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“La moneta non basta L’Europa deve avere politiche fiscali comuni per aiutare lo sviluppo”

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Economia

L’intervista.
Jason Furman, consigliere economico di Obama: gli Usa vanno bene ma le economie avanzate troppo deboli

ECONOMISTA Jason Furman, Chairman del Council of Economic Advisors con il presidente americano Barack Obama

FERDINANDO GIUGLIANO
DAL NOSTRO INVIATO
WASHINGTON.
Jason Furmanè l’economista più vicino a Barack Obama. Da chair del comitato di consulenti economici, il quarantaseienne newyorchese aiuta il presidente Usa a formulare le sue politiche economiche a livello domestico e internazionale. In un ristorante indiano a poche centinaia di metri dalla Casa Bianca, Furman spiega a Repubblica perché l’eurozona debba rafforzare le sue istituzioni e le sue banche per aiutare la crescita mondiale, ma nega che ci sia un conflitto in corso fra le due sponde dell’Atlantico.

Il Fondo monetario internazionale ha abbassato le stime di crescita per gli Usa ed è preoccupato per la ripresa globale.
Come risponde?

«Non dobbiamo perdere di vista quanto è stato fatto fino ad ora. Negli Stati Uniti, ad esempio, abbiamo visto i consumi crescere sulla scia di un forte aumento dei redditi e la fiducia dei consumatori resta molta alta. Non c’è nulla che assomigli a un momento di crisi, insomma. Ma questi progressi rischiano di provocare un certo compiacimento: in molte economie avanzate ci sono segni di domanda aggregata insufficiente, la produttività cresce troppo lentamente e la disoccupazione nell’eurozona è ben più alta di come dovrebbe essere ».

Il Fondo chiede un maggiore coordinamento delle politiche economiche a livello globale, ma questo sembra impossibile da ottenere.

«I leader del G20 si sono detti d’accordo nell’utilizzare tutti gli strumenti necessari per far ripartire la crescita, citando la politica fiscale, monetaria e le politiche strutturali. Per ora, il coordinamento a livello globale è riuscito a evitare fenomeni come le svalutazioni competitive, ma altrove, per esempio sulla politica fiscale, non tutti i paesi la pensano come gli Usa. Le organizzazioni internazionali come il Fondo o l’Ocse stanno sempre di più chiedendo uno stimolo fiscale, ma questa non è la posizione su cui i leader a livello globale sono d’accordo».

Cosa dovrebbe fare l’eurozona per spingere la crescita?

«Le istituzioni dell’eurozona sono state disegnate in un modo tale per cui l’unica vera politica comune è quella monetaria. La politica fiscale comune è stata pensata soltanto per limitare la spesa. Bisognerebbe ripensare le istituzioni in un modo che aiuti a coordinare la politica fiscale».

Il Fondo è preoccupato per i rischi di crescente protezionismo. Che ne pensa?

«La storia più importante da raccontare è come, dopo la crisi, i Paesi abbiano continuato a liberalizzare il commercio invece di erigere delle barriere. Sono però preoccupato per come un piccolo numero di Paesi stia cominciando a tornare sui suoi passi e, ancora di più, per come non riusciremo a liberalizzare il commercio allo stesso ritmo di prima. Per esempio, noi ci auspicheremmo di procedere con le negoziazioni per il trattato di libero scambio Usa-Ue (Ttip) a un passo più rapido di quanto l’Ue sia in grado fare ».

Negli scorsi mesi, Ue e Usa si sono trovati su posizioni opposte in molti casi, dalla multa che la Commissione Europea vuole comminare a Apple, a quella del Department of Justice contro Deutsche Bank.
E’ in atto una guerra commerciale?

«Abbiamo una relazione molto forte con l’Ue e i suoi Stati membri. Ci saranno sempre dei disaccordi, ma non vedo nessun particolare trend: si tratta di processi, decisioni e casi distinti. Posso aggiungere una cosa però: noi vediamo con grande favore il mercato comune digitale che si vuole costruire in Europa. Tuttavia, siamo preoccupati che questo mercato non sia creato con le politiche di apertura con cui negli Usa abbiamo costruito il nostro. Se questo progetto si trasformasse in una forma di protezionismo, sarebbe un problema per gli Usa e per l’Europa».

Non crede che le autorità americane abbiano preso di mira le banche europee? Il vice-presidente della Commissione Valdis Dombrovskis ha detto che l’Ue si opporrà a richieste di rafforzamento eccessivo della patrimonializzazione delle banche, posizione invece sostenuta dagli Usa.

«Nel caso di Deutsche Bank is tratta di un’azione di un’autorità giudiziaria presa indipendentemente dalla Casa Bianca e su cui noi non abbiamo nulla da dire. Per quanto riguarda la regolamentazione bancaria, le banche europee sono meno solide di quello che dovrebbero essere, e questo è un rischio per l’economia europea e globale. Servirebbe più capitale, ma gli eventi delle settimane recenti hanno dimostrato che ci sono anche carenze di trasparenza nei meccanismi con cui viene gestita una crisi bancaria. Le banche Usa hanno smesso di essere un problema globale perché abbiamo maggiore chiarezza e più capitale. L’Europa, invece, è stata più lenta».

Siamo a pochi mesi dalla fine del secondo mandato per l’amministrazione Obama. Non crede che l’incapacità di far ripartire la ripresa globale sia anche un vostro fallimento?

«Gli Usa non sono onnipotenti, né dovrebbero esserlo. Durante l’amministrazione Obama, il G20 si è rafforzato: per esempio, ha evitato che la crisi fosse peggiore di quel che è stato. Oggi, sebbene nel G20 cominci a prevalere una posizione che sostiene un rilancio delle politiche fiscali, questo non è un punto di vista unanime. Si tratta di uno dei limiti di questi consessi».
©RIPRODUZIONE RISERVATA
“IL PROTEZIONISMO
Sono preoccupato perché alcuni Paesi cominciano a tornare indietro sul libero scambio 
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Non c’è una guerra tra noi e Bruxelles ma l’Unione rischia di arroccarsi sul mercato digitale
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Quelle americane non sono più un problema Le vostre invece sono meno solide

FOTO: ©SHAWN THEW/EPA

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