PAOLO SAVONA
Doveva guidare il Tesoro, poi il passaggio in seconda fila
Roma «Con lo spirito dell’Ulisse di Omero», che è da sempre la sua bussola culturale, Paolo Savona lascia la barca del governo gialloverde per prendere il timone della Consob. Lo stato d’animo del ministro uscente è quello di un «inaffondabile sughero sardo», che da oltre mezzo secolo galleggia sui burrascosi mari dell’economia e della politica: «Sono un servitore dello Stato, vado dove c’è qualcosa da scoprire». Nella sconfinata collezione di incarichi, da Bankitalia a Confindustria, che ha esaltato nella poderosa raccolta di memorie Come un incubo e come un sogno, la Consob gli mancava. L’esperienza in fatto di banche di certo non gli manca e gli amici lo hanno visto sollevato dal peso di un ministero mai decollato, che nel governo Gentiloni era un dipartimento della Presidenza del Consiglio e che gli è stato stretto sin dal primo giorno. «Troverò diversi fascicoli caldi sulla scrivania — ha risposto a chi gli augurava buona navigazione dopo che il Cdm ha dato il via libera al suo nome —. Mi servirà qualche giorno per orientarmi».
Otto mesi fa il suo curriculum e le sue teorie sull’eurozona «gabbia tedesca» avevano innescato una crisi istituzionale senza precedenti e tenuto col fiato sospeso l’Europa intera. Il sofferto stop del Quirinale al teorico del «piano B» per l’uscita dalla moneta unica aveva innescato il pubblico sfogo dell’economista: «Ho subito un grave torto dalla massima istituzione del Paese». Luigi Di Maio, con una reazione inusitata, invocava l’impeachment per Sergio Mattarella e l’esecutivo di Giuseppe Conte era lì lì per naufragare sul nascere. Poi il ripescaggio di Savona agli Affari europei e il debutto del primo governo sovranista d’Italia. «Contento? Mi sembra una parola grossa...», sbuffava a caldo il neo-ministro, forse intuendo che, via via, Enzo Moavero Milanesi e Barbara Lezzi gli avrebbero portato via le deleghe. E che non sarebbe stato lui, come forse gli era stato promesso, il ministro «ombra» del Tesoro.Dalle luci accecanti delle telecamere di mezzo mondo, al cono d’ombra di un ministero senza portafoglio. Come osserva senza tanto girarci attorno l’economista e amico fraterno Giorgio La Malfa, «che ci stava a fare Paolo in un simile governo?». Stanco di predicare il rilancio degli investimenti pubblici e privati, una ricetta che fa a pugni con la «manovra del popolo» di Salvini e Di Maio, il presidente onorario della Fondazione intitolata al leader repubblicano Ugo La Malfa vive il trasferimento ai piani alti della Consob come un sollievo e una liberazione.
Giorni fa, riferendo su Banca Carige davanti alla Commissione Politiche Ue di Montecitorio, il ministro ha spiazzato i deputati. «Era evasivo, più volte ha detto di parlare a titolo personale e non a nome del governo», racconta un esponente delle opposizioni.
Eppure l’ex ministro azzurro Renato Brunetta si è complimentato: «Alla Consob farà bene. In questo mondo di scappati di casa lui almeno è competente. In questi primi mesi di governo, di Savona ne ho conosciuti almeno quattro». Il migliore? «Il pompiere, quello che ha portato una parola di buon senso sulla legge di bilancio». Invano, perché il verbo del «nonno del governo», come lo stesso economista nato a Cagliari nel 1936 si è ironicamente definito, è rimasto lettera morta.
I pentastellati gli hanno sfilato dalle mani la delega ai Fondi europei di coesione. E la Farnesina si è ripresa il dossier sul bilancio europeo 2021-2027. Piccoli e grandi «furti» di competenze che Savona, abituato a programmare con cura maniacale le tappe del suo «viaggio d’Ulisse», ha sopportato a fatica. Fino ad accarezzare l’idea delle dimissioni «per non perdere dignità e restare indipendente», come insegnava La Malfa padre. Per il figlio di un ufficiale di Marina e nipote di un maestro d’ascia che costruiva barche, sono stati otto mesi di navigazione travagliata. Il confronto a Francoforte con Mario Draghi, per placare i timori della Ue sul ministro «cigno nero» e illustrare al presidente della Bce il piano per 50 miliardi di investimenti. L’inchiesta per usura bancaria da ex manager di Unicredit, archiviata per «infondatezza della notizia di reato». E infine la guida della Consob, sul cui tavolo l’ex presidente del Cda di importanti banche e società italiane troverà la patata incandescente della contesa su Tim.
6 febbraio 2019 (modifica il 6 febbraio 2019 | 00:07)
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