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Il processo a Salvini. Un Boomerang per i giallofucsia

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di Adolfo Spezzaferro
G
iuseppe Conte dovrà comparire davanti ai giudici nell’aula bunker del carcere di Bicocca, a  Catania, per il caso Gregoretti. L’attuale premier era a capo del governo gialloverde all’epoca dei fatti, nel luglio 2019, quando era ministro dell’Interno Matteo Salvini, accusato di sequestro di persona aggravato per non aver fatto sbarcare 135 clandestini a bordo dell’unità della Guardia costiera Gregoretti. Era tempo di «porti chiusi» e l'esecutivo Lega-MSS stava contrastando l’immigrazione incontrollata dichiarando guerra alle navi Ong. Poi, come è noto, dopo la crisi agostana e il fallito blitz di Salvini, i 5 Stelle, quelli di «mai con il Pd», hanno fatto il governo con il Pd, tenendosi Conte premier. E tra i principali punti in agenda hanno messo ovviamente la guerra a Salvini e alla Lega. In questa cornice, e soltanto in questa, va inserito il processo all’ex ministro.


CONTE IN TRIBUNALE

Ebbene, venerdì 20 novembre il presidente del Consiglio dovrà dare la sua versione dei fatti davanti ai giudici. La maggioranza giallofucsia, che aveva votato sì all’autorizzazione a procedere nei confronti di Salvini, spera di poter sostenere la tesi — assurda oltre che ridicola — che l'ex ministro avesse agito da solo, e non di concerto con l’esecutivo. Tesi che, a quanto pare, non ha convinto i giudici.

Infatti il gup Nunzio Sarpietro, all'udienza preliminare del 3 ottobre scorso, ha deciso di rinviare tutto al 20 novembre per sentire, oltre a Conte, il ministro degli Esteri (allora vicepremier) Luigi Di Maio, l’attuale ministro dell’Interno Luciana Lamorgese, e gli allora ministri della Difesa Elisabetta Trenta e delle Infrastrutture Danilo Toninelli. Sia chiaro, la decisione del gup segue la richiesta della difesa, ma anche delle parti civili, che volevano lo svolgimento di un'ulteriore attività istruttoria. Il 20, insieme a Conte, toccherà pure ai grillini Toninelli e Trenta andare alla sbarra. Gli altri saranno ascoltati il 4 dicembre. 


L’ASSO NELLA MANICA DELLA BONGIORNO

A sentire Giulia Bongiorno, legale di Salvini, il premier non dorme sonni tranquilli. «Abbiamo un audio, che vale più di mille testimonianze, in cui Conte spiega la procedura: prima la redistribuzione, poi gli sbarchi. Mi aspetto che verrà e che confermerà quello che è notorio, cioè che in realtà Salvini non stava sequestrando nessuno, ma stava aspettando che il presidente Conte terminasse la procedura per la redistribuzione», sottolinea la senatrice leghista. Questo spiegherebbe perché la difesa non ha chiesto di sentire il premier, che invece è stato convocato dai giudici. La difesa conferma inoltre la richiesta della procura di «non luogo a procedere», con conseguente archiviazione per Salvini dall'accusa di sequestro di persona. La Bongiorno, inoltre, ha chiesto un approfondimento per accertare se le procedure di sbarco indicate nel capo di imputazione siano state seguite anche dall'attuale governo con Luciana Lamorgese al Viminale (fino a quando erano in vigore i dl Sicurezza, smantellati dai giallofucsia in chiave immigrazionista). Ecco perché sarà sentito dai giudici anche l’attuale ministro dell'Interno.

Il processo non sarà una passeggiata di salute per l’attuale esecutivo. Come riporta la Bongiorno, «dopo il nostro intervento il giudice è stato parecchio in camera di consiglio, durante la quale sono successe cose un po’ surreali. Alla fine è stata emessa un'ordinanza. In estrema sintesi, il giudice ha ritenuto che ci siano delle contraddizioni e per questo ha ritenuto opportuni degli approfondimenti». Insomma, qualcosa non torna. E non è detto che Conte e compagni convinceranno i giudici. Anzi.



COSA RISCHIA SALVINI

Certo, Salvini dal canto suo rischia fino a 15 anni di carcere. In caso di condanna, anche in primo grado, per effetto della legge Severino, il leader della Lega potrebbe essere sospeso da ogni incarico. E in caso di condanna definitiva decadrebbe dalla sua carica politica. Il governo giallofucsia però rischia altrettanto, se non di più. Se venisse riconosciuta la tesi della difesa secondo cui Salvini non agì da solo ma di concerto con l’esecutivo — e l'audio che inchioda Conte dovrebbe esserne la prova conclamata — al di là dell'iter processuale, l'opposizione userebbe tutta la sua forza — quanto meno è l’auspicio degli elettori di centrodestra — per spostare a sua volta nell’agone politico la responsabilità accertata del premier e dei ministri di allora. Sarebbe una bomba, letteralmente. I cui effetti sull’opinione pubblica sarebbero tali che nessuna narrazione giallofucsia — neanche con il megafono dei giornali schierati, delle toghe schierate, dei giuristi schierati, dei costituzionalisti schierati — potrebbe convincere i cittadini che «Salvini è cattivo e Conte è buono».


COSA RISCHIA LA MAGGIORANZA

Il tradimento nei confronti di un garantismo sempre sbandierato da parte dei grillini in realtà forcaioli, la becera alleanza giallofucsia, con tanto di dietrofront di Matteo Renzi e delle sue truppe cammellate in Senato — che all’ultimo hanno deciso di mandare a processo Salvini — alla fine potrebbe non pagare. Anzi, tutta l'operazione rischia di rivelarsi un boomerang che colpirà proprio i giallofucsia.

Non tutti i giudici infatti la pensano come quelli del tribunale dei ministri di Catania, che si sono incaponiti — presumibilmente su mandato politico — nel perseguire l’ex ministro quando la procura guidata da Carmelo Zuccaro aveva chiesto invece il «non luogo a procedere» nei confronti del segretario leghista. Cosa peraltro già fatta nel settembre 2019. Pertanto, se alla | fine del processo Gregoretti dovessero arrivare delle condanne, ci faremo due risate. E riderà bene chi riderà ultimo. 
PN



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