenti licenziati, l’elemento più positivo è sicuramente il pacchetto competitività messo insieme tra gli altri dal Ministro dello Sviluppo Economico, Carlo Calenda. Il taglio delle tasse sulle imprese sarà una boccata d’ossigeno per le nostre aziende, che sono state schiacciate dal peso della grande recessione. Altrettanto importanti sono gli incentivi fiscali per chi investe, una misura mirata a far ripartire il motore inceppato della nostra economia.
Meno convincente è, invece, il pacchetto che riguarda le pensioni, le cui dimensioni sono salite a 7 miliardi di euro in tre anni, rispetto ai 6 inizialmente previsti. L’anticipo pensionistico è di per sé una buona idea, poiché dà ai lavoratori più anziani maggiore libertà nel decidere quando andare in pensione. Tuttavia, la scelta di dare nuove risorse a un capitolo di spesa che consuma già gran parte del bilancio per il welfare italiano sarà molto difficile da spiegare ai più giovani. Per esempio, l’aumento della quattordicesima sarebbe dovuto essere riservato soltanto a chi è in condizioni di effettiva indigenza, verificando il patrimonio familiare complessivo invece di distribuirlo a pioggia.
Il problema principale della legge di bilancio è però quello delle coperture. Il deficit sale di 0,7% punti percentuali rispetto a quanto inizialmente previsto. Si tratta di livelli di indebitamento inferiori rispetto a molti partner dell’Ue, per esempio Spagna e Francia. Tuttavia, con un debito pubblico come quello italiano, un po’ di prudenza in più sarebbe stata consigliabile, soprattutto in una fase di espansione del ciclo economico europeo come quella attuale. Un aumento della spesa sarebbe stato maggiormente giustificabile in caso di un piano più corposo di investimenti pubblici che, però, nei piani del governo, dovrà aspettare il 2018 e 2019.
Nell’elenco, a dire il vero ancora molto vago, delle risorse recuperate manca poi un piano dettagliato di riduzione della spesa corrente, che possa permettere un abbattimento del costo del lavoro in grado di renderci più competitivi. Le assunzioni di nuovi medici e infermieri e l’aumento di circa il 2% del Fondo Sanitario Nazionale saranno, comprensibilmente, benvenute dall’elettorato, ma ci sono ancora troppi sprechi nelle forniture e emanazioni di prestazioni, che il Commissario alla spending review, Yoram Gutgeld, ha soltanto incominciato a toccare.
L’altro elemento preoccupante riguarda le modalità dell’abolizione di Equitalia, dietro la quale si profila l’ombra di una sanatoria fiscale. Non vi è dubbio che l’organismo di recupero tasse voluto dai predecessori di Padoan abbia talvolta avuto comportamenti troppo zelanti nei confronti di cittadini e imprese. Ma sembra esserci una palese contraddizione fra la decisione del governo di abolire questo ente e i 4 miliardi di euro di recupero evasione che aiutano a far tornare i conti della manovra.
Il timore, che andrà chiarito nei prossimi giorni, è che questi soldi rientreranno attraverso un nuovo condono. Padoan ha infatti parlato di un’operazione di “rottamazione” delle cartelle di Equitalia, che prevedrebbe l’esenzione da sanzioni e interessi di mora in caso di pagamento immediato del dovuto. Un provvedimento troppo generoso andrebbe a scapito dei milioni di cittadini onesti che pagano quotidianamente le loro tasse.
Renzi ha giustamente ricordato i provvedimenti a favore della crescita passati dal suo governo a partire dal “Jobs Act”. L’impressione è però che, col passare del tempo, la sua politica economica si sia distratta sempre più da una visione di lungo periodo, per concentrarsi sugli obbiettivi di breve scadenza. Con il referendum costituzionale alle porte, questa scelta è facile da spiegare. Tuttavia, solo recuperando lungimiranza il premier potrà dire di essere davvero diverso da quelli di prima.
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