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LA REPORTER DI GARIBALDI

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Vittorio Matteo Corcos

Jessie White Mario, l’inglese che ricuciva le giubbe rosse e scriveva per Londra. Raccontò il disastro del sud assistenzialista.

 

di Annamaria Guadagni

A chi vuole fare i conti con la povertà, ignaro degli effetti collaterali dell’assistenza, bisogna presentare la Sig.ra Jessie White Mario. L’avvocato Ernesto Pozzi da Acquate – il paese di Don Abbondio, nel lecchese – che da studente era stato volontario con Garibaldi - e l'aveva incontrata nell'accampamento di Mentana, ne parlò come del "più caratteristico tipo garibaldi­no". Eccola: "Infermiera, medichessa, di­plomatica, corrispondente di fogli inglesi e americani, soccorritrice con rischio di vita da una colonna all'altra, ambasciatrice fra gli eserciti, irrequieta e sempre britannica mente flemmatica, genio del bene e provvidenza di tutti". Ma, naturalmente, non mancavano i detrattori, come Io storico filoborbonico Giacinto de' Sivo, che men­ziona con astio "certe dame forestiere, fa­centi le soldatesse o le infermiere a pom­pa".

Era il 1867 e Jessie White aveva già alle spalle la spedizione dei Mille: prima gior­nalista embedded con l'esercito garibaldi­no, si direbbe oggi. Nel tempo, scrisse per il Daily News, per The Nation, Daily Star, Scotsman e per la Naci6n di Buenos Aires. La stampa estera era avida di racconti sul Risorgimento italiano e sulle imprese di Garibaldi. Eppure Jessie era diventata giornalista per ripiego. La ragazza inglese che arrivò in Italia diversi anni dopo Mar­garet Fuller - la prima donna corrispon­dente di guerra per la stampa americana nella Roma assediata dai francesi del 1849- in realtà voleva fare il medico. Ma allora al college non prendevano studentesse: la London School of Medicine for Women avrebbe aperto nel 1874. Così dovette desistere anche se, alle arti mediche, Jessie non rinunciò mai: durante la spedizione dei Mille organizzò ospedali da campo, assisteva i chirurghi mentre operavano, praticava cure ai feriti.

Nata nel 1832 vicino a Portsmouth in un’agiata famiglia di armatori, Jessie White si era appassionata al pensiero di John Stuart Mill, all'emancipazione femminile e alla questione sociale ed era andata a com­pletare gli studi di filosofia a Parigi, alla Sorbona. Era amica di Emma Roberts, una ricca signora legata sentimentalmente a Garibaldi, fu lei a portarla a Nizza e poi in Italia nel 1854. Conobbe il generale reduce dallo sfortunato epilogo della Repubblica romana e ne rimase affascinata. Quando, a Londra. incontrò Giuseppe Mazzini entrò nel cerchio magico delle sue sostenitrici e decise di dedicarsi alla causa risorgimenta­le italiana: teneva conferenze e raccoglieva fondi, tradusse il libro di Felice Orsini sul­le carceri austriache divenuto un bestsel­ler.

Nel 1857 Jessie White 'era in Italia e fu coinvolta nei moti mazziniani di Genova, lì conobbe Carlo Pisacane che le affidò il suo testamento politico e poi Alberto Mario, con il quale sarà arrestata. I due, che a guardare bene i ritratti si somigliano vaga­mente, come fossero fratelli, ripareranno in 'Inghilterra, si sposeranno civilmente e par­tiranno per gli Stati Uniti a organizzare una campagna di supporto per l'indipendenza italiana: avevano capito che, senza un pol­mone internazionale, la causa sarebbe ri­masta presto a corto di ossigeno e morta d'asfissia. Jessie era ormai White Mario, da quel momento firmerà cosi.

Tra l'affettuoso e il sarcastico, Mazzini la chiamò Miss Hurricane. Quelli che la co­nobbero dissero che era severa, volitiva e generosa di sé. Jessie W. Mario - aveva italianizzato il suo nome redigendolo così - di quello che considerava il suo maestro scris­se una monumentale biografia. "Vita di Giuseppe Mazzini", volume apparso per la prima volta da Sonzogno nel 1885, è tornato quest'anno pubblicato da Castelvecchi a cu­ra di Marco Pizzo, che nella sua introduzio­ne osserva come in questa narrazione flu­viale "biografia e autobiografia si confon­dano delineando la fisionomia di un gruppo di persone, animate da ideali comuni, che si spostano per l'Europa in preda a una vi­tale irrequietezza". Il libro di Jessie, che fu biografa anche di Garibaldi e di altri pa­trioti, sfiora l'agiografia, ombreggia i con­trasti tra Mazzini e il generale ed è sicura­mente di parte, critico con Cavour e la solu­zione monarchica. Ma certo la sua voce, che parla nella lingua dell'Ottocento, trasmette ancora vividamente il sapore di quei giorni, l'entusiasmo e il gusto acre della sconfitta, lo spirito di una generazione innamorata della libertà e capace di mettere a rischio la vita sopportando derisione e calunnia.

Nel 1860, quando si diffuse la notizia che Garibaldi era appena sbarcato in Sicilia, Jessie White e Alberto Mario, che si trova­vano a Lugano con Mazzini e Cattaneo, si affrettarono a raggiungerlo imbarcandosi da Genova per Palermo. Mario affiancò Ga­ribaldi nella risalita, anche se politicamen­te era un federalista vicino a Cattaneo: gior­nalista anche lui, dopo il 1870 divenne di­rettore della Gazzetta di Mantova. Quanto a Jessie, che nel corso della spedizione cura­va soldati feriti e scriveva le sue corrispon­denze, fece un'esperienza straordinaria: vi­de da vicino le miserie del Sud, dalle solfa­tare siciliane ai vicoli di Napoli. E non si accontentò di raccontare ai suoi lettori che i briganti erano guerriglia reazionaria al soldo del Borbone, volle capire. Jessie Whi­te Mario è l'autrice della prima vera inchie­sta giornalistica realizzata dopo l'Unità d'Italia con gli stessi criteri che usiamo og­gi: andare direttamente sul campo a verifi­care i fatti, integrandoli con interviste, dati, risultati di studi e ricerche.

"La miseria di Napoli" uscì a puntate nel 1876 sul Pungolo, che allora era un autore­vole giornale della città e fu poi ripubblicata in volume nel 1877, con dedica a Giuseppe Mazzini, dall'editore fiorentino Le Monier (la prima edizione si trova in rete nella biblioteca di Google). Si tratta di un veri reportage, scritto a caldo, dopo sopralluoghi fatti nei luoghi più oscuri e malfama1 un autentico viaggio nelle piaghe di Napoli Jessie era rimasta impressionata non so da quello che aveva visto risalendo il Su con la spedizione dei Mille, ma anche dalla lettura delle "Lettere meridionali" di Pasquale Villari, che erano state attaccate e quanti sostenevano che i miserabili si trovavano ovunque in Europa, anche nei bassifondi di Londra e di Parigi. Allora perché menare scandalo? Così si era messa in co: tatto con Villari, che l'aveva invitata ad a: dare a vedere di persona. In una lettera Villari le aveva scritto che, a fare diverso Sud d'Italia, era in buona sostanza l'ìgnav politica: il Parlamento inglese aveva fat "leggi sopra leggi" per combattere la povertà, l'Italia invece era ferma al "lasciate f re, lasciate passare".

Jessie da parte sua commenta che il vantaggio dell'aristocrazia inglese si deve fatto che "vive osservatrice vigile, scrutati ce profonda dei segni del tempo, dell'umore giornaliero della nazion Quando sa di dover cedere sopra un da punto, essa cede prima di doverne ricevei l'intimazione, e cede con tanta grazia buon garbo, che spesso figura d'essere l l'iniziatrice della desiderata riforma o de la concessione". Del resto, anche la borghesia "non si lascia venire l'acqua alla gola, primo segno di marca allestisce la barca , salvamento" e i pensatori, nei libri e n giornali, "avvertono dei pericoli". In ltaliano, chi solleva problemi dà fastidio, qui vige la convenzione "acqua in bocca"; "non svegliate il leone che dorme", finché il le ne non avvertirà uno spasmo troppo acuto da gridare: "Dammi la mia parte della comune eredità, ché troppo tempo l'hai sfruttata per tuo proprio conto!".      

Per fare la sua inchiesta, White si trasferì a Napoli. Aveva quarantaquattro anni e portava con sé lettere del ministero dell’Interno con l’autorizzazione a entrare “in luoghi e stabilimenti, ove difficilmente occhio profano era dapprima penetrato”. Si procurò tutto sull’argomento ma, prima di leggere, andò a vedere. Per mesi ispezionò grotte e sotterranei dove vivevano, letteralmente, uomini trogloditi e dove si respirava “carbonio puro”; visitò bassi definiti “stomachevoli canili”, attestò che gli orribili fondaci descritti da Villari esistevano e che c’erano dormitori per chi non aveva un ricovero: nella sola zona Porto ce n’erano 105, con circa 2800 letti, in ciascuno si coricavano da due a sei persone. Fece un ingrandimento sulla prostituzione considerandola una forma di schiavitù che dava da mangiare a tremila donne registrate, in “piena balia delle infami tenitrici dei postriboli”, oltre a un numero incalcolabile di clandestine: più del doppio – scrive.

Tanto che c’erano madri di famiglia in esercizio per mantenere i figli, per le quali il meretricio era un lavoro come un altro. Nella sua ricognizione, imponente per l’epoca, va a vedere sifilocomi, ospedali, brefotrofi, scuole, istituzioni per disabili, carceri con detenuti che si sono lasciati arrestare perché almeno mangiano. E poi le opere pie, esamina i presunti rimedi, qui comincia la parte meno prevedibile del suo viaggio.

In Italia allora esistevano più di ventimila istituzioni dedite all’assistenza dei poveri, con un patrimonio ragguardevole. White esamina studi sulla legislazione contro la povertà in Gran Bretagna, sa che i rimedi sono stati spesso fallimentari, soggetti a forme di speculazione e che hanno prodotto danni collaterali. Come quello, cita Herbert Spencer, "di aiutare - gli oziosi indegni a moltiplicarsi, a spese degli onesti e laborio­si". E conclude lucidamente:

 "L'azione del­le leggi dei poveri in Inghilterra per inco­raggiare l'ozio, il pauperismo, l'improvvida moltiplicazione della specie, corrisponde in Italia e in Napoli - in primo grado in Napoli - all'azione delle Opere pie. E qui e là ci sono poveri inabili al lavoro, e qui e là ci sono istituzioni e fondi per sopperire veri bisogni; ma i poveri rimangono senza soc­corso, e i fondi sono consumati dagli oziosi, dai viziosi e dai loro manutengoli". Inizia qui una minuziosa indagine sulle 349 Opere pie della città, che si occupano di nutrire ed educare bambini poveri, crescere orfa­ni, accogliere donne nubili, sole o malmari­tate, ospitare vecchi e inabili al lavoro, istruire ragazzi e ragazze da avviare a un mestiere. Non riuscì a visitare tutti gli isti­tuti, ma si disse certa di aver registrato "meno del vero e che sussistano cose peg­giori da vedere; e rivelazioni più gravi da fare".

 

Prendiamo, come paradigma, l'esame dell'istituzione più grande, il Reale albergo dei poveri, di cui Jessie considera tutto: qualità del cibo, dell'igiene, degli abiti, del­le scuole, dei laboratori per l'apprendi­mento dei mestieri come sarto, calzolaìo, falegname, ricamatrice ... E poi gli opifici per l'avviamento al lavoro: fabbriche di chiodi, spilli, piastre da fucile ma anche tessitura e lavorazione del vetro, una stam­peria. Distingue un'epoca splendida intor­no al 1835 con gente ben nutrita, istruita e attiva quando può lavorare; altrimenti sostenuta decorosamente. Da allora in poi no­ta un fenomeno strano: il numero degli assi­stiti diminuisce, praticamente si dimezza, mentre crescono il disavanzo e la spesa. Nel 1876, anno dell'inchiesta gli ospiti mantenuti sono poco meno di duemila e costano quasi un milione e 200 mila lire dell'epoca. Tuttavia il cibo è insufficiente e di qualità scadente, a eccezione di quello per infermi e sordomuti; l'igiene è scarsa, la vita sedentaria, gli ospiti hanno colorito terreo e carni flosce, solo i dormitori delle donne risultano puliti, ma le stanze sono umide e si ricamano corredi sui quali l'isti­tuto guadagna. però nessuna ricamatrice sarà mai in grado. in futuro. di aprire un suo laboratorio. perché il lavoro è troppo parcellizza o e nessuna vede l'intero pro­cesso. Nei laboratori per falegnami non ci sono né maestri né legname. solo la scuola per sordomuti brilla come un'eccellenza, Per questi pessimi risultati lavorano 700 persone ben pagate tra direttori, capi e sot­tocapi, maestri, inservientì, cappellani... Un impiegato ogni tre poveri. senza contare gli ecclesiastici. Non serve aggiungere niente. I regolamenti sono agghiaccianti, nell'Albergo ci sono due caste: i superiori e gli inferiori, a questi ultimi è interdetta la rimostranza "quand'anche si credessero in­giustamente puniti". "Ci sembrava traso­gnare", commenta Jessie, vedendo che il regolamento "è firmato da uomini apparte­nenti al partito lìberale".

Che la burocrazia dell’assistenza divora i soldi destinati ai poveri si sapeva già nel 1876. Il Lavoro di White è corredato da una bibliografia ragionata e da un paragone tra le legislazioni di vari paesi europei. Contiene proposte avveniristiche come l’abolizione del registro delle prostitute (fatto nel 1958), l’istituzione della scuola dell’obbligo, gratuita per tutti, (1962), il divieto del lavoro minorile (1967). Rimasta vedova, Jessie White Mario visse a Firenze facendo l’insegnante d’inglese, è morta in miseria come molti garibaldini. Dopo l’epidemia di colera del 1884 il governo Depretis annunciò il risanamento del centro di Napoli con l’abbattimento dei quartieri più degradati. Allora un’altra grande giornalista, fondatrice e direttrice di quotidiani, scrisse – più che un’inchiesta – una formidabile arringa intitolata “Il ventre di Napoli”. Era Matilde Serao.

 

Articolo apparso su “il Foglio” Week-end 8-10-2022

 

 

 


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