Prima
L’ANALISI
SEBASTIANO MESSINA
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LA GRANDE Bugia ha una data precisa: lunedì 18 luglio.
Quel giorno Paola Muraro, assessora all’Ambiente del Comune di Roma, ha saputo di essere indagata per violazione della legge sui reati ambientali. Non da un articolo di giornale, o da una indiscrezione: da un certificato penale che lei stessa aveva richiesto alla Procura di Roma, un documento ufficiale nel quale veniva indicata anche la data in cui era finita nell’inchiesta sul grande pasticcio dei rifiuti romani: il 21 aprile di quest’anno.
Una notizia-bomba, che l’interessata ha subito comunicato alla sindaca Virginia Raggi, il giorno stesso. Non sono retroscena giornalistici: è stata la stessa sindaca ad ammetterlo, ieri, davanti alla commissione parlamentare d’inchiesta sulle Ecomafie, dove finalmente la verità è venuta a galla.
Dunque Paola Muraro e Virginia Raggi sapevano perfettamente, quando erano passati solo dieci giorni dalla nomina della nuova giunta del Campidoglio, che l’assessora era sotto inchiesta per la gestione della discarica di Rocca Cencia di Cerroni — accusa davvero imbarazzante per chi è stato appena incaricato di gestire la grana dei rifiuti — ma non hanno fatto nulla.
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E soprattutto, non hanno detto nulla. Per sette settimane hanno nascosto la verità ai romani, hanno dichiarato ai giornali che a loro non risultava niente di niente, fingendo di cadere dal pero ogni volta che un giornalista domandava se fosse vera la notizia dell’inchiesta.
Hanno mentito, l’assessora ma anche la sindaca. Intervistata da Repubblica, Paola Muraro ha finto ancora domenica sera di non sapere di essere indagata: « Io non ho ricevuto nulla dalla Procura », giurava. E in un’altra intervista (al Fatto) aggiungeva: « E non mi risulta nulla» . Era una menzogna: a lei risultava tutto da un pezzo, esattamente da 49 giorni. Come Virginia Raggi, che il 10 agosto giudicava il coinvolgimento formale dell’assessore nell’indagine « un’ipotesi al momento irreale» , e ancora ieri — intervistata dal Corriere — ripeteva: « L’assessora mi ha garantito che non le è arrivato neanche un avviso di garanzia» .
E con quel « neanche » voleva dire: non c’è proprio nulla. Ebbene, nascondersi dietro il mancato ricevimento di un avviso di garanzia significa usare un dettaglio vero per coprire una versione falsa, quando si ha in mano un certificato giudiziario che mette nero su bianco, specificando anche il reato, la condizione di indagato di un amministratore pubblico. È uno di quei trucchi che i grillini hanno sempre imputato alla “kasta”, quando reclamavano le dimissioni immediate di qualunque indagato.
Oggi invece la sindaca e l’assessora spaccano il capello per distinguere chi è indagato da chi ha ricevuto l’avviso di garanzia, e giocano con le parole per sostenere che loro davano la risposta giusta, era la domanda che era sbagliata. Ma anche il silenzio è una colpa, per un politico, quando nasconde una verità. Meno di un anno fa, il pretesto che il Pd romano utilizzò per andare dal notaio a far decadere il sindaco Ignazio Marino fu che lui sapeva di essere indagato ma non l’aveva rivelato neanche alla sua giunta: per due giorni aveva tenuto la notizia solo per sé. Allora i grillini applaudirono.
Oggi, quel Movimento che ha promesso l’onestà ai romani si trova di fronte alla sua prima vera prova di coerenza, proprio sul delicatissimo fronte della trasparenza.
Una sindaca che sbandiera la sua cristallina limpidezza anche quando licenzia un assessore con un post alle quattro del mattino, oggi ha il dovere di spiegare non a noi ma ai cittadini di Roma perché il 18 luglio ritenne importante e urgente avvertire i vertici nazionali dei cinquestelle che Paola Muraro era indagata, ma per tutto questo tempo ha deliberatamente nascosto questa notizia a chi l’ha votata, fidandosi di lei.
E un’assessora che per sette settimane ha raccontato una grande bugia, nascondendo alla città la sua condizione di indagata, non può restare al suo posto un minuto di più.