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Sanità declassata e di classe

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La regionalizzazione ha eliminato il diritto costituzionale a una uniformità dell'assistenza, producendo un fenomeno di migrazione sanitaria interna. Si costringe a provvedere comunque di tasca propria alle inadempienze del sistema.

di Cesare Greco

VI sono due ambiti della vita di uno stato nei quali il potere politico e i suoi interessi non dovrebbero mai entrare: la giustizia e la sanità. La prima perché garante della corretta applicazione del patto sociale, e la seconda perché diritto comune e costituzionalmente garantito. Lasciando agli esperti della materia le considerazioni circa la riforma della giustizia e, soprattutto, del sistema che regola l'elezione del suo organo di autogoverno, occupiamoci del nostro sistema sanitario, da tempo ormai non più equo e universalistico.

Da molti anni il servizio sanitario nazionale non esiste più, sostituito da 21 sistemi regionali, ognuno gestito dal relativo governo locale e militarmente occupato dai potentati che ne hanno fatto un bivacco dei loro manipoli clientelari. La regionalizzazione ha eliminato il diritto costituzionale a una uniformità della assistenza, producendo un diffuso fenomeno di emigrazione sanitaria tra regioni alla ricerca di prestazioni migliori o semplicemente perché assenti nella propria.

Ma il Covid ha sparigliato le carte svelando la polvere sotto il tappeto. Anche quelle che sembravano isole felici di eccellenza per le grandi patologie degenerative - e fortemente attrattive per i cittadini delle Regioni più disastrate - hanno mostrato limiti gravissimi, pagando un salatissimo prezzo dall'avere trascurato, quando non letteralmente smontato, la sanità territoriale. L'esempio della Lombardia è stato eclatante. A poco sono servite le grandi eccellenze di fronte ai Pronto soccorso trasformati in presidi di prima linea e centri di rapido contagio. Altrove hanno pesato i tagli lineari, apportati senza alcun criterio razionale a strutture e personale sanitario, per dare seguito senza alcuna programmazione logica ai piani di rientro.
ll disastro è stato dunque nazionale e le surreali dispute sulle competenze tra Governo e Regioni, al limite dell'infantile dispetto, hanno finito per aggravare ulteriormente un quadro già sufficientemente tragico.

Il Covid è stato una grande tragedia dalla quale non possiamo ancora dire di essere usciti ma ancora più tragico sarebbe non fare tesoro della sua lezione. Rivedere il sistema sanitario facendolo rientrare tra le competenze dello Stato centrale; attuare una programmazione del reclutamento di medici e infermieri anche rivedendo i numeri degli accessi alle Facoltà e alle Scuole di specializzazione; liberare dalla pervasività della burocrazia le aziende ospedaliere; riportare il giusto equilibrio tra committenza delle prestazioni, erogazione e controllo - attualmente e incredibilmente fuori da ogni logica -in capo allo stesso soggetto; creare infine una rete di assistenza di prossimità e domiciliare per fragili e anziani che tolga l'insopportabile pressione che da anni grava sui Pronto soccorso, portandoli periodicamente al collasso, così restituendoli a chi ne abbia effettivamente bisogno: sono tutte cose non più rinviabili.

Certo, vincere le resistenze dei governi regionali - per i quali la sanità rappresenta la stragrande maggioranza della spesa, con tutti i corollari che ciò comporta - non sarà affatto facile. Ma una sanità come la nostra, che discrimina i cittadini in base al codice di avviamento postale, che costringe i cittadini contribuenti a provvedere comunque di tasca propria alle sue inadempienze,
escludendo da accertamenti e cure chi non può provvedere in proprio, noir è solo una sanità che non funziona ma finisce per trasformarsi in una sanità di classe. Esattamente l'opposto di quanto si sarebbe voluto realizzare nell`ormai lontano 1979.

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