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La resurrezione non è una favola

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Con la consueta arguzia logica lo scrittore smonta i paragoni tra fiabe e Vangeli- 

Raffaelino del Colle, Resurrezione, 1525 curca


 testo di Gilbert Keith Chesterton

Presentiamo per la prima volta ai lettori italiani l’articolo che G.K. Chesterton (1874-1936) pubblicò su “The Illustrated London News” il 29 settembre 1934, dedicato al tema della resurrezione. Il celebre autore di Padre Brown è stato sin dagli inizi della sua fortunata carriera di scrittore un assiduo collaboratore di testate giornalistiche, soprattutto quelle di taglio più popolare come il settimanale illustrato londinese, dove dissertava volentieri sugli argomenti più vari, dal traffico congestionato della capitale alla politica, dall’arte alla letteratura, dal costume al cinema.

 Pur essendo un cattolico convinto non affrontava mai le questioni religiose di petto nei suoi articoli giornalistici, ben consapevole che in un Paese a maggioranza protestante alcune sue prese di posizione avrebbero potuto urtare la suscettibilità di molti. Tuttavia, come si evince da questo breve intervento, Chesterton non si tirava indietro di fronte alle polemiche del momento e sapeva con eleganza e ironia trattare anche le tematiche più spinose legate alla fede e alla morale.


 Andrea Colombo

Henri Rousseau, L’incantatrice di serpenti (1907), olio su tela. Parigi, Musée d’Orsay (Scala).

 Non molto tempo fa quando è scoppiata la polemica sull’affascinante libro di Frank Morison intitolato Chi ha rimosso la pietra?, che può essere ben descritto, con tutto il rispetto, come un giallo divino o un thriller teologico, un combattivo giornale londinese ne ha parlato in un modo che mi ha colpito molto. Il giornalista ha scritto che chi crede nella resurrezione potrebbe, allo stesso modo, credere alla lampada di Aladino. Non avevo idea di cosa volesse dire. E forse non ce l’aveva neanche lui. Ma questa curiosa associazione di idee mi ha fatto venire in mente una riflessione fatta recentemente dallo scrittore Christopher Dawson su ciò che potremmo chiamare la storia della scienza. Al riguardo, il punto sollevato dal combattivo giornale mi sembra non abbia alcuna qualità al di là della vis polemica.- Non vi è nessuna connessione logica tra il credere in un evento miracoloso e pensare che un racconto fantastico sia basato su un fatto realmente accaduto. Il paragone tra il miracolo evangelico e la fiaba delle Mille e una notte è il più infelice che si possa immaginare. Nel primo caso vi sono ragioni valide per credere che il fatto si sia verificato, o almeno si asserisce che sia avvenuto. Nel secondo caso è del tutto chiaro che una fiaba non solo si basa su fatti inventati, ma non ha neanche la pretesa di sembrare vera.- Per quanto riguarda la resurrezione tutti potrebbero chiedersi, a parte gli apostoli, che ne è stato di quel corpo, che fine abbia fatto. I seguaci di Gesù avrebbero potuto nasconderlo per fingere un miracolo, ma è ben difficile immaginare persone disposte a farsi torturare e uccidere per un miracolo fasullo. Quindi la testimonianza degli apostoli sembra essere attendibile. Al contrario, nel caso della fiaba araba tutto suggerisce che si tratti di un’invenzione letteraria. Nelle Mille e una notte è l’autore stesso a dirci che queste fiabe vennero raccontate da una donna con l’unico fine di intrattenere il re e, distraendolo, evitare di essere decapitata. Nei Vangeli abbiamo dei testimoni che affermano non solo che quel fatto è realmente accaduto, ma che sono disposti a perdere la vita per dimostrarne la veridicità. Preferiscono la morte alla negazione della verità. Nella fiaba invece abbiamo una cantastorie che, nel tentativo di non farsi giustiziare, ha dei buoni motivi per inventarsi eventi eccezionali. Se Giovanni il Battista, per evitare di essere decapitato e attirare l’attenzione di Erode, avesse inventato una lunga serie di leggende messianiche o protocristiane, non avreipreso in considerazione come veritiero un suo eventuale “mito della resurrezione”. Ma visto che gli apostoli vennero uccisi per aver proclamato la resurrezione, penso che la loro testimonianza non possa essere paragonata a quella della narratrice delle Mille e una notte.- L’unica ragione per riflettere su questo improbabile paragone fra le Mille e una notte e il Vangelo è basata sul fatto che, se proprio dobbiamo cercare un’analogia per quel racconto fantastico, la troviamo piuttosto tra la magia orientale e la scienza occidentale. Nessuno, se non uno squilibrato, cercherebbe fatti storici o conferme della sua fede nelle Mille e una notte. Ma, per quanto strano possa apparire, vi era un tocco di magia araba nella matematica orientale. C’era un lontano sentore di stregoneria nell’autentica sapienza orientale, anche in quella saggezza che tutto il mondo ammira, nella geometria e nella chimica, nella matematica e nella medicina. È paradossale, ma si possono trovare spunti scientifici nelle Mille e una notte, non religiosi. L’oscuro e misterioso anello di congiunzione tra medicina e magia ha un significato nascosto dal punto di vista storico. Viene sviluppato da Dawson nel saggio La religione medioevale.- È un aspetto che non riguarda tanto la fede, quanto la scienza. Il punto è questo: la magia antica e la medicina moderna si assomigliano molto, in quanto sono entrambe molto lontane dall’idea astratta e pura della scienza che avevano gli antichi greci. La scienza era sinonimo di sapienza e per gli antichi non aveva altra finalità. Consisteva solamente nell’amore per la conoscenza ed era un vanto possedere questa saggezza che non aveva alcuna utilità. Infatti la scienza preferita dai greci era l’astronomia, che era astratta quanto l’algebra. E quando il filisteo si chiedeva: «Che cosa me ne importa delle Pleiadi?», il filosofo rispondeva: «Sono tanto più importanti in quanto non servono assolutamente a niente». L’ideale greco non coincideva con ciò che era utilizzabile. Lo schiavo si occupava delle cose utili, il libero di quelle apparentemente futili. Questo rimane ancora l’ideale per molti esponenti illustri della scienza che cercano la verità nello stesso modo con cui la cercavano i greci: il loro atteggiamento è un’eterna ribellione contro la volgarità dell’utilitarismo. Ma vi era un altro aspetto della scienza, del tutto rispettabile, che era rappresentato da discipline come la medicina. E se vogliamo cercare delle analogie tra la medicina e la magia, dobbiamo ricordare che le arti magiche sono sempre state estremamente pragmatiche.-

 Il mago di oggi, che è certamente una persona perbene, forse ha cambiato idea sull’utilità sociale di conficcare degli spilli sulla bambola vodù di cera che raffigura un politico. Allo stesso modo il medico moderno non pensa più che mischiando il sangue di un tasso con vino e sale si possano curare i reumatismi. Ma a parte il metodo, che può cambiare, la finalità è sempre quella pratica e immediata: uccidere un politico o curare i reumatismi. E ciò che contraddistingue questo tipo di scienza, che Dawson considera tipicamente orientale, è la pretesa di possedere un potere, mentre gli antichi greci cercavano solo la verità. Quante volte abbiamo incontrato il tipico mistico seguace della teosofia che ci sussurra il segreto per ottenere il massimo di potenza; secondo lui basta ripetere 77 volte davanti allo specchio le parole «io sono la saggezza, io sono la potenza» per ottenere le chiavi del cosmo. La medicina medioevale aveva un atteggiamento simile ed era certamente molto più pragmatica della scienza pagana, al punto da apparire fin troppo pragmatica e non molto salutare. Allo stesso modo molti fanatici dell’igiene dei giorni nostri sembrano preoccuparsi più della sanità che della salute. Chi si concentra troppo sulla potenza cade inevitabilmente in un eccesso di orgoglio. E così, per quanto possa sembrare strano, la lampada di Aladino è collegata molto più ai miracoli della scienza che non a quelli della religione. da “Illustrated London News”, 21 dicembre 1935.


 Traduzione di Andrea Colombo

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