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I sogni spezzati dei giovani iraniani “Basta tensione vogliamo la pace”

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lo scontro riad-teheran

Teheran.
Il braccio di ferro con Riad fa tremare milioni di persone, che dopo l’accordo sul nucleare speravano nella rimozione delle sanzioni e in una vita più normale. Ma la tensione resta alta: ieri sarebbe stata colpita da missili l’ambasciata di Sana’a e l’Iran ha accusato i sauditi


VANNA VANNUCCINI

TEHERAN

«Il mio primo pensiero è stato di sgomento: ogni volta che crediamo di essere vicini al traguardo succede qualcosa che ci riporta alla casella di partenza. Ma la reazione pacata di Rouhani e di Zarif, e la loro ferma condanna dei facinorosi che hanno assalito l’ambasciata saudita mi hanno in qualche modo tranquillizzata. Ho fiducia che siano perfettamente in grado di gestire la situazione». 
La signora che parla è un’amica iraniana che dopo esser rimasta vedova ha preso in mano il negozio all’ingrosso di pezzi di ricambio del marito.
«Il bazar è quasi fermo da mesi, in attesa che vengano rimosse le sanzioni, ma con questo colpo rischia di bloccarsi del tutto».
Per essere un giovedì, l’equivalente del nostro sabato, il bazar sembra infatti meno affollato del solito, anche se il traffico è tornato normale ora che la città, dopo settimane di smog che aveva tenuto chiusi scuole e uffici e imposto limiti alla circolazione, si è svegliata ieri senza la nuvola nera che rendeva invisibile la catena dell’Alborz che la circonda a nord. L’aria è ancora molto inquinata ma il vento ha dissipato i fumi che ristagnavano ai piedi delle montagne.
Per molti abitanti della capitale il giovedì mattina è il giorno riservato alla passeggiata in montagna, alla ricerca di aria respirabile. Fin dalle prime ore del mattino le autostrade verso nord sono intasate di macchine e di taxi collettivi che, come sanno ormai tutti coloro che hanno visto l’omonimo film di Panahi, sono a Teheran il mezzo di trasporto più ambito. Non sono cari, sono flessibili e sempre disponibili. Per gli abitanti della capitale sono anche un modo per scaricarsi dei loro crucci, condividendoli con gli altri passeggeri senza paura di venir denunciati. Nei taxi si dicono cose che in altri posti non si direbbero. Anche se ci fossero dei male intenzionati, le cose vanno troppo veloci per temere conseguenze: le persone salgono, scambiano qualche commento e qualche imprecazione contro chi sta in alto, pagano e scompaiono nella megalopoli di più di 15 milioni di abitanti.
«Almeno non abbiamo perso il senso dell’umorismo» dice un signore di mezza età che sale a bordo del taxi tenendo in mano Etemad, un giornale riformatore che per dare la notizia che altri quattro Paesi del Golfo hanno seguito l’Arabia Saudita nella rottura delle relazioni diplomatiche con l’Iran usa una parola inventata , keshvarche , un diminuitivo che equivale al nostro –ino . Keshvar vuol dire Paese e “ keshvarche” paesino. I quattro keshvarche sono Bahrein, Gibuti, Somalia e Sudan. Gli Emirati hanno ridotto le relazioni diplomatiche mentre Qatar e Kuwait hanno richiamato gli ambasciatori. Su Gibuti un altro giornale pubblica una vignetta con la didascalia: «Zarif ha 24 ore per trovare Gibuti sull’atlante». Oltre al senso dell’umorismo e dell’autoironia, gli iraniani posseggono uno straordinario senso del loro passato e sono ben consapevoli di essere le più sofisticata e cosmopolita cultura del Medio Oriente.
I giornali riformatori e i social media ironizzano anche sui soliti noti che hanno preso d’assalto e dato fuoco all’ambasciata saudita: «un habitus mentale, un classico» scrivono, «ci vorrebbe un po’ più d’immaginazione la prossima volta». Il presidente Rouhani ha chiesto alla magistratura di operare rapidamente per scoprire e incriminare gli assalitori. Dovrà essere formato un gruppo investigativo di cui insieme ai magistrati faranno parte polizia e servizi d’intelligence, «per appurare se la gente ha assaltato l’ambasciata spontaneamente, per ignoranza, o se c’erano dei mandanti».
Un’ amica architetta che abita in provincia mi racconta che lì la propaganda dei sostenitori dell’ex presidente Mahmud Ahmadinejad (i primi sospettati dell’assalto all’ambasciata) è ripresa a pieno ritmo, grazie, si suppone, al denaro che era arrivato nelle casse dello Stato, e poi scomparso, quando il petrolio al tempo di Ahmadinejad costava 130 dollari al barile. La loro propaganda mira a convincere la gente che Rouhani è debole nei confronti di americani e sauditi. Convince solo i più ignoranti, dice l’amica, ma la crisi di questi giorni è un duro colpo per tutti. Tutti aspettavano la fine delle sanzioni per poter finanziare dei progetti di cui i comuni hanno urgente bisogno. Ora c’è il timore che l’accordo nucleare non arrivi più in porto.
Il governo ha accusato ieri l’Arabia Saudita di aver deliberatamente colpito con dei missili l’ambasciata iraniana a Sana’a, la capitale yemenita controllata dai ribelli Houthi, ferendo gravemente un funzionario e danneggiando un’ala dell’edificio. Il governo ha proibito l’ingresso in Iran di tutti i prodotti sauditi o transitati per l’Arabia saudita. E resta valida fino a tempo indeterminato l’interdizione del “piccolo pellegrinaggio” alla Mecca, a cui prendevano parte abitualmente dal mezzo milione al milione di pellegrini iraniani. Il divieto all’ingresso dei prodotti sauditi avrà un impatto di diversi milioni di euro mentre l’assenza dei pellegrini iraniani potrebbe significare per Riad una perdita tra gli 1 e 2 miliardi .
«Per fortuna nessun Paese nella regione è in grado di cominciare la guerra», dice l’analista Said Leylaz, un economista, riformatore moderato, che dopo una vita spesa per la politica e una brutta esperienza nelle prigioni di Ahmadinejad (seguita alla contestata ri-elezione dell’ex presidente nel 2009), è ora tentato di ritirarsi dalla politica per una più tranquilla carriera in un’azienda privata. «E’ importante che Rouhani e Zarif abbiano condannato subito gli aggressori dell’ambasciata riportando sotto controllo la situazione e evitando che si estenda; ma certamente gli oppositori dell’accordo sul nucleare che fa tanta paura ai sauditi non mancano nemmeno in Iran e fino alle elezioni alla fine di febbraio c’è da aspettarsi ancora turbolenza » dice. «Poi si può sperare che la situazione si plachi». L’Iran sta lavorando per realizzare gli impegni presi con l’accordo sul nucleare: ha rimosso migliaia di centrifughe e preparato l’uranio arricchito da spedire in Russia, progetta di completare la sua parte di obblighi entro gennaio. Così ha confermato ieri il segretario di Stato Usa, Kerry.
I giornali annunciano che il 93% dei candidati alle elezioni di febbraio sono stati ritenuti idonei dagli appositi organi istituzionali, una notizia che fa ben sperare sull’andamento elettorale. Fra quelli che hanno comunque deciso di non correre, c’è Hassan Khomeini, nipote 43enne del fondatore della Repubblica islamica Ruhollah Khomeini.
La crisi di legittimità provocata dalla repressione delle proteste nel 2009 è stata una lezione per un regime che vorrebbe credere di essere democratico e che anche nel 2009 avrebbe preferito persuadere la maggioranza della popolazione a votare per Ahmadinejad, ma non essendovi riuscito non se la sentì di permettere una libertà senza limiti: perché ha paura che se la permettesse, l’influenza dell’Occidente e le forze della globalizzazione avrebbero la meglio e travolgerebbero il sistema islamico.
La corsa nel taxi collettivo finisce alle pendici dell’Alborz.
L’amica che mi accompagna s’infila una pesante giacca a vento ed è pronta a una camminata nel sentiero coperto di neve. Tanti sono saliti e scesi ad ogni fermata, tra smog, traffico e gas di scarico. Ognuno con le proprie piccole e grandi speranze, e con le proprie infinite preoccupazioni quotidiane. Ognuno spinto dalla volontà di farcela, nella giungla di questa città, sotto un regime che ti può anche mettere in prigione da un giorno all’altro senza spiegare i motivi, e dove da un giorno all’altro un gruppo di facinorosi può provocare una guerra.
©RIPRODUZIONE RISERVATA
Nelle prime ore dopo la decapitazione dello sceicco Al Nimr è esplosa l’ira delle frange più estremiste: solo la reazione del presidente Rouhani e del ministro degli Esteri Zarif hanno impedito alla crisi di precipitare
LA RABBIA
Nella foto a sinistra, una manifestazione a Teheran subito dopo la diffusione della notizia della morte di Al Nimr.
Le proteste sono esplose anche in altri paesi: qui accanto, una donna per le strade di Manama, capitale del Bahrein.
Sopra, il presidente iraniano Hassan Rouhani, interprete dei settori moderati

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