Quantcast
Channel: Articoli interessanti
Viewing all articles
Browse latest Browse all 4949

LA TRATTATIVA DEI BOSS ALL'INSAPUTA DELLO STATO

$
0
0

Sentenza “asimmetrica”  In Appello Bagarella condannato a 27 anni, Cinà a 12: per i giudici ci fu una tentata minaccia non veicolata dagli agenti del Ros, tutti assolti ieri. Come il forzista Dell’Utri. 

di Marco Lillo


Gli uomini di Stato sono stati tutti assolti. I mafiosi sono stati condannati come in primo grado. Questo è il verdetto ‘asimmetrico’ de ll a Corte di Assise di Appello nel Processo Trattativa.

Il reato contestato è il 338 del codice penale che non punisce la trattativa in sé, ma la minaccia a corpo dello Stato  tesa a condizionarne l’attività.

In soldoni, la tesi dell’accusa accolta dalla sentenza di primo grado e bocciata in appello era questa: Cosa Nostra ha fatto saltare in aria nel 1992-1994 giudici, scorte, basiliche, musei e strade per ricattare lo Stato (governi Amato, Ciampi e Berlusconi) e ottenere che calasse le braghe cambiando le leggi antimafia e le condizioni carcerarie dei boss in cambio della fine delle bombe.

I mediatori di questa mi naccia, nella tesi accusatoria, sarebbero stati all’inizio i carabinieri del Ros imputati (i generali Mario Mori e Antonio Subranni e il colonnello Giuseppe De Donno) e poi, dopo la vittoria di Berlusconi nel 1994, il suo fido collaboratore Marcello Dell’Utri. Tutti gli ambasciatori della ‘Trattativa’ in primo grado sono stati ritenuti colpevoli del reato ex articolo 338.

A rappresentare nel processo ‘L’Antistato’c’erano Leoluca Bagarella, cognato e reggente del Capo dei Capi Totò Riina, Giovanni Brusca e Antonino Cinà. Bagarella aveva preso 28 anni e in appello scende di un solo anno, a 27. Il medico mafioso Cinà, imputato come postino delle richieste della mafia, si vede confermare i 12 anni, come Brusca, condannato ma prescritto per l’attenuante della collaborazione.

Cosa significa questa sentenza? Le motivazioni arriveranno tra qualche mese e dunque per ora si possono solo azzardare ipotesi basate sul dispositivo.

Bisogna distinguere i due segmenti della ‘minaccia a corpo dello Stato’. Il verdetto è infatti diverso per gli alti ufficiali del Ros, assolti con la formula ‘il fatto non costituisce reato’, mentre Marcello Dell’Utri è stato assolto ‘per non aver commesso il fatto’. Qual è il fatto che esiste ma non costituisce reato per i carabinieri?

IL CAPO DI IMPUTAZIONE  nei  confronti di Mori e compagni era sostanzialmente quello di aver contattato, su incarico di esponenti politici, l’ex sindaco mafioso di Palermo, Vito Ciancimino, come ambasciatore delle richieste dei vertici di Cosa Nostra, instaurando una trattativa che aveva a oggetto reciproche concessioni: la mafia concedeva la fine delle stragi e incassava un’attenuazione della repressione dello Stato.

A leggere il dispositivo di ieri sembra di capire che la Trattativa tra Cosa Nostra e i carabinieri finalizzata a stoppare le stragi sia ritenuta un fatto provato. Tanto che il regista della minaccia, cioè il boss Bagarella e il ‘postino’, cioè il medico mafioso Cinà, sono stati condannati come in primo grado.

Il nodo da sciogliere per dare una logica al verdetto è dunque questo: perché il fatto minaccia-Trattativa è avvenuto solo per la mafia e non costituisce reato per i presunti mediatori, cioè per il Ros?

Bisognerà attendere le motivazioni, ma dal dispositivo sembra di capire che per i giudici non sia stato un reato per il Ros andare a trattare con il mafioso Vito Ciancimino per capire cosa si doveva fare per far cessare il ‘muro contro muro’ tra Totò Riina e lo Stato.

Il fatto dunque esiste, ma è reato per i boss che volevano mettere in ginocchio lo Stato, non per il Ros che non voleva aiutare la mafia, ma voleva altro. Quindi manca l’elemento soggettivo del dolo, necessario  per condannare chicchessia per un delitto.

SI POTREBBE ipotizzare una motivazione simile: i carabinieri hanno sì veicolato la minaccia della mafia allo Stato, che puntava a influenzarne le politiche repressive, ma volevano far finire le stragi e non rinforzare Riina nel convincimento di farle come poi accaduto contro la loro volontà.

Le ipotesi sono due: o i giudici hanno creduto totalmente al generale Mario Mori e al colonnello Giuseppe De Donno quando hanno sostenuto di aver contattato Ciancimino perché volevano capire, grazie a lui, come si poteva arrestare Totò Riina, e non per trattare la fine delle stragi in cambio di qualcosa. Oppure si potrebbe ipotizzare che i giudici di appello, a differenza di quelli di primo grado, abbiano accolto la tesi del professor Giovanni Fiandaca. In un articolo uscito su Il Foglio nel 2013, l’illustre penalista sosteneva che “gli intermediari non mafiosi della trattativa Stato-mafia agivano sorretti dalla prevalente intenzione di contribuire a bloccare futuri omicidi e stragi: un obiettivo, dunque, in sé  lecito, addirittura istituzionalmente doveroso”. Ecco perché il fatto non costituirebbe reato. Secondo la tesi del professor Fiandaca, qui manca il dolo.

L’azione di Mori e De Donno, come scriveva il penalista, mirava a “l’obiettivo salvifico di porre argine alle violenze mafiose – e non già di supportare Cosa Nostra nei suoi attacchi contro lo Stato”.  Diversa la questione per Marcello Dell’Utri, assolto per non aver commesso il fatto. In primo grado l’ex senatore di Forza Italia era stato condannato come messaggero della minaccia di Cosa Nostra al governo di Silvio Berlusconi nel 1994. E con lui per questo era stato condannato Bagarella. 

Nella sentenza di appello, ieri i giudici hanno riqualificato il reato di Bagarella in tentata minaccia.  Decisivo nel ricostruire questo segmento della Trattativa del 1994 era stato il collaboratore di giustizia Salvatore Cucuzza. Aveva raccontato che il suo amico Vittorio Mangano era andato a Como nel 1994 a incontrare Marcello Dell’Utri per chiedere di intervenire sul governo Berlusconi in favore della mafia. I mandanti erano Bagarella e Brusca. In primo grado i giudici gli avevano creduto, nonostante Cucuzza invece fosse stato ritenuto inattendibile sul punto dai giudici del processo per concorso esterno in associazione mafiosa a Dell’Utri .

Bisognerà attendere le motivazioni, ripetiamo allo sfinimento, però il dispositivo di ieri lascia presagire una terza via. Il boss Bagarella è condannato in appello solo per ‘tentata minaccia’perché ha  provato (senza riuscirci dunque) a condizionare Berlusconi con le stragi inviando Mangano a parlare con Dell’Utri . Evidentemente, per i giudici di appello, non è provato però che la minaccia sia arrivata da Palermo a Milano. Perché Mangano non ha fatto il suo dovere o perché non è provato che Dell’Utri, dopo averla ricevuta da Mangano, abbia trasferito la minaccia al premier. D’altro canto nella sentenza di primo grado i giudici ammettevano che non c’era una prova diretta del passaggio della minaccia mafiosa da Dell’Utri a Berlusconi. C’era solo una prova indiretta di tipo logico: “Non sembra possibile dubitare che Dell’Utri abbia informato Berlusconi anche di tali colloqui e, in conseguenza, della ‘pressione’ o dei ‘t e ntati vi di pressione’ (...) inevitabilmente insiti negli approcci di Vittorio Mangano”. Secondo la Corte di Assise di Appello invece evidentemente è possibile dubitare e condannare Bagarella assolvendo Dell’Utri. 


Viewing all articles
Browse latest Browse all 4949

Trending Articles