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IL CONTO SALATO DELLE SANZIONI RUSSE
Alla vigilia del Forum economico di San Pietroburgo che potrebbe sancire un primo riavvicinamento tra Mosca e Bruxelles, per l'Italia il bilancio dello scontro scoppiato dopo la crisi ucraina è pesante: 3,6miliardi di mancate esportazioni. Un danno enorme che escamotage commerciali e appositi uffici di consulenza legale sono riusciti ad arginare solo in parte. Ma la situazione è dura anche per la Russia, dove l'autarchia voluta da Putin spinge molti produttori a inventarsi improbabili imitazioni delle eccellenze europee
E a Mosca il Parmigiano è un miraggio
dal nostro corrispondente NICOLA LOMBARDOZZI
MOSCA - Natasha ti ride in faccia ma non lo fa con cattiveria. Semmai si immedesima nel tuo dramma e prova a tirarti su il morale: "Certo che ce l'ho il Parmigiano. È bielorusso e costa pure poco". Poi quasi si commuove per la tua espressione depressa e continua a cercare di
Lo shock dell'export perduto
di RAFFAELE RICCIARDI
MILANO - Una mazzata che ha dato il colpo di grazia a un paziente già in difficoltà, con l’effetto di mandare gambe all’aria anche coloro che intrattenevano con lui intensi rapporti d’affari. A sentire le molte aziende italiane che hanno avuto il merito, negli anni passati, di aprire la frontiera del ricco mercato russo, le sanzioni europee verso Mosca e le contromosse della Federazione vengono descritte come un acceleratore di un processo già in atto. Il settore agroalimentare è stato il più colpito dalle conseguenze dell’espansione russa in Crimea, ma anche meccanica, mobili e molti altri pezzi del Made in Italy hanno sofferto. Una gelata a cui a partire da domani, 16 giugno, si cercherà forse di porre fine con il Forum economico di San Pietroburgo dove è in programma anche un incontro tra il presidente Vladimir Putin e Matteo Renzi. Ma la strada è ancora lunga visto che le posizioni tra Mosca e Bruxelles restano distanti.
Segnali già negativi prima. Come è noto, a seguito della crisi ucraina l’Unione europea ha diramato una serie di sanzioni verso singoli individui russi, in gran parte oligarchi vicini al Cremlino. Dal punto di vista industriale, i limiti all’export sono stati fissati in campi assai mirati: riguardano l’industria di estrazione del petrolio, in particolare le tecnologie per i complessi campi dell’Artico, e le armi. La Russia ha risposto colpendo principalmente l’agroalimentare dell’Unione e degli Stati Uniti (51 categorie di prodotti bandite), oltre ad alcune misure protezionistiche che vincolano l'equivalente della pubblica amministrazione ad acquistare pellami, prodotti dell’industria leggera o dispositivi medici da industrie domestiche.
Alessandro Terzulli, capo-economista di Sace, tiene a sottolineare che le sanzioni sono state uno shock che ha aggravato un quadro macroeconomico già in via di peggioramento: "Dal 2012 i tassi di crescita della Russia erano in diminuzione. Il crollo del prezzo del petrolio ha rappresentato un grande handicap per un paese che basa gran parte del suo bilancio su quella voce e che non ha ancora completato un processo di diversificazione dell’economia, che l’avrebbe aiutato in questa congiuntura difficile". Senza contare il deprezzamento del rublo, che si è da poco lasciato alle spalle i minimi storici.
Anche per gli altri paesi è un disastro. Isolare il peso delle singoli componenti sul crollo dei rapporti commerciali tra Italia e Russia è un esercizio che anche i più raffinati centri studi non si sentono di fare. Ma i numeri nudi e crudi parlano da soli: secondo Confindustria, fra agosto 2014 e luglio 2015 (il primo anno di vigenza dell’embargo) l’export italiano di agroalimentare si è contratto del 36% rispetto allo stesso periodo di un anno prima, ma altri hanno fatto peggio: Francia, Germania, Spagna e Gran Bretagna hanno perso rispettivamente il 38, 29, 46 e 24 per cento. Danimarca, Irlanda e Finlandia son quelli che hanno sofferto di più. Nel complesso, le nostre esportazioni sono scese nel 2015 del 25,2% rispetto all’anno prima, fermandosi a 7,1 miliardi. È un'emorragia di vendite da 3,6 miliardi, nel raffronto con il 2013, ultimo anno prima della guerra economica tra i due blocchi.
Tracollo delle auto. A registrare le performance peggiori sono stati gli autoveicoli (-60%), i prodotti in metallo (-36%), quelli alimentari (-34%) e l’abbigliamento (-31%). Terzulli aggiorna il conteggio al primo trimestre del 2016, "nel quale abbiamo perso un altro 13,9% sul 2015. I mobili hanno accusato duramente, ancor peggio ha fatto la meccanica con un nuovo calo del 37%". Proprio quest'ultimo settore, per altro, rappresenta da solo un terzo delle vendite italiane in Russia ed è quindi molto significativo.
Ai numeri ufficiali bisogna poi aggiungere il possibile danno – difficile da quantificare – subito da quanti esportavano in Russia attraverso triangolazioni con i partner europei, quali la Germania. Possibile che il valore complessivo di prodotti italiani che non hanno raggiunto il mercato finale, anche attraverso canali intermedi, sia superiore a quello delle statistiche.
Pesa anche lo stop finanziario. Tra i fattori rilevanti da considerare c’è anche quello finanziario, con lo stop decretato da Bruxelles per quanto riguarda l’accesso ai mercati dei capitali Ue da parte delle cinque principali banche russe, e delle loro controllate estere. Se nel caso dell’industria del petrolio si parla di un segmento da un centinaio di milioni di export nel 2013 (quindi pre-sanzioni), che ovviamente sta subendo danni importanti ancorché sia limitato rispetto al totale dei flussi commerciali tra Roma e Mosca, i limiti finanziari si fanno a sentire a cascata anche su imprese di altri settori.
Il meccanismo viene sintetizzato dal presidente di FederlegnoArredo, Roberto Snaidero, che spiega come si è inceppato il canale di distribuzione in Russia: "Il nostro rapporto con i rivenditori locali prevede storicamente che ci paghino all’inoltro di un ordine, che noi mandiamo in lavorazione. Alla consegna, si salda l’importo dovuto all’industria italiana. Ma le banche russe hanno chiuso i rubinetti del credito per la difficoltà a finanziarsi sui mercati dei capitali, quindi i nostri rivenditori si sono ritrovati a corto di liquidità per acquistare i nostri prodotti". I mobilifici italiani, protagonisti da anni del Salone dedicato che si tiene a Mosca, hanno saputo costruire un mercato da 900 milioni nella Federazione, che ora si è assottigliato poco sopra quota 500 milioni. Come spesso accade, i nostri imprenditori soffrono anche la loro peculiare dimensione di piccole o medie aziende: "Molte avevano sviluppato un canale di sbocco unico in Russia, vivevano di quell’export", denuncia Snaidero. "I colossi tedeschi o americani dalle spalle larghe riescono a sopravvivere meglio a questo shock, mentre per alcuni miei colleghi è stata una batosta tremenda".
"Ripristinare il dialogo politico". Posizione simile quella raccolta daAssocalzaturifici, che denuncia un -32,5% in valore delle vendite di scarpe made in Italy in Russia e un -44,3% in Ucraina: "Chiediamo con forza la sospensione del regime sanzionatorio e il ripristino delle normali condizioni di dialogo politico. Le sanzioni hanno aggravato una situazione economica certamente già precaria. I livelli si sono stabilizzati patologicamente a volumi minimi di business da ormai un anno e mezzo, intollerabili per la maggioranza delle piccole e medie imprese calzaturiere italiane".
Proprio guardando alle prospettive, più osservatori indicano una lenta ripresa dei flussi commerciali e dell’economia russa, che spera ora nel recupero dei corsi energetici e può ancora contare su ingenti valute in divisa estera. Molto dipenderà dal round negoziale del prossimo luglio, con Italia e Germania favorevoli a un attenuamento dei limiti agli scambi. Secondo Terzulli "probabilmente ci sarà ancora una proroga. Se però nel prossimo gennaio le sanzioni saranno rimosse, comprese quelle finanziarie, per il 2020 potremmo rivedere i livelli del 2013 e tornare quindi sopra i 10 miliardi di export. Ad oggi, se non si farà in fretta ad allentare i lacci, è improbabile che si riesca a recuperare rapidamente".aiutarti, peggiorando però notevolmente le cose: "Abbiamo anche il Parmigiano argentino, ma forse è un po' troppo salato. Provi questo che viene dall'Uruguay. Non so com'è, sembra un po' molle, ma la settimana scorsa ne ho venduto un bel pezzo".
La sostituzione arriva da lontano. E su quella forma di roba plasticosa e giallastra con etichetta marcata Montevideo, si consuma il momento più triste di una visita a un supermercato russo dopo due anni di sanzioni occidentali e di simmetriche contro-sanzioni dettate personalmente da Putin. L'idea di bloccare le importazioni di latticini, carni, pesce, affettati e prodotti agroalimentari dai paesi ostili in risposta ai provvedimenti finanziari di Ue, Usa e altri alleati come il Giappone, ha certamente funzionato nell'ottica del Cremlino facendo danni notevoli e ormai documentati alle economie del "nemico". Ma creando anche problemi, almeno iniziali, anche alle poche aziende locali e soprattutto ai consumatori russi che, dopo gli anni delle carestie sovietiche, si erano abituati a cibi e ingredienti di qualità per il momento irraggiungibili da queste parti.
Prima di arrivare a Natasha e al suo bancone dei formaggi, vero epicentro di questo terremoto gastronomico, il cambiamento e l'abbassamento del livello generale sono subito percepibili già all'ingresso di Azbuka Vkusa, un supermercato sull'Anello dei Giardini, fatto per i russi di fascia medio alta, quelli che più di ogni altro potevano permettersi certe prelibatezze.
Mele del Trentino addio. Prima della carestia indotta, l'inizio di un allegro percorso con carrello della spesa veniva salutato da pile di mele del Trentino o, se volevi spendere qualcosa in meno, da quelle arrivate dalla Spagna o addirittura dalla California. La cosa sembrava già strana in un Paese che le mele le produce da sempre. Ma era lo specchio di un'agricoltura locale insufficiente e male organizzata che nemmeno adesso riesce a sopperire alle richieste del mercato. Ed ecco che sui banconi sono apparse bandierine sconosciute di altri produttori che cercano di approfittare dell'enorme vuoto che si è creato. Le mele sono brasiliane o serbe. Non sono un granché ma almeno sono belle da vedere. Accanto, nella zona agrumi, invece è un disastro anche estetico. I prodotti marocchini, tunisini, argentini e cileni, sono di colori e di forme poco incoraggianti. Bellissimi invece quelli che arrivano da Israele ma sono rari e costano quasi il triplo.
Ortaggi che tristezza. Altro momento di tristezza al banco ortaggi. Una volta era il feudo dei pomodori italiani, spagnoli e, quando ti andava male, olandesi. Adesso c'è un po' di tutto. Durante l'inverno c'era stata l'invasione dei pomodori cinesi. Non male, poco cari (meno di un euro al chilo) ma fortemente sospetti di overdose di pesticidi. Adesso è il momento di quelli russi, azeri, kazaki. Brutti da vedere, leggermente più costosi, sapore variabile ma al di sotto dei nostri standard. Divertenti i "Pachino" o i "Cherry" che sono prodotti in Russia da aziende che sono riuscite fare qualche sforzo di miglioramento. Ma una confezione da un quarto costa più di due euro.
Gli sforzi delle aziende locali, e dei paesi che si sono sostituiti a noi nelle esportazioni, non sono però da sottovalutare. Qualcosa comincia a venire bene e sarà difficile un giorno riconquistare il mercato perduto. Italiani, tedeschi e olandesi riuscivano per esempio a vendere in Russia patate e carote che è proprio come vendere ghiaccio agli eschimesi. Adesso però, anche il russo più danaroso ed esterofilo ha capito che le patate russe sono perfino migliori. Certo, i produttori devono ancora imparare a presentarle meglio, togliendo tutta quella terra che riempie le confezioni e che ti costringe a pulirle a casa prima di riporle in uno stipetto, ma non è poi così grave.
L'escamotage dei "piatti pronti". Più o meno stessa situazione al banco salumi. Il bando russo consente qualche escamotage. Proibita la vendita dei prodotti da affettare, è consentita invece quella dei "potenziali piatti pronti". Significa che le confezioni di prosciutto e salame già a fette sono legali. Eppure, accanto alle più note marche italiane trovi altre buste con subdole etichette in italiano del tipo "Alto Concetto" che in realtà sono preparate alle porte di Mosca con maiali locali e allevatori che studiano da anni i nostri metodi. Risultati ancora mediocri ma non del tutto disprezzabili.
Sugli scaffali russi falsi prodotti europei in risposta alle sanzioni
La stessa regola del "piatto pronto da mangiare" consente, con una certa elasticità, la vendita dei pomodori pelati italiani. Sono cari (un euro e mezzo, una scatola da mezzo chilo) ma per il momento, tra chi se lo può permettere, non hanno concorrenti se non i cinesi che qui sono sempre guardati con un certo sospetto. I russi che si adeguano sempre di più alla dieta mediterranea continuano a prediligere i nostri pelati per condire la pasta italiana che a sua volta continua a dominare incontrastata il bancone designato. Ma anche qui dovremmo stare attenti. Da decenni anche i russi producono pasta "all'italiana" destinata per il momento alle fasce meno abbienti. I tempi del grano tenero e dei sapori incerti stanno finendo. Acquistando macchinari italiani, da nostre aziende che li producono in Russia, quindi non soggetti a embargo, molti pastifici locali stanno migliorando la qualità. Difficile che si arrivi alla prelibatezza di uno spaghetto di Gragnano Doc che però qui viene a costare anche più di dieci euro al chilo. Ma la pasta russa, a tre euro al chilo, comincia a diventare concorrenziale anche per chi non è malato di snobismo.
Stesso discorso vale per il vino dove i prezzi per ricchi, finora praticati dagli esportatori, stanno limitando le vendite nonostante l'acool non rientri nell'embargo. Vedere un vino siciliano di uva Insolia a 10 euro a bottiglia, o un generico Chianti di cantina sconosciuta a 25, comincia a turbare anche i russi che possono. Il vino della Crimea, costa meno della metà e non è malaccio. Per non parlare dei cileni e dei sudafricani che ormai spedicono in Russia di tutto a tutti i prezzi possibili.
L'imitazione conquista il formaggio. Ma la partita decisiva si gioca tutta attorno a Natasha e al suo bizzarro schieramento di formaggi. Il settore caseario è quello più arretrato di Russia e inevitabilmente la guerra del formaggio è stata la più cruenta e dolorosa sin dalle prime ore. Per mesi i clienti russi e stranieri si sono contesi a prezzi sempre più alti i resti delle forniture dei formaggi italiani, francesi e inglesi in vendita fino esaurimento. Per un po' era fiorito anche un commercio illegale e pericoloso via via scemato anche per la durezza dei sequestri e degli interventi della polizia. Si trattava di formaggi stranieri che triangolavano dalla bielorussia dove venivano rietichettati come prodotto della repubblica amica e venduti ai clienti più fidati. I preferiti? Il Parmigiano e il Grana ovviamente, poi Roquefort e Camembert francesi, Stilton e Cheddar britannici. Adesso però le scorte sono esaurite, le vendite illegali ridotte al minimo. E il banco di Natasha è una desolazione. C'è un "Caprino" prodotto a sud di Mosca come il "Brie" e il "Camembert" che gli stanno vicino. Un "Maasdam" con tanto di mulino olandese sulla busta ma fatto dalle parti di Minsk. Un misterioso "Quattro formaggi" (in italiano) prodotto in Armenia. E anche un oscuro "Prodotto di Tunisia" di un verde destabilizzante.
Puntare su "Made with Italy". Ma proprio attorno a Natasha si può ragionare sul senso di quello che sta capitando. Sono tutti prodotti che, da schifiltosi italiani esigenti, non consigliamo di assaggiare. Ma gli sforzi sono notevoli e anche le migliorie. Per esempio, i prodotti della furbissima casa moscovita Unagrande che produce "Unagrande Mozzarella", "Unagrande caciotta" e "Unagrande ricotta" sono già considerati più che decenti "almeno per cucinare" perfino da molti chef dei ristoranti italiani di Mosca. Qualche ditta italiana resiste con strane triangolazioni e con sedi registrate in Russia per aggirare la legge. Ma i prezzi restano alti e la differenza di qualità si assottiglia sempre più. Forse bisognerebbe cominciare a venire qui a produrre insieme ai russi tanto desiderosi di imparare, come dicono gli esperti di economia quando parlano del "Made with Italy" che dovrebbe sostituire il "Made in Italy". Ma è un discorso troppo lungo e complesso per Natasha che intanto ha assaggiato una scheggia di Parmigiano dell'Uruguay e che ci fa cenno sconsolata di lasciar perdere.
Nell'alimentare il blocco è cosa seria
di JENNER MELETTI
BOLOGNA - Francesco Cera, direttore generale del Maap (Mercato agroalimentare di Padova, il più importante d’Italia per le esportazioni nei Paesi dell’Est) dice subito che la Russia “no el zé farina da far ostie”. Traduzione: con i russi è meglio stare attenti, sono persone con le quali non si scherza. “Sì, qualcuno ci ha provato, ad aggirare l’embargo scattato nell’agosto 2014. Camion di frutta e verdura sono stati spediti prima in Serbia poi in Montenegro, con la speranza di aggirare il blocco. In pochissimi casi i russi hanno chiuso un occhio poi hanno bloccato tutto, distruggendo ogni carico sospetto. Lo ripeto: i tentativi sono stati pochissimi, perché la Russia ha fatto capire che non era proprio il caso di fare i furbi”.
I numeri parlano chiaro. In meno di due anni l’export agroalimentare dell’Italia, per quanto riguarda ortofrutta fresca, carni, lattiero caseari e conserve ittiche (i prodotti sotto embargo) è scomparso. “Nel 2003 – dice Denis Pantini, direttore area agroalimentare di Nomisma – il nostro Paese incassava 224,3 milioni di euro. Nel 2013 eravamo saliti a 704,5. L’anno scorso siamo scesi a 381,4. Nell’ultimo anno prima dell’embargo erano in testa le carni con 80,4 milioni, seguite dall’ortofrutta con 76,9, i formaggi a 46,9 e le conserve ittiche allo 0,9. Tutte a zero, nel 2015. Ma c’è un altro numero che preoccupa: a scomparire è stato un mercato che ogni anno cresceva a due cifre. Il tasso medio fra il 2003 ed il 2013 era infatti del 12,1%, con punte del 28,7 % per quanto riguarda i lattiero caseari, come il parmigiano e il grana. In anni di crisi, questi numeri davano fiducia alle imprese, le spingevano anche a investimenti”.
Già una settimana dopo l’embargo furono i camion fermi degli esportatori e il panico dei produttori ad annunciare l’inizio di una crisi pesante. “Certamente – racconta Francesco Cera del Maap – le decisioni della politica estera non coincidono con le leggi del mercato. La decisione di allora di ‘punire’ al Russia non fu ben ponderata, come ha ammesso recentemente anche il presidente del Consiglio, Matteo Renzi. Con l’embargo commerciale paghi tanto subito e soprattutto continui a pagare per anni. Appena bloccato l’agroalimentare italiano ed europeo i commercianti turchi hanno aperto i loro uffici a Mosca e a San Pietroburgo, offrendo agli ex clienti di italiani e spagnoli una merce meno buona ma a buon mercato. Poi c’è stata la vicenda dell’aereo russo abbattuto che ha gelato i rapporti. Ma i problemi non sono certo risolti. Sembra che l’embargo venga prorogato a tutto il 2017 e – fatto ancor più grave – le notizie che ci arrivano raccontano che la Russia è decisa a non dipendere più, soprattutto per l’ortofrutta, dai Paesi europei”.
Non c’è molto sole, sulle pianure russe. La frutta non diventa buona come quella italiana o spagnola. “E allora Putin – dice Francesco Cera – ha lanciato una sorta di piano Marshall finanziato con 50 miliardi di euro per la costruzione di serre e per nuovi sistemi di coltivazione. Una scelta autarchica che blinderebbe i confini per decenni. La politica non ci ha aiutato, in questa vicenda. Non ha tenuto conto che anche senza embargo il nostro resta un mercato difficile. Con le nostre verdure e la frutta invidiate da mezzo mondo noi abbiamo un export di 4,5 miliardi di euro all’anno, contro Olanda e Francia che ci superano con 6 miliardi a testa e la Spagna che arriva addirittura a 12 miliardi”.
Sulla “Competitività del settore ortofrutticolo nazionale”, nei giorni scorsi a Roma è stato presentato il II rapporto Unaproa – Nomisma. “In campagna – racconta Denis Pantini – non è certo facile cambiare le produzioni che il mercato non riceve. Insalate, pomodori o cocomeri crescono in pochi giorni o pochi mesi ma per le piante da frutto servono dai tre ai cinque anni. E allora se trovi porte chiuse sei obbligato a cercare nuovi mercati. E’ quello che sta succedendo dopo l’embargo russo. Nel mondo globalizzato i commerci cambiano ma non si fermano”.
Nella girandola di frutta e verdura ci sono anche nuovi protagonisti. “I commercianti più bravi e potenti sono sempre stati gli olandesi. L’Olanda è infatti il Paese europeo che produce di meno ed esporta di più. Ma adesso sulla scena sono apparsi – e contano già molto – i bielorussi”. A domanda se qualcuno sia riuscito ad aggirare l’embargo, il ricercatore di Nomisma si limita a mostrare una tabella. “Nel 2013 la Bielorussia esportava appena 180.000 tonnellate di mele. Osservi i dati 2015: importa 731.000 tonnellate di questi frutti, 208.000 dei quali dalla Polonia (sotto embargo, ndr). Con una produzione interna – sempre nel 2015 - di 300.000 tonnellate, l’export è salito a 600.000 tonnellate, 510.000 delle quali sono arrivate in Russia”.
Il mercato internazionale è davvero una girandola. “La Finlandia era la prima rifornitrice di latte della Russia ed ora riversa tutto sull’ Europa. La Polonia produce mele non buone ma invade gli altri Paesi europei e provoca un calo dei prezzi. I russi si sono messi a mangiare banane, importate dal Sud America. Cambiamenti continui, imposti non solo dall’embargo ma anche dalla crisi economica. I russi continuano a non stare bene. E’ diminuito nettamente l’import del vino italiano e francese, che pure non è sotto embargo. Le bottiglie arrivano sugli scaffali ma mancano i soldi per comprarle”.
Nei campi della Romagna si stanno “espiantando” ettari di pesche e di nettarine . “La Russia è solo la goccia che fa traboccare il vaso. Ormai da anni le pesche nettarine hanno un prezzo che non paga la produzione. Nell’annata 2004 – 2005 l’Italia era al primo posto nel mondo, con una quota del 31%. Nell’annata 2014 – 2015 pesche e nettarine sono scese al secondo posto nel mondo con una produzione crollata al 13%. In questi stessi anni la Spagna è passata dal 26 al 43%. Nei terreni liberati dalle nettarine si stanno piantando albicocchi e kiwi. I primi perché la Spagna produce poche albicocche. I kiwi perché ormai da anni questi sono i frutti che riescono a salvare il bilancio di tante aziende contadine”.
di RAFFAELE RICCIARDI
MILANO - Le sanzioni economiche possono rappresentare un danno oggettivo per pochi, che viene amplificato per scarsa conoscenza tecnica della materia e per il clima negativo che si crea intorno al paese oggetto di restrizioni, al punto da imbrigliare molte più imprese di quante non siano direttamente colpite. Ne è convinto l'avvocato Gianluca Cattani dello studio Delfino e associati Willkie Farr & Gallagher, esperto di compliance e affari internazionali. "Nel caso delle sanzioni europee alla Russia, basta scorrere l’allegato del regolamento che elenca i beni oggetto di restrizioni" nel campo dell’estrazione di greggio in grandi profondità marine (in sostanza, nell’Artico). "Si leggono specifiche su tubi, pompe, utensili per la perforazione e simili: sono indicazioni estremamente selettive".
Eppure, dice l’esperto, "le aziende sembrano intimorite anche solo a esplorare la possibilità di presenziare quei mercati". I modi per rispettare la legge e continuare i rapporti commerciali, ci sono: "Una consulenza tecnico-giuridica sul layout del progetto può permettere modifiche che consentano la continuazione del rapporto commerciale o la realizzazione di una nuova iniziativa, anche nel settore Oil & gas e nel pieno rispetto della norma Ue. Con conoscenze tecnico giuridiche adeguate è possibile trovare soluzioni che evitino l'uso di materiali vietati, sostituendoli con prodotti analoghi non banditi che permettano di avere il via libera all’export dalle attente autorità italiane competenti, sempre pronte a supportare le nostre aziende con grande professionalità".
La sensazione, in ogni caso, è che le aziende dovranno sempre più fare i conti con questo tipo di quadro internazionale, visto che le sanzioni di tipo economico – con un alto livello di selezione dei bersagli finanziari più sensibili – stanno diventando una delle principali leve della geopolitica. Con interessanti tornaconti per i professionisti del settore, che vedono moltiplicarsi i budget a disposizione della consulenza nel campo. Non è un caso che proprio la squadra di Willkie Farr & Gallagher abbia deciso di assoldare l’ex consulente per le sanzioni della Casa Bianca. Dal loro punto di vista, le sanzioni possono avere più di un risvolto vantaggioso.
Triangolo con Dubai per salvarsi dal tracollo
di JENNER MELETTI
NOALE (Venezia) – Nell’agosto 2014 la signora Barbara Gambaro, titolare dell’omonima azienda agricola con 9 ettari di serre per la coltivazione di insalate, dichiarava a Repubblica: “Già nelle prime due settimane di embargo ho perso 60mila euro. Dovrò lasciare a casa 20 persone”. Per fortuna è andata meglio del previsto. “Certo – racconta – la botta è stata pesante. Nel 2014 avevo un fatturato di 7 milioni di euro ed il 40% lo facevo con la Russia, dove avevo mandato il primo bancale nel 2006 e nel 2014 ero arrivata a 2,8 milioni di fatturato. La Russia era diventata una sicurezza, perché ogni anno cresceva moltissimo. Con un acquirente così, potevi fare anche buoni investimenti. Adesso il fatturato è sceso a 6 milioni e sono comunque contenta: c’è stata una stabilizzazione, non il crollo”.
Non basta coltivare buone insalate, bisogna saperle vendere. “Per fortuna ho trovato ottimi alleati: i commercianti olandesi. Con loro sono riuscita ad arrivare a Dubai e negli altri Paesi arabi. Vede, loro avevano un problema. Un bancale di pomodori o patate (specialità degli olandesi) per un viaggio aereo, pesa troppo. Io avevo il problema opposto: le insalate fanno volume ma non fanno peso. La ricetta giusta è stata mescolare i prodotti: giusto volume, giusto peso. E così è nata l’alleanza. Loro, fra l’altro, hanno bellissimi aeroporti, dove un trasporto costa un quinto rispetto all’Italia. In 20 ore le mie insalate arrivano in Olanda in camion e dopo 12 ore sono a Dubai. Insomma, in meno di 48 ore sono nei supermercati. E con i consumatori arabi ho fatto un’altra scoperta: sono curiosi. Non come gli italiani, che se si innamorano di un’insalata non fanno altre scelte per vent’anni. Nei Paesi arabi io riesco a esportare specialità come la Red chard, la Mizuna rossa, la Red mustard e altre insalate speciali che non sono certo inventate ma che si trovavano un tempo nelle nostre campagne”.
Un solo rimpianto. “Io ero orgogliosa, quando mandavo le mie insalate in Russia. Non solo Mosca o San Pietroburgo. In sei o sette giorni i miei camion arrivavano in Alaska. Mandavi cento container e per il viaggio seguente ne chiedevano 150. L’importante, comunque, è la stabilità ritrovata. Non è detto che l’embargo duri per sempre”.
"Cambiare strategia senza piangersi addosso"
di JENNER MELETTI
CESENA – “La ricetta è semplice: pedalare, pedalare, pedalare. Se si chiude una porta bisogna trovarne subito un’altra aperta, meglio due…”. Renzo Piraccini, presidente di MacFrut (la grande fiera dell’ortofrutta) dice che “l’embargo ha creato problemi ma è inutile piangersi addosso”. “Se non vende più a Est, si va al Nord e anche al Sud, in Africa e Medioriente. E più che nemici, bisogna trovare alleati. Noi di Cesena Fiera ad esempio ci siamo messi d’accordo con Ifema di Madrid ed abbiamo creato Mac Fruit Attraction, il marchio mondiale che mette assieme i due principali Paesi produttori ed esportatori nel settore ortofrutticolo. Assieme abbiamo già presentato la prima edizione di Mac Fruit Attraction al Cairo, nei primi giorni di maggio, ed è andata molto bene. Stiamo lavorando con il Sud America e nel 2018 saremo anche in Asia”.
“La globalizzazione? Esiste, dà problemi ma anche vantaggi. Esaminiamo ad esempio i costi dei trasporti. Un container refrigerato di 40 piedi, che porta 20 tonnellate di mele o altra frutta, da un magazzino della Romagna al Cairo costa 1600 euro, 8 centesimi per ogni chilo di frutta. Lo stesso costo di un trasporto su camion fra la Romagna e Milano. Per l’Asia un container costa 4000 euro, 20 cent al chilo, come la frutta che parte in camion da Cesena e arriva a metà Germania. Non dobbiamo farci spaventare dalle distanze. Pensiamo alla Turchia, alla quale bastava attraversare il Mar Nero ed era in Russia. Eppure anche loro, dopo l’embargo, non si sono certo fermati”.
“La Russia non vuole più le nostre mele, le pesche ed i kiwi? Altri mercati ne hanno bisogno e basta mettersi al lavoro. Il risultato migliore l’abbiamo realizzato in Egitto. Nel 2011 l’Italia esportava lì mele per un valore di 42 milioni di dollari, con una quota sul totale del mondo del 31,74%. Poi c’è stato un calo. Nel 2013 – prima dell’embargo – esportavamo mele per 20 milioni, con una quota scesa al 9,10%. Poi il gran salto: 131 milioni nel 2014, con un aumento del 552% rispetto al 2013 e 197 milioni nel 2015, con un ulteriore salto del 50%. Oggi sono italiane il 44,10% delle mele importate dall’Egitto. Non basta solo correre. Bisogna arrivare prima degli altri”.
Proteste, Crimea, jet: le tappe dello scontro
22 febbraio 2014. In seguito ad una ondata di proteste senza precedenti scoppiata dopo la sospensione, decisa in novembre, degli accordi per l'ingresso dell'Ucraina nell'Unione Europea, il presidente filo Mosca ViktorYanukovych fugge in Russia.
11 marzo 2014. Il Parlamento della Crimea e il Consiglio comunale di Sebastopoli dichiarano l'indipendenza dall'Ucraina e la loro adesione alla Federazione Russa. La decisione è il punto più eclatante di una crescente crisi politico-militare fra i due ex stati dell'Urss. Viene anche indetto per il 15 maggio un referendum per confermare questa decisione (andranno al voto l'82% degli abitanti e il Sì all'adesione alla Federazione Russa vincerà con il 97,3%). La validità della decisione e della consultazione è subito contestata da Osce, Ue Usa e Onu.
17 marzo 2014. Il Consiglio dei ministri degli Affari esteri dei 27 Pesi Ue vota misure restrittive sui viaggi in Europa per 21 personalità russe e ucraine che hanno agito contro l'unità dell'Ucraina. E' la prima sanzione.
20 marzo - 16 luglio 2014. Si tengono vertici successivi dei ministri degli esteri e del Consiglio europeo nei quali vengono votate sanzioni sempre più stringenti, a partire (23 giugno) dal blocco dell'importazione di ogni prodotto della Crimea. Nel consiglio europeo del 16 luglio, in particolare, si prospettano 6 misure economiche restrittive contro la Federazione Russa: sospensione di nuovi finanziamenti della Banca europea di investimento alla Russia, richiesta che anche la Banca per la ricostruzione faccia lo stesso, riesame ed eventuale sospensione dei programmi di cooperazione fra Ue e Russia, limitazione degli investimenti con Crimea e Sebastopoli.
17 luglio 2014. Il Boeing 777 del volo MH17 della Malaysia Airlines viene abbattuto da un missile terra-aria mentre sorvola l'est dell'Ucraina nella zona di combattimento tra forze ucraine e separatisti filorussi.
29-31 luglio 2014. Vengono varate le sanzioni economiche e politiche nei confronti della Federazione Russa: limitano l'accesso ai mercati dei capitali primari e secondari dell'Ue da parte dei cinque maggiori enti finanziari russi di proprietà dello Stato e delle loro filiali controllate a maggioranza stabilite al di fuori dell'Ue, nonché di tre grandi società russe attive nel settore energetico e di tre operanti in quello della difesa; vietano esportazione e importazione di armi; vietano l'esportazione dei beni a duplice uso per scopi militari o utilizzatori finali militari in Russia; limitano l'accesso russo a determinati servizi e tecnologie sensibili che possono essere utilizzate per la produzione e la prospezione del petrolio.
6-7 agosto 2014. La risposta russa è un decreto del presidente Vladimir Putin (il 560 del 6 agosto) che il governo recepisce il giorno successivo formalizzando l'introduzione del divieto di importare nella Federazione Russa una serie di prodotti agricoli, materie prime e prodotti alimentari, tra i quali figurano carni bovine e suine, pollame, pesce, formaggi e latticini, frutta e verdura prodotte (come attestato dal certificato di origine della merce) dagli Stati Uniti d’America, dai paesi dell’Unione Europa, dal Canada, dall'Australia e dalla Norvegia. Non vengono colpiti dalle misure alcolici, bevande, pasta, dolciumi e prodotti da forno, prodotti per l'infanzia e merci acquistate all’estero per consumo privato.
31 luglio 2016. Scadenza, salvo proroga, delle sanzioni europee.