Lo schiaffo di Mattarella risuona forte e chiaro sulla faccia di chi vuole trasformare questa Repubblica in una Corte medioevale, fatta di odi e paure, di intrighi e veleni
DI MASSIMO GIANNINI
Lo schiaffo di Mattarella risuona forte e chiaro sulla faccia di chi vuole trasformare questa Repubblica in una Corte medioevale, fatta di odi e paure, di intrighi e veleni. Libertà e democrazia sono incompatibili con chi alimenta conflitti, fomenta scontri, costruisce nemici: per chi suona la campana del Colle, nel giorno della festa del 2 giugno, se non per i vicepremier dell'Apocalisse, saliti al Colle con le fidanzate a braccetto e i pugnali nella giacca? Il governo è allo sbando, terremotato dal voto europeo, e l'Italia rischia tutto, alla vigilia di scelte decisive che riguardano la manovra, i tagli alla spesa sociale, le tasse che aumentano, il lavoro che non c'è.
Invece c'è la stagnazione, certificata dall'Istat, mentre solo un mese fa i ministri gialloverdi esultavano: "La recessione è finita!".
L'ignota "manina" che avrebbe falsificato la lettera del governo italiano alla Commissione europea non è l'epilogo della farsa che va in scena da un anno, ma il prologo del dramma che si consumerà nei prossimi mesi. Il problema va molto al di là della montagna di ridicolo sotto alla quale il Mucchio Selvaggio Legastellato ha sepolto il Paese. Il mesto Di Maio, che ormai da dead man walking sopravvive a se stesso solo nel microcosmo parallelo della piattaforma Rousseau, rievoca per la terza volta l'oscuro "manipolatore di testi", come già aveva fatto sul decreto dignità e poi sulla pace fiscale (per la quale stiamo ancora aspettando le famose "denunce in Procura"). Salvini, che ormai cammina sulle acque baciando rosari e ringraziando madonne, fa finta di niente. Il povero Tria, che ormai sforna missive a sua insaputa, smentisce persino di esistere. Il patetico Conte, che ormai vaga per Palazzo Chigi chiedendo a se stesso "chi sono" e soprattutto "che ci faccio qui", annuncia per lunedì un importante "discorso alla nazione". Probabile titolo: "Sotto la pochette, niente".
Tutto questo, purtroppo, è folklore italico. È una politica allo sbando, instabile come e più ancora che in passato, a peggiorare la reputazione e deturpare l'immagine. Ma il vero punto di rottura, ancora una volta, è l'economia. La totale assenza di una strategia, se non quella dello sfascio quasi fine a se stesso. L'Italexit non è più solo un'opinione virtuale, ma sta diventando un'opzione reale. Lo dice un numeretto citato dal governatore della Banca d'Italia nelle sue "Considerazioni finali": in quest'ultima settimana il tasso dei Credit default swap sui titoli tricolore, cioè le polizze di assicurazione contro l'uscita dalla moneta unica, è cresciuto del 3 per cento.
Nell'ultimo mese, del 18 per cento. Nell'ultimo anno, del 300 per cento. Sui mercati il rischio Italia è già ripartito, molto più di quanto non dicano le tensioni sullo spread a 290 contro i Bund tedeschi o il clamoroso sorpasso del differenziale tra i nostri Btp quinquennali e i Bond greci. I mercati non sono arbitri delle nostre vite. Ma noi, con un debito pubblico alle stelle, gliene abbiamo affidata una parte consistente. Far finta che il problema siano solo i "grigi burocrati" di Bruxelles con le loro "letterine" e i loro "numerini", come Salvini continua a raccontare nei suoi comizi, è solo un modo per ingannare i cittadini attraverso la "costruzione di un nemico" (secondo la formula usata da Mattarella). Il governo italiano, con la credibilità delle sue azioni e la solidità delle sue finanze pubbliche. Deve convincere ogni giorni migliaia e migliaia di risparmiatori (dai fondi sovrani cinesi alle finanziarie saudite, dalle banche europee ai fondi pensione delle vedove scozzesi) a comprare i suoi titoli di Stato, nella convinzione che a scadenza gli saranno restituiti e remunerati. Se salta questo meccanismo di fiducia, l'Italia va in default.
E già oggi è un pericolo effettivo, come ribadisce Visco quando avverte: "Sia il rischio di credito sia quello di ridenominazione del debito in una valuta diversa dall'euro continuano a spingere verso l'alto i rendimenti dei titoli italiani". Qui non c'entrano niente Juncker o Moscovici. C'entriamo solo noi, o meglio i nostri sedicenti padroni del vapore.
Dopo le elezioni di domenica scorsa, si impone la domanda delle cento pistole. Cosa vuole fare Salvini dell'Italia, dell'Europa e dell'euro? Chiederlo a Di Maio è ormai inutile. In questi mesi i Cinque Stelle hanno dimostrato di essere una pura agenzia del risentimento, una struttura servente e mimetica, al servizio di qualunque causa, meglio se dissennata. Una settimana prima del voto, a Capitan Mitraglia che urlava "subito la flat tax, e chi se ne frega dei vincoli europei", il mitico capo politico pentastellato replicava: "È da irresponsabili mettere in discussione i nostri impegni com Bruxelles". L'altroieri ha fatto uscire un comunicato in cui diceva: "Favorevoli alla flat tax, ma fatta in deficit e non tagliando il welfare". Beata coerenza. Ma Salvini è tutt'altra pasta. Mente, certo, quando dice "ora cambieremo le regole in Europa": non ha i numeri per farlo, visto che le ultra-destre non sono maggioranza a Strasburgo e Orbán non lascerà il Ppe per salire sulla ruspa sovranista con Matteo.
Ma se rimettiamo in fila le sue ultime sparate, allora c'è da chiedersi con inquietudine se ci sia del metodo in tanta follia. Due giorni prima delle europee, il leader della Lega ha detto che per ridurre la disoccupazione "se servirà si infrangeranno alcuni limiti, come il 3 per cento del deficit/Pil e il 130-140 per cento del debito/Pil".
Martedì scorso, alla vigilia della lettera Ue sulla procedura d'infrazione, ha aggiunto che "gli italiani hanno dato mandato a me e al governo di ridiscutere i parametri che hanno portato a un livello di precarietà senza precedenti".
Il giorno dopo il neo parlamentare europeo Antonio Maria Rinaldi ha detto che "la Lega vuole andare direttamente in infrazione per poter fare per tre anni quello che gli pare". L'altroieri, alla Camera, il Carroccio ha fatto approvare una mozione che impegna il governo a introdurre i famosi mini-bot (vecchio pallino del dottor stranamore leghista Claudio Borghi) che di fatto aprono le porte a una moneta parallela e quindi all'uscita dall'euro. Quattro indizi, forse, fanno una prova. L'Italexit, come scelta consapevole del Paese, o perché no, come esito agevolato dai nostri partner, che non ci considerano più un alleato affidabile e responsabile. Ma se è questo che ha in testa, Capitan Mitraglia ha il dovere morale e politico di dirlo al Parlamento e al Paese. Lasci per un attimo il prezioso braccio di lady Verdini, e abbia il coraggio di dare quest'ultima pugnalata al cuore della Repubblica.