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Fenomeni paranormali

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SPETTACOLI
Citazioni anni Ottanta, giovani avventurosi, atmosfere da incubo e grandi misteri Incontro con ideatori e piccoli protagonisti della serie tv più amata degli ultimi anni

“Stranger Things”, indagine su un cult
FILIPPO BRUNAMONTI
LOS ANGELES
«DI COSE strane è piena la serie: mostri demoniaci, poteri telecinetici, tornei con il gioco di ruolo Dungeons & Dragons. Ma la cosa più strana e bizzarra sono questi ragazzini». I gemelli Matt e Ross Duffer presentano così le piccole grandi mascotte della serie tv Stranger Things, lo show Netflix più visto dopo Orange is the new black e di ritorno, nel 2017, con una seconda stagione top secret, sempre scritta dai Duffer Brothers. Quando le incontriamo, le giovani star toccano appena il metro e cinquanta: sono già habitué sul divanetto di Jimmy Fallon, sui palchi di Broadway e alla cerimonia degli Emmy. I loro nomi sono finiti nell’abbecedario della pop culture anni Ottanta: Millie Bobby Brown, Caleb McLaughlin e Gaten Matarazzo hanno solo sentito parlare di E. T., Goonies, Alien o Poltergeist: «Gli anni Ottanta ci sembrano il mito di un’era lontana», sorride Finn Wolfhard, 13 anni, il quarto attore- bambino della gang. Ma ora che Stephen King, super-appassionato, vuole congratularsi con loro di persona, e una tonnellate di fan li usa come salvaschermo, per gli “stranger kids” il sogno è decollato. Merito degli omaggi alla fantascienza per teenager cara a Spielberg:
Stranger Things sfuma dalla science fiction al fantasy, mettendo in scena lo sbarco di un mostro alieno in una tranquilla cittadina dell’Indiana, nel 1983, e l’avventura di un gruppo di ragazzi alla ricerca dell’amico scomparso. La serie è diventata il caso dell’estate scoperchiando teorie complottiste, meme ironici, tuffi su eBay all’ultima asta (abiti vintage, giocattoli, mazzi di carte) e un culto per la colonna sonora.
«E chi si aspettava tutto questo successo? Clamoroso», esclamano i Duffer. «Il nostro film di debutto,
Hidden, è un thriller con Alexander Skarsgard che ha attirato l’attenzione di M. Night Shyamalan, regista del Sesto senso. Da quel momento siamo diventati consulenti e scrittori della sua serie per Fox,
Wayward Pines, pensavamo di avere le porte aperte. La genesi di
Stranger Things invece è stata rocambolesca. D’altronde, come spieghi ai finanziatori che vuoi dei bambini protagonisti di uno show destinato a un pubblico adulto?». Oltre mille ragazzini tra i nove e i quattordici anni sotto provino ogni giorno, poi il colpo di fulmine con Wolfhard (Mike), Matarazzo (Dustin), McLaughlin (Lucas) e Brown (Eleven, “Undici” in italiano). «Con un cast di quasi soli minori, fai centro o sei morto», aggiungono Matt e Ross. «I bambini devono lavorare meno ore degli adulti, non puoi sottoporli a venti ciak per scena e ci sono regole serrate con i sindacati. I veri “immaturi” però sembravamo noi mentre cercavamo di convincere grosse compagnie di streaming e video on demand come Netflix». I fratelli si presentavano a riunione con cartellette e adesivi dello Squalo, i Blues Brothers, Ritorno al Futuro e l’artiglio di Freddy Krueger. A proposito di tecnologia, interviene Gaten Matarazzo, 14 anni: «Meglio il mondo analogico rispetto a quello virtuale: negli anni Ottanta e Novanta l’amicizia era vera amicizia, avevi più tempo per coltivare i rapporti con gli altri, meno distrazioni… ». Il suo film preferito, dice, è una classico: Stand By Me. «Lo guardo e lo riguardo. Su videocassetta, ovvio. Ho cominciato la mia carriera con i musical. Devo ringraziare mia sorella, attrice e cantante. Lei è una professionista seria, non come me che mi sono sempre detto che questo mestiere dura un giorno, poi chissà». Anche Caleb McLaughlin ha debuttato nel musical - era il piccolo Simba nel Re Leonea New York - dopo aver studiato danza alla Harlem School of the Arts: «Ero pronto a tutto ma non al boom della serie», ammette. «Ora su Twitter mi seguono brasiliani, italiani... Ciò che mi impressiona è la reazione del pubblico a seconda della nazione. C’è chi ama e chi odia Stranger Things, questo mi innervosisce un po’. A differenza di Gaten, io non saprei vivere senza tecnologia, e a dire il vero nemmeno lui perché, di nascosto, tra un ciak e l’altro, giochiamo insieme a Pokémon Go». Pronta a cestinare il suo telefono e vivere negli anni Ottanta è la dodicenne Millie Bobby Brown, viso da elfo, accento inglese e appassionata di rap e Nicki Minaj: «Interpreto Eleven, il personaggio più misterioso di tutti, una fuggitiva del governo. Non è ancora confermata la mia presenza nella stagione 2 ma va bene così: che fortuna essere stata scelta! Prima di piccoli ruoli in serie come NCIS, Modern Family e Grey’s Anatomy non avevo mai calcato il palcoscenico, nemmeno una recita parrocchiale o il presepe vivente. I miei fratelli fanno da manager su Instagram e YouTube». Il suo sogno? «Lavorare con Spielberg e avere Jodie Foster come regista di un episodio di Stranger Things. Con loro farei un salto indietro di trent’anni, dove il mondo era lo stesso ma si respirava più libertà, nelle arti e nella cultura. Oggi le persone hanno meno fiducia nel genere umano». I Duffer si sentono responsabili dei loro giovani attori, e per evitare di perderli, come accadde con Macaulay Culkin, «il trucco è trascorrere del tempo tutti assieme», fanno sapere: «Guardiamo Stand by me e leggiamo Stephen King: così i nostri piccoli eroi conoscono la fine del sogno americano, il comunismo, la Guerra Fredda e apprendono che il male si annida nella natura umana, non nel sovrannaturale».
©RIPRODUZIONE RISERVATA
PROTAGONISTI
In alto, Millie Bobby Brown (Undici). Sopra Matarazzo, Wolfhard e McLaughlin A sinistra, i fratelli Duffer con Winona Ryder (Joyce Byers)

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