Dal Wall Street Journal, indulgente con Trump ma senza faziosità, al New York Times, spietato in politica ma attento alle forme processuali, in molti hanno scritto che il caso penale contro di lui ha elementi evidenti di debolezza. Non è questione di astratto garantismo, l’innocenza fino a prova contraria dell’ex presidente non va faticosamente ricordata o pietosamente evocata dai benintenzionati del diritto, con risultati che nel procedimento all’italiana si conoscono bene, e si possono riassumere nell’idea che sei colpevole fino a prova contraria, una volta che capiti tra le grinfie di un magistrato; è la premessa di tutto il processo, è un dogma dell’opinione consolidata, praticamente non si giudica Trump come imputato, che è il nostro sport nazionale nei casi analoghi, si giudica solo la validità del procedimento che pretende di metterlo in stato d’accusa, di incriminarlo e di processarlo, l’attendibilità giuridica dell’impianto del procuratore, dell’accusatore di stato in nome del popolo (People vs Trump). Lo sport nazionalcostituzionale americano non è vedere se Trump mente a propria difesa, questa è la nostra specialità, ma valutare se chi lo accusa ha elementi sufficienti per dimostrare che ha commesso un reato, il resto è periferico, inessenziale. Ecco perché il canone sacro del garantismo, nella interpretazione italiana ed europea continentale, in questo caso non funziona se non in modo sghembo, per analogie che non sono probanti né ficcanti.
Ricordiamo un giorno caldissimo d’estate, un’aula solitaria della Corte di cassazione, il ventilatore che gira e gira, e un consesso di giudici, poi divisi da testimonianze contrapposte e imbarazzanti sull’origine della loro imminente decisione, che irroga una pena definitiva per evasione fiscale a Berlusconi, il principale o uno dei principali contribuenti dell’erario, un capo azienda che personalmente non aveva responsabilità diretta nei diversi dossier fiscali. Intorno a quel ventilatore non c’era un’opinione pubblica informata, una battaglia esplicita e chiara su dati processuali incontrovertibili, come avviene nel caso Trump, il tutto era affidato all’alea di un cosiddetto libero convincimento del giudice, di cui poi si seppe, non solo per la sua accanita collaborazione con il giornale di Marco Travaglio, che nutriva pregiudizi politici aperti verso l’imputato. Lo scontro, vago e distaccato sia dal fatto che dal diritto, era tra gli amici ed estimatori del Cav. e i suoi detrattori, presunzione di innocenza per gli uni, certezza di colpevolezza per gli altri. Non sempre le cose vanno così, specie in America dove il mezzogiorno di fuoco nello scontro all’O.K. Corral è scandito da legge, garanzie e attenzione generale all’osservanza dell’una e delle altre, con un ruolo chiarificatore e non mistificatore di tutti i media, amici e nemici confusi tra loro. Ecco perché non siamo in dovere di sentirci garantisti all’italiana nel caso Trump.