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Un’attrazione fatale Thomas Mann, i tedeschi e il fascino romantico della Russia

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Non c’è solo la questione del gas: lo spirito della Germania è in bilico tra l’occidente illuminista e l’oriente delle leggende. L’indecisione sulla guerra in Ucraina spiegata dal percorso del grande scrittore
Dopo la caduta del Muro, Berlino credeva di non dover più scegliere tra est e ovest. Il sogno di un’Europa pacifica dall’Atlantico agli Urali

L’invasione russa dell’Ucraina il 24 febbraio 2022 ha cambiato tutto. Ha trasformato il panorama della sicurezza europea post Guerra fredda, ha spento ogni speranza di riconciliazione tra Mosca e l’occidente per almeno una generazione e ha dato al resto del continente un interesse diretto non solo nel contenimento di Vladimir Putin ma nella sua umiliante sconfitta. Scene strazianti di missili che colpiscono complessi residenziali e ospedali, di civili ucraini uccisi e mutilati, ci hanno fatto conoscere questa nuova drammatica realtà. Nel caso in cui ci sia mai stato un tempo per l’ambiguità, è passato per sempre.

 

Eppure in Germania, molti faticano a elaborare tutti questi cambiamenti. Il governo federale del cancelliere Olaf Scholz proclama il sostegno incondizionato all’Ucraina, ma ha procrastinato l’invio di armi. Una prova del pensiero che sta dietro a questa riluttanza si è vista il 21 giugno, quando il principale consigliere per gli Affari esteri di Scholz, Jens Plötner, ha rimproverato i giornalisti per essersi concentrati così tanto sull’esportazione di armi: “Si possono riempire molte pagine di giornale con 20 Marder (veicoli corazzati da combattimento per la fanteria), ma articoli più ampi su quali saranno le nostre relazioni con la Russia in futuro sono meno frequenti”. Il futuro delle relazioni tra Berlino e Mosca, ha detto, è “un tema impegnativo e rilevante almeno quanto le forniture di armi”.

 

In effetti, una parte significativa dell’intellighenzia tedesca è preoccupata esattamente da questo. In una serie di lettere aperte, scrittori, filosofi, attori e commentatori hanno messo in guardia da risposte “sproporzionate” o “escalatorie” (compreso l’invio di armi). Alice Schwarzer, una giornalista femminista veterana e promotrice di una delle lettere, ha chiesto dei negoziati con Putin e ha accusato senza fondamento il presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, di essere un provocatore. Con la stanchezza per la guerra che si fa strada tra gli elettori e le crescenti preoccupazioni per la chiusura del gas quest’inverno, sta crescendo la pressione affinché Berlino spinga per una sorta di accordo con Putin.

 

Di fronte a questa esasperante e duratura urgenza tedesca di essere un ponte verso la Russia, gli osservatori internazionali spesso si rivolgono alla storia per trovare spiegazioni. La decennale dipendenza energetica della Germania dalla Russia è una di queste ed è legata a una seconda spiegazione: l’eredità della “Ostpolitik” dell’ex cancelliere della Germania ovest Willy Brandt della fine degli anni Sessanta, che cercava di migliorare le relazioni con Mosca e che è particolarmente cara al centrosinistra di Scholz. La russofilia negli stati della Germania est ha radici solide per i decenni trascorsi sotto il dominio sovietico (una quindicenne Angela Merkel vinse un viaggio a Mosca come premio per la sua performance nel concorso nazionale di lingua russa della Germania est). E poi, oltre tutto questo, c’è il senso di colpa tedesco per le atrocità che il nazismo ha commesso contro la Russia e il suo popolo. Tutte queste sono delle spiegazioni convincenti. Ma sono anche incomplete. E’ impossibile comprendere la profondità della russofilia tedesca – e con questa l’anelito a buone relazioni con Mosca, anche nel peggiore scenario – leggendola attraverso le statistiche economiche o la cronologia degli eventi storici mondiali. Bisogna scavare nella cultura e nelle idee e andare molto più indietro del 1945, nelle nebbie più oscure e antiche della psiche e dell’immaginazione tedesca. Per fortuna, esiste una guida. Le Considerazioni di un impolitico (1918) di Thomas Mann nascono dalla politicizzazione dello scrittore a causa della Prima guerra mondiale e della rottura del rapporto con il fratello Heinrich. Mentre Thomas aveva abbracciato il fervore nazionalista del 1914, il fratello rifiutava la guerra e chiedeva una Repubblica tedesca democratica. Nel corso del conflitto, i due si scambiarono bordate non proprio velate. In apparenza dibattevano se l’ambito del politico (cioè del progressista o del radicale) e dell’estetica fossero un tutt’uno, ma più radicalmente si trattava di un dibattito sulla natura stessa della “germanicità”. Le Considerazioni sono il lavoro cumulativo di questa faida, quando ormai i due fratelli avevano smesso di parlarsi. In questo libro Thomas si rifaceva alla distinzione tedesca del XIX secolo – resa popolare, tra gli altri, da Friedrich Nietzsche – tra la “civiltà” (Zivilisation) inglese e francese (riassunta dal politologo americano Mark Lilla nella sua introduzione al libro come “ragione, scetticismo, umanesimo, democrazia e progresso”) e la “cultura” (Kultur) tedesca (“più primordiale, che trae energia dal lato oscuro della natura umana e produce un’arte maggiore”). Mann riteneva che la guerra fosse stata necessaria per sostenere l’ordine conservatore – lo stesso che doveva proteggere queste profondità musicali, filosofiche e artistiche dell’anima tedesca dall’occidente decadente, materialista e civilizzatore, di cui considerava suo fratello, “Zivilizationsliterat” (un termine dispregiativo che significa “letterato della civiltà”), un triste lacchè. 

Mann traeva spunto da due immagini fondamentali dell’identità tedesca: un popolo definito dalla sua cultura piuttosto che da una nazionalità legata al territorio (in contrasto per esempio, con Francia e Inghilterra) e un popolo che non appartiene interamente all’occidente romano. Le tribù germaniche, dopotutto, avevano abitato a lungo al di là del limes germanicus (la frontiera fortificata che segnava i confini nord-orientali dell’Impero romano in Europa); la rottura luterana con il cattolicesimo romano nel XVI secolo fu un fenomeno fondamentalmente tedesco; il nucleo del futuro stato tedesco fu forgiato in opposizione alla Francia napoleonica; e gli ideali liberal-nazionalisti della rivoluzione del 1848 furono un fiasco tra i tedeschi, lasciando il posto al nazionalismo romantico-conservatore.

 

Questa ambivalenza tedesca nei confronti dell’occidente era spesso legata al fascino per la Russia, con la quale i tedeschi avevano stretti legami politici e culturali. Legami forti fin dai tempi dei regni di Caterina e Pietro il Grande, ma che possono essere fatti risalire al periodo medievale e alla Ostsiedlung, quando i mercanti e gli artigiani di lingua tedesca si stabilirono in alcune parti dell’Europa orientale. Così, dopo il 1848, la nozione di “cultura” tedesca contrapposta alla “civiltà” occidentale era strettamente associata alla percezione di una parentela russa.

 

Il disprezzo di Nietzsche per le mediocri “idee moderne” (“idee francesi … che erano di origine inglese”) era accompagnato dal suo desiderio di Russia. L’autore di Al di là del bene e del male (1886) venerava Fëdor Dostoevskij e descriveva “quell’improvvisa, istintiva sensazione di aver incontrato un parente di sangue” leggendo gli scritti dell’autore russo; e salutava le distese della Russia come “quell’enorme impero di mezzo, dove l’Europa per così dire rifluisce in Asia”.

 

Nelle Considerazioni di Mann, non ci sono due figure più importanti della coppia Dostoevskij-Nietzsche. Mann apre il libro citando con approvazione la descrizione che Dostoevskij fa nel 1877 della Germania come “il regno che protesta” – “una eterna protesta contro gli eredi di Roma e contro tutto ciò che costituisce questa eredità”. Mann sostiene che questa “formulazione del carattere tedesco, dell’individualità primordiale tedesca, di ciò che è eternamente tedesco, contiene l’intera base e spiegazione della solitaria posizione tedesca tra est e ovest”. Nel corso del libro, Mann intreccia questo “eterno protestantesimo” con il conservatorismo politico (definendo l’“anti radicalismo” la “qualità o peculiarità specifica, distintiva e decisiva dello spirito tedesco”) e con l’elevazione della profondità emotiva selvaggia e musicale rispetto al formalismo ordinato (il “dionisiaco” rispetto all’“apollineo”, per usare la terminologia di Nietzsche).

 

Questo, sosteneva Mann, non gli lasciava “alcun dubbio sul fatto che l’umanità tedesca e quella russa fossero più vicine l’una all’altra rispetto a quella russa e francese, e incomparabilmente più vicine di quella tedesca con quella latina”. Dopo tutto, questa umanità condivisa era radicata in una storia comune di sofferenza: “Che parentela nel rapporto delle due anime nazionali con l’‘Europa’, con l’‘occidente’, con la ‘civiltà’, con la politica, con la democrazia! … Non è un caso che sia stato un russo, di nuovo Dostoevskij, a trovare già una generazione e mezza fa l’espressione per l’antitesi tra la Germania, questo ‘grande e speciale popolo’, e l’Europa occidentale, l’antitesi da cui sono partite tutte le nostre riflessioni!”. Concludendo il libro, Mann guarda al nuovo panorama europeo post 1918 e chiede: “Pace con la Russia! Pace con lei, prima di tutto! E la guerra, se continuerà, continuerà solo contro l’occidente, contro i ‘trois pays libres’ (tre paesi liberi: Francia, Gran Bretagna e Stati Uniti), contro la ‘civiltà’, la ‘letteratura’, la politica, la retorica borghese”. In altre parole, la Germania del dopo 1918 dovrebbe almeno adottare una “Mittellage” (posizione intermedia) tra la Russia e l’occidente.

 

Leggendo le Considerazioni oggi, è sorprendente come l’autore di un’opera così umana come I Buddenbrook. Decadenza di una famiglia (il suo romanzo del 1901 sul declino di una famiglia borghese di commercianti della Germania ovest) abbia potuto produrre una prosa così reazionaria, al vetriolo. Tuttavia, è meglio considerarla come il prodotto di un sogno febbrile del periodo bellico da cui Mann si sarebbe presto risvegliato. Nei primi anni del dopoguerra, Mann cominciò a non sopportare i suoi nuovi accoliti conservatori, che, come nota Lilla, “lo misero su un piedistallo accanto a menti di secondo piano come Oswald Spengler”. Si riconciliò con il fratello e poi, scioccato dall’assassinio del ministro degli Esteri tedesco, l’ebreo Walther Rathenau, da parte di militanti di estrema destra nel 1922, pronunciò il discorso Sulla Repubblica tedesca, in cui prese le distanze da molti degli argomenti delle Considerazioni. Il nuovo Mann tuonava contro “l’oscurantismo sentimentale” e invitava gli intellettuali tedeschi a sostenere la Repubblica di Weimar. Mann personificherà le lotte tra l’umanesimo illuminista e l’irrazionalismo romantico nello scontro tra i personaggi di Lodovico Settembrini e Leo Naphta nel suo capolavoro del 1924 La montagna incantata. 

E’ una misura della rapidità del passaggio di Mann dalla destra autoritaria alla sinistra democratica e liberale il fatto che si sia sentito costretto a fuggire in Svizzera nel 1933, durante l’ascesa al potere di Adolf Hitler, un estremista motivato da alcune delle idee irrazionaliste del XIX secolo che avevano tanto consumato Mann solo 15 anni prima. Mann ne riconoscerà l’ironia in un saggio del 1938 intitolato Fratello Hitler. Un’abiura più esplicita delle Considerazioni avvenne l’anno successivo, quando Mann, che al tempo viveva negli Stati Uniti, scrisse del suo “tedesco impolitico” che “il suo elegante disprezzo per la rivoluzione democratica lo ha reso lo strumento di un’altra rivoluzione; una rivoluzione anarchica, che corre all’impazzata per minacciare le fondamenta e i puntelli di tutta la nostra moralità e civiltà occidentale”.

 

Il completamento del percorso politico dell’autore verso l’occidente latino e anglosassone avvenne, sia intellettualmente che geograficamente, a Los Angeles durante gli anni della Seconda guerra mondiale. Dal suo esilio californiano, Mann tenne trasmissioni radiofoniche in lingua tedesca sulla Bbc di denuncia al nazismo. Conobbe Franklin D. Roosevelt, idolatrandolo come un tempo aveva idolatrato Dostoevskij. In un discorso tenuto alla biblioteca del Congresso tre settimane dopo la resa della Germania nazista nel 1945, Mann sostenne che la colpa della guerra aveva radici profonde nella psiche del paese e la attribuì in particolare al “morboso” romanticismo wagneriano che un tempo aveva sostenuto. “Come la rosa porta il verme”, disse, “il carattere più intimo del romanticismo tedesco è la seduzione, la seduzione alla morte”. Queste idee presero forma letteraria nel romanzo Doctor Faustus del 1947, che si ispirava al capolavoro di Johann Wolfgang von Goethe, Faust, per descrivere la seduzione nazionale della Germania da parte delle forze diaboliche del nazismo.

 

La patria di Mann avrebbe presto percorso il suo stesso cammino politico e intellettuale. Mentre la parte della Germania sotto il controllo sovietico sarebbe rimasta legata a Mosca, circa tre quarti dei tedeschi finirono nella Repubblica federale tedesca (Germania ovest), quando questa emerse nel 1949. Questa nuova entità divenne tutto ciò che i Mann del 1918 detestavano: democratica, consumistica e dichiaratamente occidentale. Il primo cancelliere della nuova Repubblica fu Konrad Adenauer, un moderato francofilo, cattolico e democratico di Colonia che guardava istintivamente verso ovest e dava priorità alla “Westbindung” (il legame con l’occidente e la sicurezza e la riabilitazione che questo offriva) rispetto alla vecchia “Mittellage”, la posizione di mezzo.

 

Questa nuova Germania ha esaltato Mann come un pilastro delle lettere tedesche non macchiate dagli anni del nazismo. I suoi romanzi, vietati sotto Hitler, divennero dei bestseller. Nel 1949 ricevette il Premio Goethe, uno dei più alti riconoscimenti letterari tedeschi. L’“economia sociale di mercato” della Repubblica federale era modellata sui princìpi del New Deal rooseveltiano, che Mann aveva tanto ammirato in America, e assomigliava alla “democrazia borghese in senso occidentale-romano” che, nelle Considerazioni, aveva sostenuto avrebbe “portato via (dalla Germania) tutto ciò che di meglio e di complesso c’è”. La sua visione di “una Germania europea, non un’Europa tedesca” e di “una Germania libera in una federazione europea” avrebbe presto preso forma con la creazione, nel 1951, della Comunità europea del carbone e dell’acciaio, che si sarebbe sviluppata nell’odierna Unione europea. Mann visse per vedere la Germania ovest entrare nella Nato nel maggio 1955, morendo tre mesi dopo: una congiunzione affascinante, che potrebbe essere presa come simbolo della riconciliazione finale del viaggio del romanziere con quello del proprio paese.

 

Troppo lineare, in effetti. La storia della Germania non è così binaria come suggerisce questa cronologia. Mentre Mann e il suo paese percorrevano un lungo cammino politico tra l’inizio e la metà del Ventesimo secolo, ci sono stati punti di coerenza. Mann immaginava la l’essenza germanica come uno spettro di caratteristiche. Anche nelle Considerazioni non sosteneva che la vena romantica rappresentasse la totalità della natura tedesca, così come non sosteneva che l’affinità culturale tra Germania e Russia fosse assoluta. Piuttosto, la Germania che descriveva era fondamentalmente un “Mittellage”, uno stato intermedio “tra un borghese e un artista … tra un contestatore e un occidentale, un conservatore e un nichilista”. Il suo conservatorismo russofilo del 1918 era un argomento su quale lato di questo stato intermedio i suoi concittadini tedeschi dovessero scegliere.

 

Anche il Mann degli anni del dopoguerra si è attenuto a questo dualismo. Il protagonista del Doctor Faustus, la sua personificazione della Germania del 1947, è un illuminista che soccombe alla potente (e diabolica) risacca del romanticismo irrazionale. In sostanza, si trova in bilico tra le due tradizioni, come lo era stato lo stesso Goethe. Nemmeno l’anziano Mann gravitava verso gli assoluti nella sua visione politica: aborriva la divisione della Germania e dell’Europa, e sembra che considerasse Adenauer troppo a suo agio con l’alienazione della Repubblica federale dall’est (la chiamava in privato “la sua Germania ovest vaticano-americana”). La “federazione europea” che sognava si estendeva a est e a ovest. Mann rimase ambivalente nei confronti della sua patria fino alla fine della sua vita, scegliendo di trascorrere i suoi ultimi anni sulle rive del lago di Zurigo.

 

Tutto questo fa di Mann un simbolo ideale della Germania moderna. Il complesso dei suoi impulsi e dei suoi contrasti – le sue battaglie interne e le sue transizioni – cattura un aspetto del paese che resiste anche quando i carri armati di Putin rimbombano sul suolo ucraino: una tensione tra la sua vocazione politica chiaramente occidentale (una Westbindung sfidata solo dalla destra e dalla sinistra estreme) e la percezione culturale ed emotiva di sé, a volte più fragile, in una Mittellage. L’attrazione irrazionalista sulla psiche tedesca rimane. E finché durerà, resterà anche il profondo fascino romantico della Russia: l’ineffabile attrazione esercitata sui cuori tedeschi da cliché come le profonde foreste di betulle, le chiese a cupola, i samovar, le infinite distese innevate e Dostoevskij; il “Complesso della Russia” del paese, come lo storico tedesco Gerd Koenen ha intitolato il suo libro del 2005.

 

Se lo si comprende, si capisce l’agitazione che la nuova realtà europea in materia di sicurezza provoca nei tedeschi. Dopo tutto, una parte importante dell’euforia che il paese ha provato per la caduta del Muro di Berlino e la riunificazione è stata la sensazione che questa vecchia tensione fosse stata finalmente risolta: la Germania non avrebbe più dovuto scegliere tra ovest ed est, tra politica (“civiltà”) e spirito (“cultura”), tra razionalismo anglo-francese e profondità russa. Il lungo e scomodo Mittellage del loro paese lo poneva ora al centro di un’Europa pacifica e unita che si estendeva dall’Atlantico agli Urali. Putin, che conosce relativamente bene la Germania avendo vissuto a Dresda negli anni Ottanta, si è appellato direttamente a ciò nel suo discorso del 2001 al Bundestag, invocando sia la “libertà e l’umanesimo” illuminista del filosofo tedesco Gotthold Ephraim Lessing sia il romanticismo di Dostoevskij.

 

Se si comprende l’intensità di questo sogno, si comprende anche perché l’establishment tedesco vi si è aggrappato così a lungo; perché l’allontanamento della Russia di Putin dall’occidente è stato così difficile da accettare; perché figure politiche come l’ex cancelliere Gerhard Schröder (il principale sostenitore della dipendenza della Germania dal gas di Mosca) parlano in modo poetico della “Seelenverwandtschaft” (parentela spirituale) tra tedeschi e russi; perché il suo collega ex cancelliere Helmut Schmidt abbia scandalosamente definito “comprensibile” l’annessione russa della Crimea nel 2014; perché la Merkel, pur essendo intellettualmente impegnata nella Westbindung, abbia tenuto un ritratto di Caterina la Grande nel suo ufficio in cancelleria e abbia approfondito questa dipendenza energetica anche dopo il 2014. E’ anche per capire perché il governo tedesco riformista di sinistra liberale di Scholz si stia torcendo le mani sul “nostro futuro rapporto con la Russia” e fatichi a prendere sul serio le richieste dei paesi (Polonia, Baltici e naturalmente la stessa Ucraina) incuneati tra il confine orientale della Germania e la Russia.

 

La guerra della Russia in Ucraina ha messo in discussione molti dei presupposti politici dell’establishment tedesco, ma soprattutto ha messo in luce conflitti nell’identità di base del paese – est o ovest, Mittellage o Westbindung, razionale o romantico – che non sono ancora stati risolti. E’ dimostrato che i tedeschi più giovani, quelli cresciuti dopo la caduta del Muro, hanno una visione più occidentale rispetto alle generazioni più anziane. I sondaggi mostrano che sono più propensi a sostenere una Germania più “responsabile” (una forma affidabile di Westbindung) rispetto alla “moderazione” (il linguaggio della Mittellage). C’è anche un notevole divario generazionale tra gli intellettuali più anziani che dominano i firmatari delle lettere aperte che promuovono i negoziati con la Russia – come Schwarzer, nata nel 1942 – e i firmatari più giovani delle lettere opposte che esortano la Germania a stare dalla parte dell’Ucraina. Il tempo ci dirà se queste indicano un cambiamento più ampio.

 

Si è tentati di chiedersi cosa avrebbe fatto Mann della Germania di oggi, e dove si sarebbe schierato nella battaglia delle lettere aperte, se fosse ancora in circolazione. Il suo spirito romantico, amante di Dostoevskij, avrebbe trovato la prospettiva di un congelamento permanente delle relazioni con la Russia troppo forte da sopportare, e la visione di una Mittellage troppo emotivamente vibrante per rinunciarvi? Oppure il suo razionalismo democratico, amante di Roosevelt, lo avrebbe portato a non risparmiare gli sforzi per armare l’Ucraina? Sicuramente sarebbe stato intrigato da Volodymyr Zelensky, il comico diventato leader di guerra. Ma non è chiaro cosa avrebbe pensato il vecchio romanziere della situazione in cui versa il suo paese, con la sua costituzione morale messa a dura prova forse più che in qualsiasi altro momento dal 1945. E proprio in questa ambivalenza, egli si erge a simbolo di una Repubblica federale il cui lungo cammino – emotivo, culturale e politico – è tutt’altro che concluso.

 

Copyright New Statesman 

Traduzione di Priscilla Ruggiero

DI JEREMY CLIFFE

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