STRATEGIA E TATTICA
Giorgia Meloni parte per un viaggio che la porterà in India e poi negli Emirati. Due tappe importanti per ragioni strategiche e tattiche, di politica estera e di affari economici. La più proficua può essere quella indiana, la più spinosa quella araba. A Nuova Delhi incontrerà il primo ministro Narendra Modi, che sta giocando un ruolo ambizioso a cavallo tra l’asse euro-atlantico e quello euro-asiatico.
Sanare i cocci lasciati dal governo Conte è ancor più importante ad Abu Dhabi. I rapporti economici sono tradizionalmente floridi. L’Italia è il principale partner commerciale degli Emirati Arabi Uniti nell’Unione europea, gli scambi bilaterali non petroliferi hanno stabilito nuovi record nei primi nove mesi del 2022 (6,6 miliardi di euro, con un aumento del 15,5 per cento). Sono presenti 600 aziende italiane. Per l’Eni gli Emirati svolgono un ruolo importante nella raffinazione, nella chimica, nell’esplorazione offshore. Ma l’Italia deve togliere di mezzo le scorie dell’Alitalia e il blocco all’export ad alcuni sistemi d’arma votato in Parlamento.
Facciamo due passi indietro. Nel 2014 l’Alitalia è a terra da tutti i punti di vista. Il governo guidato da Enrico Letta avvia una trattativa con Etihad, la compagnia degli Emirati, che nell’agosto annuncia a Matteo Renzi, arrivato nel frattempo a Palazzo Chigi, la decisione di acquistare il 49 per cento di Alitalia. Sembra la svolta definitiva, invece tre anni dopo c’è ancora bisogno di capitali. Etihad non è disposta a staccare altri assegni se non dopo una profonda ristrutturazione. Sono in ballo 400 milioni di euro. Il piano industriale, che prevede la vendita dei servizi a terra e una riduzione di personale, viene bocciato dai dipendenti con un referendum. Etihad esce, Alitalia viene commissariata e lì comincia una vicenda giudiziaria che porta la procura di Civitavecchia a incriminare tutti i vertici più i membri del consiglio di amministrazione e i top manager di Intesa e Unicredit, le banche che hanno sostenuto il salvataggio, in tutto 21 persone accusate di bancarotta fraudolenta. L’emiro Mohammed bin Zayed bin Sultan Al Nahyan lo considera un affronto, rivendica la sua amicizia con l’Italia, il soccorso a Unicredit dopo la crisi finanziaria del 2008-2010, il sostegno alla Ferrari, la valorizzazione dei brand italiani e, ultimi ma non certo per importanza, i contratti nel settore della Difesa. E qui viene l’altra brutta rogna.