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M5S, pauperismo addio

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Prima
LA POLEMICA

SEBASTIANO MESSINA
IL 4 OTTOBRE 2009 Beppe Grillo scelse per la nascita dei Cinquestelle la festa di san Francesco, il poverello di Assisi, e annunciò una nuova “regola” francescana da portare fin dentro il Parlamento, il Palazzo della casta ladra e sprecona. Ieri, nel giorno di san Domenico — fondatore dell’ordine dei predicatori — il padre-padrone del Movimento ha finalmente scoperto che per fare politica non si può proprio fare a meno dello sterco del diavolo: il denaro.
SEGUE A PAGINA 25
QUEL denaro che lui ha platealmente rifiutato, rinunciando a 42 milioni di finanziamento pubblico, quel denaro che i suoi parlamentari hanno pubblicamente restituito, riconsegnando 18 milioni tagliati dalle loro buste-paga, ecco, quel denaro adesso servirebbe. Per organizzare come si deve la festa nazionale del Movimento a Palermo, per esempio, perché come si dice in Sicilia “senza dinari non si canta missa”. E allora l’ex comico diventato capopartito chiede ai suoi di mettere mano al portafogli e lancia un appello dal suo blog: «Bisogna fare qualcosa di più, bisogna che anche altri diano qualcosa». Già, perché l’autofinanziamento, la miracolosa medicina che avrebbe guarito la politica malata, a quanto pare non funziona benissimo: «Mi ha fermato una persona che mi ha detto: sono 8 volte che do 30 euro, non ce la faccio più».
Così, in questo 2016 che sarà l’ultimo anno del finanziamento pubblico ai partiti — ormai ridotto del 75 per cento, grazie alla legge Letta — ci ha pensato un assessore grillino di Anguillara, Franco Bernardini, a rimettere il valore dei soldi sul tavolo del fondamentalismo pauperista, dimettendosi due mesi dopo la sua nomina perché non si può fare politica con 868 euro (lordi) al mese: «Non posso lasciare il mio lavoro, quello che mi permette di pagare il mutuo, di mantenere la famiglia e magari ogni tanto mangiarmi una pizza».
A Roma, diciamo la verità, i deputati e i senatori M5S — i “cittadini portavoce” — questo l’hanno già capito da un pezzo. Ricordate le parole di Grillo? «I nostri parlamentari prenderanno 2500 euro al mese e restituiranno il resto!». Beh, non è andata proprio così, e l’altro giorno a Montecitorio la deputata del Pd Giuditta Pini ha fatto i conti in tasca ad Alessandro Di Battista, prima di vederlo partire per un tour anti-Renzi in maxiscooter — versione ostentatamente spartana del treno di Prodi, del pullman di Veltroni e della nave di Berlusconi — ricordandogli che a febbraio lui ha effettivamente restituito 2058 euro, ma ne ha trattenuti 3187. Più 6287 di rimborsi vari, però. Fanno 9474 euro.
E Di Battista è tra i più francescani, perché il deputato fiesolano Emanuele Cozzolino nello stesso mese, sotto voce “rimborsi”, ha incassato 11209 euro (raggiungendo, con i 3330 dell’indennità, quota 14539), il senatore napoletano Sergio Puglia ne ha ricevuti 9064 (dei quali 2709 solo per pagare l’affitto del suo appartamento romano: sono finiti i tempi delle mansarde in comune), il suo collega catanese Mario Michele Giarrusso ha speso al ristorante 1019 dei 9254 euro rendicontati (altro che la pizza dell’assessore di Anguillara) e la veneta Arianna Spessotto è riuscita a farsi fatturare, nell’era degli abbonamenti “tutto compreso”, 1708 euro solo per le telefonate. Nulla di scandaloso, sia chiaro: c’è chi usa di più il telefono, chi l’aereo e chi le cene di lavoro. Ma sono la conferma che la politica ha dei costi, ed è giusto che lo Stato se ne faccia carico, anche se i grillini fanno più fatica degli altri ad ammetterlo, persino mentre presentano le loro note spese.
Meno fatica hanno fatto a riconoscere l’importanza dei consulenti, che quando li ingaggiavano gli altri erano dei mangiapane a tradimento («Sì ai consulenti per l’Antimafia, ma gratis», ripetevano nel 2013) mentre oggi sono diventati — come ha scritto Travaglio, il loro giornalista di riferimento — “persone che lavorano e, se di alto livello, vengono ben retribuite”. E sarà per questo che neanche il più catoniano dei grillini oggi dice una sola parola sulle contestatissime consulenze dell’assessora romana Paola Muraro, un milione in 12 anni, che salomonicamente dispensava consigli sia all’azienda dei rifiuti sia alle ditte che concorrevano ai suoi appalti. La politica costa, i conti degli onorevoli — pardon: dei “cittadini portavoce” — è giusto che li paghi il Parlamento e i consulenti vanno pagati bene. Cari grillini, benvenuti nel mondo reale.
©RIPRODUZIONE RISERVATA

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