Giovedì 7 Febbraio 2019CORRIERE DELLA SERA
IL SENSO PER ROMA
di Mario Monti
Una decisione presa ieri a Bruxelles dalla Commissione europea, pur non riguardando direttamente il nostro Paese, merita grande attenzione da parte dell’opinione pubblica e dei politici italiani. In un momento in cui si parla molto di Europa, spesso con un fervore polemico che eccede di gran lunga la conoscenza dei fatti, la decisione di ieri aiuta a capire molte cose: vi sono precise ragioni se in alcuni campi la Ue funziona e in altri no; i «burocrati di Bruxelles» sono governanti che esercitano il mandato conferito loro dagli Stati membri; contro le loro decisioni si può fare ricorso alla Corte di giustizia della Ue; non è vero che la Commissione assecondi i «poteri forti» o si pieghi alla «legge del più forte», critica spesso fatta da chi non è capace di sostenere le proprie posizioni con argomenti solidi e predilige l’insulto; se mai la Commissione e la Corte, facendo valere il diritto comunitario, di fatto proteggono tutti dagli eventuali tentativi dei più forti o dei più grandi di abusare del loro potere, come certo avverrebbe se sparisse la Ue.
Ieri dunque la Commissione ha vietato la fusione tra Siemens e Alstom, il gigante tedesco e quello francese nella produzione di treni ad altissima velocità e di sistemi di segnalamento ferroviario. L’operazione, fortemente voluta dai governi di Berlino e Parigi, è stata bloccata perché, dopo un’indagine approfondita, la commissaria Margrethe Vestager ha concluso che essa avrebbe significativamente ridotto la concorrenza.
L e compagnie ferroviarie avrebbero sofferto a causa di prezzi più elevati dei treni e dei sistemi di segnalamento, trasferendo gli aggravi sui milioni di passeggeri che ogni giorno viaggiano in tutta Europa.
Non intendo qui pronunciarmi sul merito della decisione, che sta già dando luogo a vivaci dibattiti. Vorrei invece usare questa importante decisione come cartina di tornasole sui temi più vasti sopra accennati.
Perché funziona. Non c’è dubbio che la politica della concorrenza sia uno di quei pochi campi in cui la Ue funziona. Si può essere d’accordo o meno sulle singole decisioni. Si possono magari auspicare modifiche negli stessi orientamenti di fondo della politica della concorrenza, come si fece ad esempio con una serie di riforme nei primi anni 2000. Ma è una politica nella quale si decide, entro termini prestabiliti. Le decisioni vengono applicate. Esse sono rispettate anche da imprese non europee, incluse le più grandi multinazionali americane.
Come mai tutto questo funziona, anche quando tocca interessi economici e politici giganteschi? Semplicemente perché, fin dal Trattato di Roma del 1957, gli Stati membri hanno dato alla Commissione il diritto, e il dovere, di fare rispettare la concorrenza e i poteri legali per farlo. Un altro campo in cui vigono simili poteri federali, e che infatti funziona, è quello della politica monetaria. Margrethe Vestager e Mario Draghi sono eccezionalmente capaci, ma neanche loro potrebbero svolgere in modo efficace i loro compiti, se non avessero questi poteri federali. I loro colleghi che si occupano, ad esempio, di migrazioni, di politica estera o di armonizzazione fiscale fanno probabilmente più fatica, ma non possono far funzionare bene la Ue nei loro campi. In questi, gli Stati hanno voluto mantenere un potere di veto. Spesso, accusano «l’Europa» di essere assente. Dovrebbero accusare se stessi di non voler rinunciare a tenersi stretti i loro poteri, che rendono impossibile alla Ue superare le resistenze degli Stati, a cominciare da quelli più sovranisti.
Poteri forti, legge del più forte. Germania e Francia, pur con governi un po’ appannati, sono considerati da tutti i due Paesi più forti in Europa. Doppiamente forti dovrebbero essere nelle occasioni in cui uniscono le loro forze, ancor più in una fase in cui hanno deciso di potenziare il loro coordinamento con il recentissimo Trattato di Aquisgrana. Si può immaginare qualcuno in Europa capace di scagliare sui «burocrati di Bruxelles», per di più a fine mandato, una potenza di fuoco come quella di un kombinat politico-industriale Berlino-Parigi-Siemens-Alstom? Non credo. Eppure la commissaria Vestager e la Commissione hanno detto «no». Non ci vengano a raccontare, in Italia, che Bruxelles è sistematicamente asservita agli interessi tedeschi e francesi.
Ieri in Germania e in Francia i governi e gli ambienti industriali hanno duramente attaccato la commissaria Vestager. Hanno minacciato di ridurre i poteri della Commissione nel controllo delle fusioni e nella politica della concorrenza in generale. Non è la prima volta che ciò accade, non sarà l’ultima.
Dall’Italia, Paese grande e importante, ma non davvero «forte» quanto a sistema economico e apparato amministrativo, una Commissione solida e rispettata dovrebbe essere vista come potenziale alleata, nella maggioranza dei casi. Cerchiamo di capire come rappresentare al meglio in quella sede i legittimi interessi italiani. Parlo degli interessi del Paese. Se invece vengono prima non gli italiani, ma coloro che in questo momento governano gli italiani, allora può essere che convenga coprire di insulti la Commissione e l’Europa, perché questo soddisfa il rancore degli italiani e sposta l’attenzione dalle responsabilità nostrane. Sta ai cittadini non cascare in questa trappola, non applaudire coloro che vogliono indebolire un’Europa di cui i cittadini, non i politici, hanno bisogno.