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Baghdad, fuoco sugli Usa

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LUCA GERONICO


 È il canto mesto del muezzin, rilanciato assordante degli altoparlanti, a far vibrare la piazza stracolma del santuario sciita di Kazimiya. L’auto con il feretro di Qassem Soleimani avanza lentissima, quasi soverchiata dalla folla che si accalca per toccare un attimo la bara avvolta nella bandiera dell’Iran, o almeno una lamiera del pick up bianco, e dare così l’ultimo saluto al suo “generaleeroe”. A poche decine di metri altri cinque pick up, anche loro bianchi, in convoglio. Le prime, fra due ali di gente, sono le spoglie Abu Mehdi al-Mouhandis, il luogotenente di Soleimani ucciso pure lui nel raid statunitense all’aeroporto di Baghdad nella notte tra giovedì e venerdì. Ovunque bandiere irachene e delle milizie sciite, e un solo coro: «Morte all’America! Morte all’America!». Un odio che, prima di sera, colpirà di nuovo, con razzi e mortai, la Green zone e una base con soldati statunitensi. Nel primo pomeriggio, al termine del rito religioso, si è svolto il funerale di Stato alla presenza del premier iracheno dimissionario Adil Abdul-Mahdi, di alti ufficiali delle Forze di mobilitazione popolare e di esponenti politici dei partiti filo-Iran. Il corteo dei pick-up bianchi è entrato nella Green zone, a poca distanza dall’ambasciata Usa, seguito solo dalle autorità mentre la folla è rimasta fuori. Poi a sera, spenti i megafoni, colpi di mortaio sono stati sparati sulla Green zone colpendo pure la piazza della Celebrazione. Un missile, caduto fuori dalla Green zone ha ferito tre civili. Subito chiusa la strada che porta all’ambasciata americana. Quasi contemporaneamente tre razzi Katyusha hanno colpito la base dell’aeronautica di Balad: feriti tre soldati iracheni. A 64 chilometri a Nord dalla capitale, Balad è la base più grande del Paese e ospita soldati e aerei americani. Una manciata di minuti dopo, a fomentare tensione, le brigate Kataib Hezbollah, fra i più radicali delle Forze di mobilitazione popolare, avvertivano: «State lontani almeno un chilometro dalle basi Usa». Una chiara minaccia di nuovi possibili attacchi. Ma neanche la notte prima dei funerali è passata indenne: l’Iraq ha denunciato un nuovo raid a Nord della capitale Baghdad. Immediate le accuse agli Usa con la tv di Stato che ha denunciato «morti» – fra cui Hashd al-Shaabi, alto ufficiale delle Forze di mobilitazione popolare – e «feriti». Accuse che Washington ha subito smentito, per un episodio ancora molto oscuro. Il Parlamento iracheno ieri avrebbe dovuto riunirsi per discutere sull’autorizzazione a restare dei 5.200 soldati americani di stanza in Iraq, ma la seduta è stata rinviata a domenica per consentire ai deputati di partecipare ai funerali. Ma se c’è una Baghdad in lutto con Teheran per l’assassinio mirato del suo luogotenente, i manifestanti da oltre due mesi accampati a piazza Tahrir ostentavano indifferenza. L’assassinio di Soleimani «è un problema iraniano e americano », dichiaravano alcuni giovani ribelli. L’Iraq è sempre più diviso. E mentre il convoglio con la bara di Qassem Soleimani, terminata la commemorazione ufficiale, continuava diretto alle città sante di Karbala e Najaf, proseguiva la dura schermaglia diplomatica fra Washington e Teheran. L’assassinio mirato di Soleimani potrebbe avere «conseguenze incontrollabili », ha dichiarato il ministro degli Esteri iraniano, Mohammad Javad Zarif, in una telefonata al segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres. Zarif ha ribadito che l’azione Usa è stata «un atto terroristico» come già scritto dall’ambasciatore iraniano al segretario generale e al Consiglio di sicurezza dell’Onu. Anche il ministro degli Esteri russo, Sergeij Lavrov, in un’altra telefonata con Zarif, ha parlato di «una flagrante violazione del diritto internazionale» con il rischio di una nuova «escalation di tensioni nella regione». La Cina, con il ministro degli Esteri Wang Yi, ha ammonito gli Usa di «non abusare della forza militare». Da Washington, prima che iniziassero le rappresaglie, toni rassicuranti: «Non esiste alcuna specifica, credibile minaccia dall’Iran», affermava in mattinata il Dipartimento per la sicurezza nazionale secondo cui Solimani è responsabile della morte di 603 soldati americani. L’intelligence metteva in guardia dal rischio di cyber attacchi iraniani contro le reti informatiche Usa. Già 150 i siti americani colpiti in 24 ore. Intanto dal Pentagono si apprende che circa 2.800 soldati sono in viaggio verso il Medio Oriente. Domani nuova adunata, questa volta davvero oceanica, per i funerali di Soleimani a Teheran. Martedì il generale verrà sepolto a Kerman, la sua città. «Gli americani vedranno la vendetta per anni», ha dichiarato portando le condoglianze alla famiglia il presidente iraniano, Hassan Rohani. 

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