Quantcast
Channel: Articoli interessanti
Viewing all articles
Browse latest Browse all 4952

La felicità è una risaia Gli impiegati giapponesi ora scelgono la vita lenta

$
0
0

6/12/2018
MONDO
La storia
Il movimento contro il super- lavoro

CRISTIAN MARTINI GRIMALDI,
TOKYO
Come proprietario del pub si era dato una sola regola: se i clienti fossero aumentati, avrebbe chiuso. Il paradosso è solo apparente. Nel paese dove il lavoro è una maratona e le ferie uno sprint, ridurre anziché aumentare la produttività può diventare un meccanismo di autodifesa fisiologico. Il 48enne Masaru Kousaka è stato di parola, il business andava bene e lo ha mollato. Non solo, si è spinto oltre, ha creato le condizioni perché altri seguissero il suo esempio: lavorare per vivere, non viceversa. Ha fondato una organizzazione nonprofit, SOSA Project, con l’idea di convertire terreni inutilizzati e farne piantagioni di cereali. Ad assisterlo l’umile convinzione che tutta la felicità del mondo poteva stare dentro un chicco di riso. O meglio, nello stile di vita "stress-free" che da sempre accompagna la vita nei campi.
Masaru è così riuscito nell’alchimistica operazione di separare centinaia di impiegati dal contatto simbiotico col desk dei propri uffici nella "city" e farli immergere nell’acqua delle risaie sino alle ginocchia: una piccola rivolta silenziosa. Quella che può sembrare una singolare trovata per una nicchia di fanatici appassionati di natura è invece legata a un altro movimento ispirato al concetto di "riduzione", che in Giappone fa proseliti a migliaia: minimarisuto (minimalismo). In entrambi i casi gli "iniziati" sono loro: i salarymen.
Quella gran fetta di classe media giapponese fatta di pendolari fiaccati da orari usuranti e che sui treni "sviene" per recuperare il sonno.
"All’inizio eravamo solo in cinque", dice Masaru dal suo orticello di S?sa (vicino Tokyo), "ora ogni anno arrivano 300 persone a coltivare il proprio campo. Per molti è una terapia contro la depressione (in giapponese la bella espressione kokoro ga kurakunaru,"l’animo si fa ombroso") e quel senso di inutilità si è trasformato nella passione di convertire le energie della natura in qualcosa che li renda orgogliosi e felici."
Masaru dieci anni fa era un impiegato. Si è licenziato e ha preso a viaggiare: cercava "fuori" la conferma che sì, il downshift (così viene chiamato il movimento) era la strada giusta. È allora che gli venne l’idea di aprire un pub biologico. Si rese poi conto che se avesse tenuto aperto il locale 4 giorni invece che 5 non sarebbe entrato in crisi. Provò con 3 e riusciva a vivere lo stesso.
Infine l’idea: se avesse prodotto tutto il cibo di cui aveva bisogno anche il pub sarebbe diventato superfluo. "Ora coltivo il mio riso, i miei ortaggi. Ho formato diversi gruppi e insieme recuperiamo case abbandonate, mettiamo su pannelli solari, per cucinare costruiamo "stufe a razzo" portatili, e le vasche da bagno sono riscaldate a legna". Nel Giappone della crisi energetica post-Fukushima sognare un modello di sviluppo sostenibile oltre a essere una scelta morale diventa un’urgenza di tipo vitale.
I downshifters vanno dai 19 ai 70 anni, ma c’è una fascia d’età più rappresentata di altre. È la generazione yutori (20-30enni).
Per dieci anni nel Sol Levante è esistita una politica rivolta a un alleggerimento del curriculum nelle scuole (yutori education) che venne poi abbandonata perché secondo alcuni i giovani sarebbero cresciuti meno preparati e forse troppo "liberi".
Eppure sono loro oggi i più impegnati nel cambiamento.
Quando chiedi a Masaru se esiste una formula magica per convincere i colletti bianchi a infilare stivali di gomma e impugnare il rastrello, lui, serio, ti risponde: "Guardatemi! Non soffro alcuno stress. Continuo a ripetere questo e la gente mi segue".

Viewing all articles
Browse latest Browse all 4952

Trending Articles