di Diego Fusaro
Ho riflettuto lungamente prima di rendere pubbliche le riflessioni che seguono e che hanno per oggetto la tragedia della funivia in Piemonte, consumatasi nei giorni scorsi; tragedia che ha lasciato attonita l’Italia tutta, sempre pronta a piangere i morti più che a prevenirli. Il primo moto d’animo, non lo nascondo, è stato l’ira: quell’ira che, ricordava Seneca, è sempre nemica della ragione e che bene sarebbe, se solo vi si riuscisse, tenere a bada, come solo Socrate pare fosse in grado di fare. Dopo l’ira, però, è venuta la riflessione a sangue freddo, come usa dire; riflessione che mi ha portato alle considerazioni che seguono. Anzitutto, non si dica che è una tragedia dovuta alla natura e al fato: che è, poi, il classico modo per deresponsabilizzare e spostare l’attenzione dalle colpe umane a quelle presunte della natura o, più in là ancora, dell’essere. Fin dal terremoto di Lisbona del 1755 si discute se, negli eventi di portata tragica, la responsabilità sia umana o naturale. Concordo con Rousseau, il quale sosteneva la colpa essere in massima parte umana: colpa dell’uomo che, nel caso del terremoto, costruisce in modo spesso sconsiderato e non prende le giuste misure preventive; colpa dell’uomo, nel caso della funivia, che non pone in essere le condizioni affinché le tragedie non si consumino. Il vero punctum dolens della questione sta in questo: nel fatto che la società odierna è disposta a sacrificare tutto, perfino la vita, sull’altare del profitto privato e delle logiche illogiche dell’arricchimento egoistico. Salvo poi ricordarci senza posa, con ipocrisia lampante, che la vita e la salute sono i beni più preziosi: lo sono, è evidente, quando si può anche su di essi fare profitto. Erano stati fatti tutti i controlli necessari? E la manutenzione opportuna? Si era davvero fatto tutto il possibile, affinché non si dessero le condizioni di possibilità per un simile evento con esito catastrofico? La verità, difficilmente confutabile, è che la tragedia umana della funivia in Piemonte è immagine plastica dell’Italia e, più in generale, del mondo a forma di merce che abbiamo prodotto: un mondo in cui tutto, compresa la vita dei più, è funzionale al profitto di pochi. È l’immagine di un’umanità che, felice e inconsapevole, viaggia con immotivata fiducia a bordo del mezzo che la porterà al tracollo, a precipitare nell’abisso senza ritorno. Ebbene, se siamo a bordo della funivia, come dicevo, è bene adoperarsi, finché siamo in tempo, di modo che l’esito non sia catastrofico. Il vero gesto rivoluzionario, direbbe Benjamin, sta nel tirare con gesto risoluto il freno d’emergenza.