IL COMMENTO
Concentrati (troppo) sul nostro ombelico, abbiamo trascurato in queste settimane di campagna elettorale, in cui l’Italia sembrava un pianeta a sé, di ragionare sulle conseguenze durature di alcuni fenomeni mondiali in atto. Nel frattempo il rischio di un conflitto nucleare non è mai stato - tranne alcuni frangenti della Guerra Fredda - così reale e vicino. Ma la paura è rimossa con quella pigrizia mentale che ci ha impedito di valutare per tempo l’esistenza di assai meno micidiali “cigni neri” che però hanno fortemente condizionato le nostre vite. Paolo Legrenzi descrive molto bene questa attitudine delle nostre intelligenze non artificiali nei suoi libri (ultimo Quando meno diventa più, Raffaello Cortina editore). Siamo capaci di concentrarci su un solo pericolo per volta, ci sfugge l’interdipendenza dell’insieme delle variabili in atto. Tendiamo a rimuovere facilmente ciò che ha monopolizzato per troppo tempo le nostre vite (la pandemia) anche se il virus è tutt’altro che scomparso. La curva dei contagi si è invertita nel silenzio generale. La renitenza alla quarta dose ne è la conseguenza. Così per il conflitto in Ucraina. Quello che è accaduto a Yzium è atroce quanto, se non più, della strage di Bucha, ma ci indigniamo di meno.
Effetti collaterali
La nostra solidarietà nei confronti dell’aggredito si stempera con l’acuirsi dei problemi economici. L’autunno sarà freddo, freddissimo. La formula classica che lo voleva sempre caldo se non rovente è finita, per colpa del gas, in archivio. Si avvicina, al di là delle incertezze sulla stabilità politica ed economica del nostro Paese, una perturbazione creata da un composto inedito di inflazione — che c’è ed è già superiore al previsto — e di recessione che si staglia all’orizzonte, ma che in Italia tendiamo a non credere arrivi tanto presto visto il buon andamento estivo dell’economia. Puntiamo molto sulla forza d’inerzia dell’ultima fase di sviluppo post pandemia. E forse ci illudiamo un po’. Il valore reale del risparmio però è già stato intaccato. Ma fatichiamo a vederne, in prospettiva, il destino, anche per la difficoltà di valutare l’effetto nel tempo del rialzo dei prezzi che ancora qualcuno pensa sia transitorio. Il forte e recente rialzo dei tassi di 75 punti base della Federal Reserve, cui ne seguirà un altro di 125 punti base entro la fine dell’anno, è stato commentato in vari modi. Era peraltro largamente atteso. Ma — come è scritto in una nota di Zeygos Research — la banca centrale americana pensa concretamente che lo scenario recessivo sia il più probabile anche se, ovviamente non può comunicarlo perché è disposta a pagarne il prezzo pur di domare la dinamica dell’inflazione. Le altre autorità monetarie si muovono nella stessa direzione seppur con modalità diverse. Più prudente la Bce, anche dopo il rialzo di 75 punti base deciso l’8 settembre. «Decideremo riunione per riunione», ha detto la sua presidente Christine Lagarde. All’opposto quella svedese che non solo ha elevato i tassi di colpo di cento punti base ma ha illustrato la traiettoria futura della sua politica monetaria. In una situazione intermedia, quella svizzera, tra le ultime a uscire dall’area negativa dei tassi d’interesse per non apprezzare ulteriormente il franco. Riusciranno a domare l’inflazione dopo aver tentato, inutilmente per anni, di rianimarla?