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La paura cambia gli inglesi tra bobbies armati e “invasori” da schedare

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7/10/2016
le scelte dell’europa
Il reportage.
“British first” e la proposta di liste nelle aziende per chi è nato all’estero: per la prima volta nella storia del Paese il mare diventa una minaccia



BIRMINGHAM
LA PAURA ha cambiato gli inglesi e nel cuore di Birmingham, davanti al centro commerciale neofuturista di Jan Kaplický, da un lato i barbuti in gialabia nera gridano “come, learn and love Islam” e dall’altro lato i cristiani africani, in abito nero e camicia bianca, cantilenano nei megafoni “come to Jesus Christ, our Saviour”: si contendono lo stesso pascolo urbano, che non è mai fatto di inglesi. Gli islamisti sono coperti di pelo e gli afrocristiani sono calvi e glabri, proprio come ai tempi antichi delle lotte tra puritani e anglicani: i primi erano i roundheads, le teste rotonde, i secondi i cavaliers, tutti riccioli e boccoli. La storia si ripropone anche sotto forma di tricostoriografia. Ricordo, in un vecchio numero del New Yorker, un reportage sui segreti della Gillette dove si profetizzava una guerra (di religione) totale tra barbuti e sbarbati.
Non ci siamo ancora, ma per la prima volta gli inglesi diffidano di quel mare aperto che con il tunnel congiunge e con il Great Wall of Shame separa Folkestone e Calais. E si capisce che la ministra degli Interni Amber Rudd sta cavalcando questa paura con la proposta di schedare lavoratori e studenti che sono nati all’estero: “British first, prima gli inglesi”.
Persino il Bobby, la divisa amica dei londinesi, l´autorità che non fa mai paura, non è più orgogliosamente disarmato: nei posti affollati impugna il mitra, e con il dito sul grilletto. I Bobbies sono ancora disponibili e sorridenti, ma è uno shock di civiltà vederli alla National Gallery con le carabine semiautomiche a tracolla, nel fodero le pistole Glock e a penzolare dalla cintura manganelli, spruzzatori, bastoni elettrici, coltelli… Sembra un nuovo tipo di soldato, una specie di Robocop anche se qualche volta è bionda, con le efelidi e gli occhi azzurri. «Il poliziotto con il mitra davanti a Westminster Abbey, il luogo più sacro d’Inghilterra, è una grande vittoria del terrorismo», ha scritto il Telegraph. E forse è in dissenso a questa esibizione di paura e di forza che il sindaco di Londra, il musulmano Sadiq Khan ha preso le distanze e ha stimolato le dimissioni anticipate del capo della polizia metropolitana Sir Bernard Hogan-Howe.
Dunque l’Inghilterra, che è il laboratorio della libertà e della civiltà occidentali, l’unico spazio d’Europa davvero transnazionale, ha messo in discussione la sostanza della sua storia ed è ovviamente facile dare la colpa alla Brexit visto che, dopo il voto del 23 giugno, gli race hate crimes, i crimini di odio razzista, sono aumentati, secondo il National Police Chief Council, del 57 per cento, e nelle zone dove trionfò l’Exit, come il Lincolnshire, addirittura del 191 per cento. Nel ricco Kent, che è la heartland della Brexit, la roccaforte di Farage, l’aumento è del 143 per cento: botte, molestie, agguati, incendi, minacce, accoltellamenti contro musulmani, africani, aggressioni sui treni a famiglie di europei dell’Est, calci a una donna russa; in un parco di Bristol una folla di adulti e bambini ha cacciato a sputi e spintoni un famiglia polacca: «Tornate da dove siete venuti ». Su un autobus di Newcastle hanno bruciato i capelli a una polacca nera. «Sei stata aggredita perché eri polacca o perche eri nera? », gli ha chiesto Gary Younge, che alla radio ( Bbc) ha curato il seguitissimo programma “Gli europei dell’Est nella terra di Brexit”. La polacca nera l’ha guardato e invece di rispondere si è messa a piangere. Persino a un’italiana hanno rotto un dente a colpi di bottiglia. La polizia di Huntingdon ha mostrato ai giornalisti le lettere che i razzisti hanno fatto scivolare nelle case dei polacchi: “No more Polish Vermin, non più parassiti polacchi”.
Il razzismo in Inghilterra, nonostante Giacomo Leopardi lo avesse già segnalato nello Zibaldone come alterigia nazionalista, è un paradosso indigeribile perché Londra è l’aeroporto più grande del mondo, la capitale della globalizzazione, la vera città generica direbbe Koolhaas, quella con l’identità sempre in movimento. Ebbene la Londra della paura è anche il semiparadiso fiscale che attira gli sceicchi e i campioni come Valentino Rossi, la Londra delle torri di superlusso (dieci, quindici milioni di sterline un appartamento). Secondo le previsioni nel 2030 non avrà più residenti, ma solo proprietari di seconda casa, come un’immensa Urbino, una non-città senza inglesi dove già oggi lavorano solo gli immigrati, come ripete Boris Johnson. Joshi Herrmann del London Evening Standard in un ‘Pret a Manger’, che è una delle più grandi catene di qualità di take- away food, ha contato 8 nazionalità di lavoratori, tra cui Polonia, Italia, Svezia e Nepal: «Uno solo è inglese». Anche a Starbucks, Caffè Nero, Costa… le bariste sono tutte straniere.
Forse perché gli stranieri accettano un salario più basso? Il capo del personale ha risposto che «gli stranieri lavorano meglio e di più mentre l’inglese ha sempre mal di testa, gli muore il pesce rosso, ha la nonna malata a Liverpool…»: why can’t a Brit get a job? L’offerta di lavoro nell’ultimo anno è aumentata di 414mila posti e l’ottanta per cento è stata assegnato agli stranieri.
A Birmingham, che è la città più musulmana, ma è anche la città il cui centro storico, circa quarant’anni fa, fu recuperato grazie a un’autotassazione delle prostitute, a Birmingham dove la Brexit ha vinto con un margine stentato di 3.800 voti (50,4 per cento), la paura è peggio che fisica: “Trojan Horse”, cavallo di Troia, è il nome che qui hanno dato alla strategia degli Invaders. Nel 2014 la preside Rizwana Darr aveva trasformato la sua scuola pubblica in una madrasa: ogni venerdì arrivava l’imam, il bagno era il lavacro per le preghiere, i bambini dovevano mangiare con la mano destra, erano state cancellate da tutti i libri le immagini dei maiali… Ebbene, la settimana scorsa il consiglio comunale ha aperto un dibattito per introdurre nelle scuole lo studio dei valori britannici: «Qui da noi ci sono farmacie dove consigliano di coprire il corpo quando si va a nuotare, negozi dove si vieta di consumare alcol anche in tutte le strade vicine, lavori che vengono rifiutati alle donne senza velo». Ecco: la Brexit ha mostrato l’altra faccia della tolleranza. Ed è un sottosopra, un ribaltamento del codice della libertà, un terremoto culturale. Al punto che tra i ragazzi si è diffuso un nuovo modo di dire: “You’re worse than Brexit, sei peggio di una Brexit”

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