Lavoratori dimenticati
Marina Cometto, 70 anni, assiste sua figlia con una grave disabilità cognitiva e motoria da quando è nata, 46 anni fa. «Claudia ha bisogno di assistenza continua per le più semplici attività quotidiane come mangiare, lavarsi, prendere le medicine, devo capire se ha bisogno di essere aspirata, cosa le fa male se si lamenta» racconta. «Ho scelto di prendermi cura di lei e non ricoverarla in istituto rinunciando al lavoro; non me ne pento e lo rifarei. Ho sostituito lo Stato nelle sue funzioni, facendogli risparmiare denaro: oltre a essere mamma, sono infermiera, insegnante, assistente; ora che sono anziana, con problemi di salute, senza diritto a una pensione, vorrei che almeno riconoscesse il mio impegno e quello di tanti caregiver, e che garantisse i servizi necessari».
Anna Maria si prende cura dei due figli, di 5 e 7 anni, entrambi con una malattia mitocondriale rara, degenerativa e senza cura: «Ho peregrinato a lungo tra medici e ospedali per avere la diagnosi, rischiando di perdere il lavoro per le troppe assenze, così ho preso un congedo senza stipendio, non potendo allora usufruire della legge 104. Ogni tre mesi porto i miei figli a Firenze per le visite di controllo poiché in Calabria, dove viviamo, non esistono centri per questa malattia rara. Sono oltre 700 chilometri all’andata e al ritorno, con spese a mio carico. Ogni giorno devo conciliare il lavoro - non è possibile farlo da casa - con l’attività di caregiver, da sola (sono separata) e senza supporti. Ho chiesto di fare i turni serali per gestire la terapia dei bambini, che devono seguire una dieta specifica salvavita e mangiare ogni tre ore, per portarli a scuola, a fare fisioterapia, ma non c’è una legge che preveda queste tutele specifiche. Per assistere mio figlio maggiore con la malattia in una fase più avanzata, ho già preso un anno di congedo retribuito sui due che spettano per l’intera carriera lavorativa: ho due bambini malati ma non ho diritto al raddoppio del congedo».
Eroi invisibili, come Marina e Anna Maria, sono oltre 7 milioni di connazionali «caregiver» (dati Istat), termine inglese per indicare chi si prende cura di familiari «fragili» a causa dell’età, di una disabilità o di una malattia. Sopportano, spesso senza ricevere nessun aiuto, un carico di lavoro - dall’assistenza alla gestione delle terapie, fino al disbrigo di pratiche burocratiche - che pesa anche sulla salute psicofisica, come conferma una recente indagine su un campione di 500 caregiver familiari, svolta a maggio da Censuswide per conto di Merck: per circa 7 intervistati su 10 la propria salute è peggiorata, il riposo è inadeguato, l’ansia e la stanchezza sono presenti per la maggior parte del tempo.
«I risultati dell’indagine evidenziano l’impegno gravoso di chi si occupa di parenti o amici in difficoltà e ha poco tempo da dedicare a se stesso e alla propria salute» commenta Antonio Messina, a capo del business biofarmaceutico di Merck in Italia. «Abbiamo dato vita al programma Embracing Carers, in collaborazione con le principali organizzazioni internazionali di caregiver, per far sì che l’assistenza ai propri cari sia riconosciuta come una priorità di salute pubblica in Italia e nel resto del mondo».
«Da anni chiediamo, inutilmente, norme che ci tutelino, come il diritto al riposo, alla salute, tutele assistenziali, previdenziali, assicurative, come avviene in altri Paesi europei» dice Alessandro Chiarini, presidente del Coordinamento nazionale famiglie con disabilità (Confad). «I caregiver non sono volontari poiché solo per circostanze della vita hanno fatto una scelta d’amore, evitando l’istituzionalizzazione dei congiunti e, quindi, costi ben più elevati per lo Stato».
In questa e nella passata legislatura sono state presentate diverse proposte di legge sui caregiver, finalizzate a promuoverne riconoscimento e sostegno. Ad oggi si attende l’esito dell’iter parlamentare del testo unificato in cui sono confluiti 7 disegni di legge presentati in Commissione Lavoro al Senato, di cui Corriere Salute è in grado di anticipare i contenuti (si veda articolo a destra). «Esiste un Fondo per i caregiver, la cui dotazione è stata aumentata con la legge di bilancio 2019, ma di fatto le risorse non sono ancora disponibili perché manca la legge. Una beffa per i caregiver familiari» chiosa Chiarini. «Svolgono un lavoro di cura gratuito con un valore anche sociale ed economico che va a beneficio della collettività» sottolinea l’avvocato Angelo Marra, coordinatore dell’Osservatorio su inclusione e diritti delle persone con disabilità dell’Università Mediterranea di Reggio Calabria. «Proprio per questa funzione di solidarietà sociale che trova riscontro nell’art. 2 della Costituzione, l’ordinamento giuridico deve garantire ai caregiver le tutele necessarie, evitando di burocratizzare ulteriormente il percorso per accedervi, in un’ottica di rispetto dei diritti umani sia delle persone con disabilità che di coloro che le assistono. Capita però che, essendo scarse le risorse, le proposte legislative limitino il raggio di azione alla gravità delle menomazioni o in base alla situazione economica della famiglia».
«Ma la disabilità rende poveri se non ci sono adeguati servizi di welfare e sostegni alle famiglie, come dimostrano vari studi» interviene Vincenzo Falabella, presidente di Fish, Federazione italiana superamento handicap. «I familiari che si fanno carico da soli dell’assistenza spesso devono rinunciare anche al lavoro, oltre a sostenere i costi sociosanitari. Inoltre, — incalza Falabella — se si tratta di servizi che rientrano nei Livelli essenziali di assistenza (Lea) e di prestazioni sociali (Lep), sono diritti esigibili che vanno garantiti a tutte le persone con disabilità e ai caregiver, quindi non possono essere negati introducendo vincoli di finanza pubblica, altrimenti si creano ulteriori discriminazioni tra cittadini di Regioni virtuose e no».